Saturday 3 March 2012

Discorso di Roma, 28 marzo 1926

Settimo Anniversario dei Fasci a Villa Glori

di Benito Mussolini

Camerati!

Sette anni or sono io convocai a Milano coloro che mi avevano seguito nelle battaglie dell'interventismo e durante la guerra. Vi prego di riflettere che convocando questa riunione io non domandai la parola al dizionario delle sibille democratiche ancora ferme al loro vacuo cicaleccio, ma chiamai questa riunione con un nome che era già tutto un programma: la chiamai « adunata ». Potevo nel vasto bazar degli specifici demo-liberali trovare un titolo comodo per l'organizzazione che io intendevo di fondare. Potevo chiamare i Fasci, Fasci di ricostruzione, di riorganizzazione, di elevazione e con altre cotali parole che finiscono in « one ». Chiamai invece questa organizzazione: « Fasci italiani di combattimento ». In questa parola dura e metallica c'era tutto il programma del Fascismo, così come io lo sognavo, così come io lo volevo, così come io l'ho fatto!

Ancora questo è il programima, o camerati: combattere.

Per noi fascisti la vita è un combattimento continuo, incessante, che noi accettiamo con grande disinvoltura, con grande coraggio, con la intrepidezza necessaria.

I misteriosi sacerdoti di quella non meno inafferrabile divinità che si chiama l'opinione pubblica ignorarono la nostra adunata. Non le regalarono nemmeno quelle tre piccole righe in corpo sei che si concedono anche ai fatti diversi della minuta cronaca quotidiana. Alcuni dei miei avversari che intendevano di battere il « record » della sublime stupidità, pensarono di ignorare il mio nome e toglierlo accuratamente dalle pagine più o meno sudice dei loro giornali, credendo di fermare la storia e di spezzare la mia volontà.

Quando per una affermazione del nostro movimento partecipammo alle elezioni generali, pur vincendo la nausea che questi ludi cartacei suscitano in me ed in voi, io fui battuto, battutissimo. Raccolsi poche migliaia di voti: quegli elettori dimostrarono in quella occasione una intelligenza straordinaria. Gli avversari mi credettero spacciato. Viceversa dopo pochi mesi, il Fascismo, che aveva già tenuto a Firenze un memorabile congresso, continuamente interrotto e punteggiato dal crepitío delizioso di rivoltellate, il Fascismo si riorganizzava pronto pur sempre ad impegnare la battaglia. Intanto il processo di decomposizione, di putrefazione delle vecchie caste politiche italiane, ingiolittate, incagoiate, con una mentalità tremebonda ed ancillare, pronte sempre ad avere paura di avere avuto un poco di coraggio, dicevo questo processo di decadenza continuava mentre attorno ai Fasci di Combattimento già si schieravano le folle italiane, non solo delle grandi città, ma, anche delle plaghe rurali.

Decomponendosi lo Stato che ormai non resisteva più in alcun modo all'azione di sfruttamento e di parassitismo dei vecchi partiti, bisognava avere il coraggio di fare la rivoluzione per sommergere, rovesciare, distruggere queste caste politiche che noi avevamo spinto alla guerra attraverso ad un atto rivoluzionario. Queste caste politiche che durante la guerra più volte avevano tremato di viltà; queste caste politiche che alle truppe di Vittorio Veneto non avevano dato né il trionfo in terra straniera, né il trionfo nella Nazione; queste caste politiche che sciupavano indegnamente i meravigliosi tesori della Vittoria italiana, dovevano essere disperse e distrutte. Questo noi abbiamo fatto organizzando ed attuando quella Marcia su Roma che ha già, dopo pochi anni, gli aspetti di una grande leggenda.

Vennero allora le fatiche, i doveri, le dure responsabilità del governo. Noi avevamo voluto governare la Nazione, avevamo voluto prendere nel nostro pugno i destini della Nazione ma, la fatica era ardua, il cómpito grave, perché attorno a noi c'era un mucchio di rovine, non soltanto materiali, ma anche morali, e decine e decine di problemi aspettavano da decenni la loro soluzione. C'era dell'attesa; l'attesa del miracolo, poiché ad ogni uomo nuovo, ad ogni regime nuovo si chiede sempre qualche cosa di più. C'era da sentirsi tremare le vene e i polsi.

Ebbene, o giovani camerati, se io guardo a questi ormai quattro anni di dura fatica, ho la coscienza perfettamente tranquilla. Ho lavorato, e me ne glorio, giorno per giorno, legato al mio dovere quotidiano e problemi poderosi che aspettavano la soluzione sono stati risolti. Guardate questa Roma, questa nostra adorabile Roma che sonnecchiava sotto le cure di una burocrazia sorda di orecchie e di cervello: questa Roma che era considerata una città come tutte le altre, nelle quali c'era un prefetto a rappresentare il governo. Siamo noi che abbiamo decapitato tutte le piccole capitali per fare di Roma la grande Roma imperiale, l'anima immensa del mondo latino.

L'eroico quadrunviro della Marcia su Roma che vi ha parlato poc'anzi, ha ricordato il dramma del '24. Ogni rivoluzione ha avuto un dramma del genere. Ogni rivoluzione ha questo passivo. La vita sarebbe troppo bella e troppo comoda e troppo vile se non presentasse all'improvviso qualche volta delle grandi difficoltà.

Ma, camerati, voglio farvi una confessione: in fondo in fondo, tutto questo 1924 a che cosa si riduce? Ad un consumo di inchiostro; si riduce a quintali, a tonnellate di carta stampata, si riduce a chilometri di articoli ponderosi che nessuno leggeva. Quando ho creduto che la misura fosse colma, e lo era, ho detto "basta", ed in poche ore la situazione ne fu veramente chiarita e delle opposizioni all'interno d'Italia non è restata che polvere vile.

In un anno solo abbiamo dato al popolo italiano le leggi di difesa della rivoluzione fascista, abbiamo dato le leggi della ricostruzione nazionale e sociale, abbiamo dato le leggi all'Esercito, abbiamo approntato proprio in questi giorni il programma della Marina e dell'Aviazione. Tutto ciò è stato fatto in un anno. La mole di lavoro è grandissima. In altri tempi, vi dichiaro che non sarebbe bastato un cinquantennio.

Ho l'orgoglio di dirvi, o camerati, che noi, io in primo luogo e voi tutti, ci infischiamo solennemente di tutto quello che si dice e si stampa all'estero. È tempo, è gran tempo, di bucare quest'altra vescica; è perfettamente logico che il mondo internazionale della democrazia, del liberalismo, della massoneria, della plutocrazia, dei senza Patria, è perfettamente logico che tutte queste forze siano contro di noi. La prova migliore che noi abbiamo fatto realmente una rivoluzione è in questa controrivoluzione che noi abbiamo sgominato all'interno e che tenta invano di affilare. le sue armi perfide all'esterno.

Ma noi diciamo ai fattori responsabili degli Stati: Voi passerete per dove siamo passati noi, anche voi, se vorrete vivere, dovrete finirla con il parlamentarismo chiacchierone. Anche voi, se vorrete vivere dovrete dare dei poteri al potere esecutivo. Anche voi, se vorrete vivere, dovrete affrontare il problema più ponderoso di questo secolo, il problema dei rapporti tra capitale e lavoro, problema che il Fascismo ha pienamente risolto mettendo e il capitale e il lavoro allo stesso livello ed in vista di un obiettivo comune: la prosperità e la grandezza della Nazione.

Camerati!

Io sono sicuro che voi siete impazienti, mi pare di vedere nei vostri occhi, mi pare di leggere nelle vostre anime l'impazienza dell'attesa. Voi attendete qualche cosa.

(La folla grida: « Sì! Sì!).

Quando l'anno scorso io vi promisi il bello, ho mantenuto la parola?

(La folla risponde con un urlo: « Sì!»).

E se io dico che anche l'impazienza che balena nel vostro spirito sarà un giorno appagata, mi credete?

(Dalla folla erompe un nuovo formidabile: « Sì! »).

Prima che io dia una parola a questo vostro sentimento, che è anche il mio, vi debbo dire: E'necessario, anzitutto, che voi vi maceriate nella disciplina delle opere quotidiane. La grande ora non batte a tutte le ore e a tutti gli orologi. La ruota del destino passa. È sapiente colui che, essendo vigilante, la afferra nel minuto in cui trascorre dinanzi a lui.

Bisogna che l'Italia, la nostra divina e adorabile Italia fascista, sia vigilante e ferma nelle opere di pace, si adegui alle necessità del lavoro, diventi sistematica, tenace, perseverante. Voglio correggere gli italiani da qualcuno dei loro difetti tradizionali. E li correggerò. Voglio correggerli dal troppo facile ottimismo, dalla negligenza che segue talvolta una troppo rapida ed eccessiva diligenza, da questo lasciarsi ingannare dopo la prima prova, da questo credere che tutto sia compiuto mentre non è ancora incominciato. Se mi riuscirà, e se riuscirà al Fascismo di sagomare così come io voglio il carattere degli italiani, state tranquilli e certi e sicuri che quando la ruota del destino passerà a portata delle nostre mani noi saremo pronti ad afferrarla ed a piegarla alla nostra volontà.

Camicie Nere!

Poco fa con una cerimonia breve, ma profondamente suggestiva, il sacerdote di quella religione che è dei nostri padri e nella quale crediamo, ha consacrato settantasette gagliardetti dei vostri gruppi. Ognuno di questi gagliardetti reca il nome di uno dei nostri Caduti. Non c'è dunque soltanto un brano di stoffa, ma c'è la memoria di un sacrificio, c'è un'anima viva. Camerati, all'ombra dei nostri gagliardetti è bello vivere, ma se sarà necessario sarà ancora più bello morire.