Saturday 3 March 2012

Discorso di Roma, 30 luglio 1925

Per la battaglia del grano

di Benito Mussolini

Signori!

Vi ringrazio del vostro saluto. Vi ringrazio dei propositi che mi avete manifestato con sicura fede. Vi dirò poche parole. Qualcuno di voi opinava che si dovesse ricostituire il ministero dell'agricoltura. Ero, sono e sarò contrario. L'agricoltura italiana non ha bisogno di un ministero. Ha, forse, bisogno di un ministro. Quel ministro sono io. Ha bisogno di mezzi: li avrà.

Mentre altrove si levano le vacue e rimbombanti parole in grazia alle quali poco mancò che fra la rivolta interna dell'agosto e la tragedia dell'ottobre del 1917 la Patria non fosse tratta ad irreparabile ruina, il Governo fascista vi offre da quindici giorni e da tre anni le prove concrete e quotidiane della sua ferma volontà di affrontare e risolvere i problemi fondamentali che assillano da decenni e da secoli l'esistenza del popolo italiano. Problemi di libertà, o signori, ma della vera libertà, non di quella metafisica, assoluta; non della libertà liberale, infine, che non mai esisté sulla faccia della terra, né mai esisterà.

La battaglia del grano, o signori, significa liberare il popolo italiano dalla schiavitù del pane straniero. La battaglia della palude significa liberare la salute di milioni di italiani dalle insidie letali della malaria e della miseria. Il Governo fascista ha ridato al popolo italiano le essenziali libertà che erano compromesse o perdute: quella di lavorare, quella di possedere, quella di circolare, quella di onorare pubblicamente Dio, quella di esaltare la Vittoria e i sacrifici che ha imposto, quella di avere la coscienza di se stesso e del proprio destino, quella di sentirsi un popolo forte non già un semplice satellite della cupidigia e della demagogia altrui.

Questa è la vera libertà nazionale che il fascismo ha data e garantisce al popolo italiano, tutto il resto è falsa letteratura e mistificazione sfrontata di spodestati ed emigrati respinti dalla vita nel limbo dell'impotenza.

Voi, agricoltori d'Italia, che sapete per la dura esperienza del vostro lavoro come le leggi dell'universo siano inflessibili, voi siete i più indicati ad intendere questo mio discorso.

Recate a tutti i più lontani casolari, a tutti i vostri camerati disseminati per i campi della nostra terra adorabile, il mio saluto e dite loro che se la mia tenace volontà sarà sorretta dalla loro collaborazione, l'agricoltura italiana andrà incontro ad un'epoca di grande splendore.