di Benito Mussolini
Da Trieste che ha veduto in questi giorni tutto il suo popolo nelle strade a confortare colle più alte e vibranti attestazioni di simpatia i fratelli che attendono e sperano ancora, da Fiume che si dichiara pronta a rinunciare alla sua stessa indipendenza se le deve giungere attraverso un iniquo baratto, a Zara e alle altre città della sponda orientale, c'è dovunque nell'anima l'aspettazione angosciosa dell'ora che segna il destino.
È di ieri il comizio di Trieste pro Dalmazia e il voto di ben settanta associazioni nazionali di quella città. E di ieri la selvaggia caccia croata agli italiani di Spalato. Il dolore e la fede, dolore per ciò che accade, fede in ciò che dovrà essere, si confondono nei nostri cuori. Ma la democrazia rinunciataria ride, gongola, è diventata schifosamente croata, ghigna come i carnefici di Vienna, sul martirio degli italiani; si compiace di aver antiveduto la realtà colle sue odiose profezie e scivolando giù, sino al fondo nella china della sua turpitudine, fa dello spirito anche su quelli che sarebbero capaci di riconsacrare col sangue la città di Rismondo e di Baiamonti.
Non mai spettacolo più nefandamente croato fu offerto all'Italia e al mondo. Né spettacolo simile sarebbe o è stato possibile in nessun paese alleato o nemico!
Prima di tutto inchiodiamo questa genia malata di viltà allo scamotaggio che tenta. Non siamo soli!, essi dicono. Anche i plenipotenziari italiani a Parigi rinunciano a Spalato. Ed è vero, stando alla lettera del memorandum. Ma i rinunciatari italiani non si ripromettevano, nei loro misteriosi piani, di« mollare » soltanto Spalato alla Jugoslavia: essi rinunciavano a tutta la Dalmazia, mentre i diplomatici italiani rinunciano soltanto a ciò che non è contemplato nel Patto di Londra.
Quello che è accaduto, è fantastico. C'era un trattato che vincolava l'Italia agli Alleati e viceversa e che costituiva allora la misura del valore del nostro intervento. Questo trattato doveva essere considerato come sacro. Ebbene, dietro a suggestioni straniere partite da Londra, da Parigi e da Belgrado, ci sono stati degli italiani che non si sono vergognati di demolire, di infamare in faccia all'universo quel trattato, ed oggi si fregano le maci di gioia nel constatare che l'Italia non può chiedere di più di quanto in quel Patto venne stabilito. Senza l'opera compiuta dai rinunciatari, ben anteriore al discorso di Bissolati, e continuata diabolicamente per tre anni, l'Italia avrebbe potuto più facilmente integrare il trattato di Londra...
Ad ogni modo la confusione che si vuoi stabilire fra le due rinuncie è ridicola. I diplomatici di Parigi rinunciano a Spalato (ma l'ultima parola non è ancor detta), mentre gli pseudo-wilsoniani milanesi rinunciano anche a Zara. Lividi di collera nel constatare che i loro sforzi sono stati frustrati e che l'Italia si tiene ferma sul terreno del Patto di Londra, i democratici rinunciatari non si peritano di usare le armi della più bassa polemica. Cosi il congresso del Filodrammatici, nel quale erano rappresentate migliaia e migliaia di associazioni, diventa una riunione di « alcuni notabili della scuola e dell'industria ». Non c'è bisogno di rilevare la loiolesca insinuazione contenuta nell'ultima parola. Tuttavia non abbiamo veduto al Filodrammatici certi notabili o pescicani « grossi » dell'industria siderurgica, ben conosciuti da quel giornale!
L'eventuale rinuncia di Spalato è salutata con vivissima traboccante gioia da quel giornale e grandi luminarie democratiche sarebbero accese il giorno in cui altre rinuncie si fossero rese necessarie. In una piccola parentesi, lo scrittore pregusta già la soddisfazione sàdica di vedere altre migliaia di italiani condannati a soffrire e a morire sotto il giogo croato. Diciamo la verità: nemmeno i più nefandi social-boches sono giunti all'abbiezione cui arriva questo binomio ebraico-mazziniano! Una volta la democrazia italiana, non siderurgizzata, aveva il culto delle nobili gesta e del sacrificio per un'idea l Oggi irride ai « congiurati » del Filodrammatici, al loro generoso proposito e sputa su quel D'Annunzio, che in terra, in mare, in cielo ha « fatto » la guerra, mentre « quei » democratici l'hanno fatta « visitando » il fronte nelle giornate di calma, quando pretendevano di portare i lumi della loro infinita sapienza strategica ai comandanti dei nostri eserciti. Se interrogate . quei signori, essi 'sono capaci di dirvi che la guerra l'hanno fatta e vinta loro stando a Milano e recandosi, di tempo in tempo, in automobile al Comando Supremo.
Resta un punto da chiarire, conclude il foglio della democrazia baslottaia: « chi abbia suggerito, preparato e incoraggiato fino ad oggi l'agitazione per la Dalmazia ». Già. Rimane un punto da chiarire, diciamo anche noi: rimane da chiarire « chi abbia suggerito, preparato e incoraggiato la propaganda croata in Italia, condotta cogli stessi sistemi, cogli stessi uomini, cogli stessi mezzi impiegati a Londra e a Parigi ». Resta da chiarire come sia avvenuto questo fenomeno strano: gli uomini che si sono oggi « specializzati » nella campagna rinunciataria sono gli stessi che in una pubblicazione ufficiale in data 3 febbraio 1918, l'unica che abbiano dato alla luce durante il periodo della loro multiforme attività, erano ben più imperialisti di noi e rivendicavano, come risulta dalla lunga citazione che segue, tutta la Dalmazia.
L'articolo (non firmato e quindi di carattere, dirò cosi, editoriale) è intitolato: I diritti dell'Italia sull'Adriatico, e nella prima parte, dopo aver osservato come la soluzione dell'Adriatico sia necessaria all'Italia tanto per la difesa strategica delle coste della penisola quanto per la tutela dell'italianità sull'altra sponda, cosi conclude:
« Da tutto ciò risulta, sia per le tradizioni del passato, sia per le condizioni attuali, che l'Italia dovrà ottenere dalla presente guerra il pieno riconoscimento dei suoi diritti storici, nazionali e strategici sulla Dalmazia, avvertendo che, soddisfatti i diritti dell'Italia, resteranno sempre ancora liberi alcune centinaia di chilometri di costa orientale adriatica con cui appagare nel modo più ampio possibile le giuste aspirazioni della Serbia, del Montenegro e della Croazia ai propri sicuri sbocchi sul mare ».Nella seconda parte poi l'articolo, insistendo sulla condizione che le rivendicazioni italiane (che esso anzi sostiene dovranno dopo la « lunga e aspra guerra » essere estese a « tutta la costa dalmata ») non ledono affatto i popoli jugoslavi, dice testualmente:
« Nessuna causa di dissidio può dunque esistere tra gli italiani e i serbi, poiché i diritti dell'Italia per il predominio dell'Adriatico e per la difesa dell'italianità nella Dalmazia, già riconosciuti dai responsabili della politica serba, non urtano contro le legittime aspirazioni degli slavi meridionali ai propri sbocchi sul mare. L'Austria si sforza, per le sue oblique mire, a far sorgere un dissidio fra le due nazioni, e a questo fine essa alimenta, specialmente in Francia e in Inghilterra, una accesa propaganda croata, che pretende di negare quanto vi è di legittimo nelle aspirazioni italiane sulla Dalmazia. Ma il suo sforzo è vano ».Questo scrivevano un tempo non lontano gli odierni filibustieri della rinuncia!
Laggiù, da Zara a Ragusa, ci sono migliaia di italiani che implorano, in ginocchio, l'aiuto della madre Italia. Il loro destino pende incerto. I giorni si susseguono in un oscillare di speranze e di ansie. Si vive laggiù in quell'atmosfera religiosamente patriottica che i nostri padri conobbero fra il 1821 e il 186o. Degni di rispetto e di amore sono quegli italiani che soffrono indicibilmente! Ebbene, a quella gente nostra che vive oramai d'una sola passione, la passione che Rismondo volle consacrare col sangue sulle pietraie del San Michele, che cosa dice la nostra democrazia rinunciataria? Non una parola di simpatia o di conforto, ma la beffarda ironia, ma il ghigno squisitamente croato.
Ci sono centomila italiani dannati alle vendette e alla strage degli jugoslavi? E chi se ne infischia! Anzi, la democrazia degli « alti forni » forgia le catene che dovranno legare quelle popolazioni sventurate. La notizia orribile passerà da padre a figlio e finché un italiano solo vivrà su terra dalmatica non sarà dimenticata. Nel 1919, diranno i superstiti, noi tendemmo le braccia ai fratelli d'Italia! Sperammo e soffrimmo! Ma nessuno ci aiutò. Ci furono i falsi « democratici » che ci respinsero collo scherno della vigliaccheria imboscata e ci posero — in nome della umanità — l'inumano dilemma: affogare nell'Amarissimo o diventare croati!