Wednesday, 7 March 2012

Sindacalismo

(Pubblicato in « Il Popolo d'Italia », 2 settembre 1922)

di Benito Mussolini

I giornali della democrazia romana — citiamo per tutti l'Epoca e il Mondo — continuano ad occuparsi del sindacalismo fascista e ci chiedono chiarificazioni in materia. Potremmo dispensarcene, perché oramai il nostro atteggiamento è perfettamente chiarito ed è consegnato in parecchie deUe nostre manifestazioni scritte e verbali, ma non sarà male insistere, anche se ci accadrà di ripeterei. La tesi dei fogli democratici è la seguente: il fascismo, diventando sindacale, cioè inquadrando e raccogliendo in sindacati e in cooperative masse sempre più numerose di operai, dovrà, per forza, fare una politica di classe e finirà per essere rimorchiato da quelle moltitudini di lavoratori che oggi si schierano sotto i neri e tricolori gagliardetti del Littorio. Di cambiato non ci sarà che l'etichetta. II sindacalismo tricolore dovrà seguire le tracce del sindacalismo rosso. Ad avvalorare questa conclusione, si citano episodi nei quali i fascisti — pur perseguendo fini diversi — hanno adottato metodi identici o quasi, a quelli di ieri. Questi episodi sono in realtà sporadici e sono stati esagerati; comunque noi non neghiamo la eventualità che il peso di queste masse possa alterare qua e là la linea dei nostri principt Ci vorrà un po' di tempo prima di amalgamare; coordinare, equilibrare il movimento sindacale fascista. È fatica ingrata, difficile e tanto più meritoria ai fini della nazione e del fascismo. Ma, ciò ammesso, è stolto affermare che sindacalismo fascista e sindacalismo sovversivo si rassomiglino. In realtà sono separati da un abisso. A dimostrarlo basta questa constatazione : che il sindacalismo nazionale non ammette in alcun modo la sospensione del lavoro nei servizi pubblici.

Nelle recenti occasioni del 10 maggio e dell'ultimo sciopero generale, tutta la nazione ha veduto che la nostra posizione antiscioperista nei servizi pubblici non si riduceva a un platonismo, ma si traduceva nel fatto concreto di lavorare, mentre i rossi scioperavano.

Questo basta a differenziare i due sindacalismi. Non mancano altri motivi non meno profondi di differenziazione e si riferiscono alla lotta di classe, che per i socialisti è un pilastro delle loro dottrine, mentre per noi è un episodio che spiega certi avvenimenti della storia; della lotta di classe, che per i socialisti è una regola, mentre per noi è una eccezione. L'interessante è che nella pratica i socialisti stessi non possono ignorare che oltre agli interessi delle maestranze ci sono quelli della produzione, quelli degli elementi tecnici, quelli della nazione. Quanto al famoso agnosticismo in materia di salari, di cui l'Epoca fa pungente rimprovero all'on. Corgini, basterà dire, che questo agnosticismo non significa tendenza a ribassare i salari, ma un varco aperto nel caso in cui questa dura necessità si presenti. Il fascismo non intende promettere e tanto meno garantire un aumento indefinito dei salari, perché ciò sarebbe antieconomico sino all'assurdo. Il fascismo non accetta una falcidia dei salari che sia provocata dall'egoismo o dal capriccio dei datori di lavoro, ma l'accetta — come l'hanno accettata i socialisti, dopo scioperi catastrofici — quando è imposta dalla crisi generale dell'industria; quando, insomma, ridurre i salari è un coefficiente per salvare la produzione. In tempo dì vacche grasse si possono promettere aumenti dì salari, non negli attuali: ora si tratta dì distribuire il sacrificio equamente sulle due parti ed è su questa linea che si tiene il sìndacalismo fascista. Il quale per un altro elemento si differenzia dal sindacalismo rosso. Non è dogmatico; non è teologico; non persegue finalità remote; non intende, cioè, di sposare in anticipo un dato tipo di economia o dì società. Il sìndacalismo fascista si propone di organizzare nel modo più razionale e redditizio la produzione agricola e industriale. Aumentando la produzione, aumenta la massa dei beni disponibili per il consumo: aumenta il benessere collettivo. Quando il bottino c'è, niente di più naturale che sorga una rivalità d'interessi fra gli elementi che lo hanno creato; ma prima sarebbe esiziale. Il processo produttivo esige la più stretta collaborazione fra datori dì lavoro e lavoratori. Il sindacalismo fascista è selettivo: non cerca le masse, ma non è così idiota da respingerle quando vengono spontaneamente a lui. Il sindacalismo fascista non lusinga il proletariato, non lo ricopre dì tutte le virtù, di tutte le santità come fanno i socialisti, sempre pronti a bruciare incensi dì fronte alle masse lavoratrici. II sindacalismo fascistà non esclude che in un lontano domani i sindacati dei produttori possano essere le cellule essenziali dì un tipo nuovo di economia, ma nega che il proletariato sia in grado oggi di creare un suo tipo di civiltà. Il sìndacalismo fascista non è catastrofico, non crede cioè che il capitalismo europeo sia incapace di uscire dalla crisi attuale. Comunque l'Europa non è salvata dalle classi operaie e meno ancora dai diversi partiti del socialismo.

Questa elencazione potrebbe continuare, ma ci sembra che basti per dimostrare che le nostre posizioni teoriche in materia di sindacalìsmo sono differenti o antitetiche a quelle del socialismo. Resta la pratica. Ma faremo il possibile perché sia adeguata ai nostri principì, anche se le masse dovessero abbandonarci. Non le abbiamo cercate. Non periremo perdendole.