Sunday 4 March 2012

Discorso al Direttorio nazionale del PNF, 26 maggio 1942


di Benito Mussolini

Poi c'è un terzo fronte: quello economico. Io devo giudicare con estrema severità e profondo disgusto l'insieme di questo fronte economico. Si legge in prima pagina che il capitano di corvetta Grossi sta quaranta giorni chiuso in uno scafo d'acciaio; in altra pagina la chiusura di quaranta spacci, eccetera. Il mondo economico italiano bisogna domarlo, bisogna schiacciarlo, bisogna frantumarlo, perché il mondo delle categorie economiche italiane vuole fare questo servizio al regime. Io non ho più alcun dubbio circa l'indisciplina, il sabotaggio e la resistenza passiva su tutta la linea. Il regime si esaurisce, si estenua; consuma letteralmente decine di camerati nelle federazioni, nei ministeri, e siamo sempre daccapo. Si dice agli industriali: fate i prodotti-tipo. Ricci vive il dramma di questi prodotti-tipo, che non vengono mai fuori o vengono fuori in quantità insufficente e in modo miserabile, per cui il commerciante possa dire: è autarchico, è una porcheria. Senza contare le frodi che vengano fuori nei tribunali: nascondono il rame, trafficano il rame, nascondono gli acciai, fanno cose che non sono prescritte.

Poi, se passiamo agli industriali e a tutte le altre categorie, è sempre la stessa cosa. Se noi avessimo avuto i sei milioni di quintali che non sono stati consegnati agli ammassi, è chiaro che al 15 marzo non saremmo stati costretti a ridurre la razione del pane. Qualunque prezzo si stabilisca, si ottiene un risultato univoco di far scomparire in un primo tempo la merce. Qualunque prezzo. E badate che,i prezzi non sono cervellotici. Non è che io o Ricci o Buffarini o chiunque altro stabilisca al mattino questi prezzi. Sono prezzi che vengono stabiliti con quelli che se ne intendono, con quelli che dicono che si può fare. Niente! Si trova sempre che il prezzo è insufficente, che i costi di produzione non sono coperti.

Che cosa è accaduto? Questo. Che abbiamo creato delle categorie, e devo dire che la nostra costruzione è magnifica, è logica ed è architettonicamente sana. Ma chi c'è dentro questa cornice? Chi vi abbiamo messo dentro? Questo è il punto. Chi sono quelli che stanno sotto queste Federazioni fasciste del cuoio, dei liquori; delle pere cotte? Chi c'è dentro? In modo che la nostra lotta è continua, costante per imporre quella disciplina che gli interessati non sanno imporsi.

Qui è la pietra di paragone del regime. Quindi il regime è impegnato con tutte le sue forze a vincere questa battaglia sul fronte interno e la vinceremo. E' di tutta evidenza che si vuol diminuire il regime su questo terreno. Chi ha vissuto la guerra scorsa sa che il popolo italiano seppe soffrire con molta disciplina. Allora una donna prendeva settantacinque centesimi al giorno, se era la moglie di un richiamato, più venticinque per il figlio. La razione del pane era quella di oggi; la carne c'era quando Dio la mandava, e si davano dieci chili di legna al mese. Non c'era ancora il riscaldamento col carbone. Eppure il popolo stava tranquillo, perché il fronte era vicino, si sentiva il cannone e le stazioni erano affollate di decine di migliaia di feriti, perché ognuna di quelle famose spallate che molti di noi hanno vissuto, richiedeva ventimila morti, quarantamila feriti e trentamila dispersi. Allora il più cinico dei cittadini aveva il pudore di dire: ma insomma io non devo lagnarmi quando il fiore della gioventù italiana ritorna dai campi di battaglia in queste condizioni. Naturalmente, siccome la corda fu tirata, a un certo punto la pentola scoppiò e nel 1920 ci fu quel famoso assalto della Pentecoste, che ristabilì in una settimana gli equilibri che erano stati per troppo tempo violentati; e i nostri patriotticissimi commercianti, quando si rifornivano di merce, temendo un bis, fecero dei cartelli dicendo : « Si vende col ribasso del cinquanta per cento ». Se noi non fossimo delle persone ragionevoli, probabilmente rivedremmo questo stesso spettacolo, perché le nobili popolazioni che stanno a Tor Marancia, alla Garbatella, alla Valle dell'Inferno, godrebbero questo spettacolo una volta tanto e questi cretini non si accorgono che ciò potrebbe accadere. E quando ciò accade, la Polizia è impotente, probabilmente anche la Polizia fascista.

Io mi domando che cosa fanno tutti quelli che sono alla testa di queste organizzazioni, che cosa dicono, e mi domando che cosa fanno tutti coloro che sono del Partito. Io ho un elenco che se tutti quelli che vi sono iscritti, invece di rappresentare una mera tessera, rappresentassero una fede non dico fiammeggiante, ma sentita, in Italia le cose potrebbero andare non dirò in maniera perfetta (ciò non è possibile e nemmeno desiderato), ma certamente meglio. Ci sono quattro milioni di organizzati nei Fasci di Combattimento, otto milioni nella Gioventù Italiana del Littoria, eccetera. Il regime controlla qualcosa come venticinque milioni di individui, tolti i vecchi, i bambini, tolti quelli che sono, dal punto di vista sociale e nazionale, degli zeri. Questa è la relazione. Ebbene, che cosa fanno tutti costoro? Io mi domando che cosa fanno. Essere venticinque milioni o cinque milioni o cinquecentomila, alla fine, tranquillamente, è la stessa cosa. Insomma, c'è un momento in cui le forze indifferenziate, non direttamente controllate, rendono difficile la vita a tutto quello che è l'organismo del regime.

Si pone quindi il problema se la posizione mediana che abbiamo presa in sede d'interessi economici può essere ancora a lungo conservata. E’ un problema che io dibatto nella coscienza, perché è un problema che si rivolge a interessi non solo materiali, ma morali notevolissimi. Il problema si pone in questi termini : è in gioco il prestigio del regime nel settore della disciplina economica, cioè nel mondo economico italiano, il quale tende con tutti i mezzi a sfuggire alle regole, alle leggi del regime, a frodare le leggi del regime, a diffondere la mentalità puramente speculativa, per cui ogni prezzo è insufficente. Mettendoci da un punto di vista strettamente statale, si domanda se a un certo punto (siccome questa gente vuole ubriacarsi, cioè deliberatamente rovinarsi) a questa gente si potrebbe dire: signori, fate il vostro gioco; all'ultimo lo Stato fa un affare e i suoi trecento milioni di debiti li paga non pagando. Poi scompaiono gli interessi a tanti altri milioni, eccetera. Naturalmente, tutto questo sarebbe accompagnato da un corteo di rovine imponenti, e quegli stessi che oggi vogliono sempre più carta moneta nelle tasche, domani sarebbero amaramente pentiti e direbbero valeva la pena di avere meno carta e più valore.

La conclusione è questa: che bisogna puntare i piedi con brutalità assoluta, perché armai tutte le forze nemiche, consapevolmente nemiche, inconsciamente nemiche, consistono in poveri illusi, che bisogna curare prima col ragionamento e poi col bastone. Su cento di costoro, quelli che meritano di militare nelle nostre file non sono più di otto o dieci. E forse è una cifra ancora generosa.

Naturalmente noi soffriamo di tre secoli di storia, di tre secoli di imbellicosità, e non è facile rimontare tre secoli, dal 1530, da quando quel traditore di Malatesta Baglioni si mise d'accordo con Carlo V e i suoi erano la quinta colonna di quell'epoca. Ecco tutto quello che significa l'imbellicosità di un popolo. Tutti i luoghi comuni sono sorti in questi tre secoli. E il Piemonte non poteva che barcamenarsi e di quando in quando riaffiorano questi tre secoli di arcadia, di cicisbei. D'altra parte, chi vuol vedere che cosa fosse la società all'inizio del secolo diciottesimo, ha un documento bellissimo, Il giorno, dell'abate Giuseppe Parini, che scrive la vita del giovin signore che discende da magnanimi lombi. È il quadro della society d'allora.

Nella dichiarazione noi non diciamo nulla di questo, perché vogliamo andare ai fatti. Ma è indubitato che il Partito impiega tutte le energie per piegare alla sua disciplina le forze passive, ribelli e ostili dell'economia italiana. Voi, Vidussoni, sottoscrivete. Vogliamo vedere quale delle due forze sarà la prevalente. Vedrete che la forza prevalente sarà la nostra. Questo è sicuro, anche se si dovranno prendere delle misure draconiane, calpestare alcuni sacri canoni. Io vorrei sapere quanti, su centomila componenti, dico una cifra per arrotondare, della vita economica italiana, sono coloro che antepongono gli interessi collettivi ai loro personaggi. (Si grida: «Nessuno! »).

Io non dico nessuno, ma domando quanti sono. Centocinquanta, duecento. Non so. Non credo però, da quello che si vede in giro, che siano moltissimi. Credo che l'enorme maggioranza antepone i suoi interessi privati personali. Ora, finché noi non avremo capovolto questo rapporto, finché noi non faremo applicare le dichiarazioni scritte, le quali devono funzionare attraverso gli individui, che sono carne, ossa e sangue, come sono i quindicimila soldati quelli che danno la forza alla divisione, che fanno di essa un insieme di valorosi o di gente mediocre; finché queste categorie non applicheranno quello che sta scritto nei nostri paragrafi dottrinari, dove l'interesse collettivo è prevalente, fino a quando non avremo realizzata questa situazione, non avremo creato nulla che trasformi il costume e l'ossatura degli italiani. Inoltre quelli che vengono a discutere nei Comitati corporativi devono sentirsi impegnati verso la nazione. Noi possiamo trovarci qui a discutere per settimane sopra un problema e sviscerarlo, come dicono i competenti. Tutti quanti escono contenti; poi, in ventiquattr'ore, cambiamento totale della scena. Allora si ricomincia, si ridiscute. Questi rappresentanti che cosa rappresentano? Se stessi o la legge? Anche queste organizzazioni sindacali bisogna metterle di nuovo all'esame. Che cosa si fa per dare coscienza nazionale a questa massa? Ci contentiamo di queste iscrizioni puramente anagrafiche? Non sappiamo nulla: tutta gente rimorchiata, come se fosse stata ribattezzata nella parrocchia di San Giuseppe. E ai fini della coscienza politica?

Io non credo che noi potremo far cambiare la testa alla gente che la porta in quel determinato modo da cinquanta o sessanta anni. Quelle ormai sono teste che bisognerebbe far rotolare. Bisogna fare uno sforzo veramente sui giovani. Qui bisogna mettersi a capofitto, a testa bassa, per vedere se le nuove generazioni ci danno quel contenuto che manca alle nostre forme giuridiche, legislative. Perché sulle vecchie generazioni non v'è da fare alcun assegnamento.

Questo mondo economico italiano è stato liberale fino al 1925 e, in fondo, lo è ancora. Ha visto nel fascismo un difensore dei beni privati e come tale lo ha accettato, mugugnando dal punto di vista politico. Ricordo i discorsi dei senatori della cricca Albertini. Poi, dopo la crisi del 1929, questa gente ha capito che c'era qualcosa da fare, che la mela era ormai matura, che aveva già il baco dentro, e allora ha detto: questo sistema di regolamentazione di conflitti collettivi del lavoro può essere accettato. Ma ricordo che in piena Camera ho sentito sostenere che non si poteva portare anche nel campo agricolo questa legislazione, il che dimostra come si volesse evitare che il fenomeno diventasse generale. Poi hanno visto che praticamente le cose sono rimaste al punto di prima. I grandi complessi industriali sono rimasti al punto di prima. Noi li conosciamo tutti. Ci fanno sapere quello che credono di farci sapere in intere pagine di giornali, mescolando il sacro e il profano, ragione per cui ho proibito che in queste relazioni, in cui si parla di dividendi e di denaro, si cominciasse col saluto ai combattenti e ai morti, quando, d'altra parte, si ripartiscono i loro profitti, li nascondono per frodare lo Stato e ricorrono a tutti i sotterfugi per eludere le leggi. Bisognerebbe fare una storia per descrivere i trucchi a cui si ricorre. Oggi noi abbiamo tassato le rendite degli immobili: allora essi fanno l'ipoteca per toglierla poi alla fine della guerra. Naturalmente noi metteremo delle tasse per accendere, come si dice in linguaggio notarile, un'ipoteca sugli immobili, in moda che nessuno più ricorrerà. a questo trucco.

Questo è il mondo economico italiano visto nella sua brutale realtà. Possiamo noi soggiacere a questo mondo? No. E’ questo mondo che dovrà soggiacere a noi. Essi poi, di tanto in tanto, fanno dei gesti premurosi, come quello di venire a fare degli stanziamenti formidabili, oppure vogliono pensare alle case operaie. Avendo fatto una indigestione di denaro, ci vogliono mettere un pizzico di acqua santa, con il che credono di essersi fatto un alibi per la loro coscienza.

Allora siamo intesi, camerati del Direttorio. Dai multimilionari agli energumeni che al mattino si recano ai mercati generali con carri, carrettini, tricicli e si buttano sulle verdure e non si sa dove le portano (probabilmente alla trattoria A, nell'ambiente B, eccetera), da questi energumeni fino ai luminari, noi li metteremo tutti al passo. Abbiamo i mezzi.

Tutti gli organi del regime adesso hanno queste direttive: piegare agli interessi della Stata e alla disciplina della nazione le forze economiche tutte, dalle bancarie alle agricole, alle industriali, alle commerciali, eccetera. Il nostro Molfino, l'altro giorno, ha impallidito quando ho detto che strapperò la qualifica di fascista che ha la sua Confederazione. Faremo la Confederazione dei fascisti che esercitano il commercio, non quella fascista dei commercianti, centocinquantamila dei quali fanno il commercio nelle patrie galere. Dico centocinquantamila, perché sono quelli scoperti, perché se invece di ventimila agenti di Polizia, ne avessi quarantamila o cinquantamila, credo che adesso non ci sarebbe più nessun commerciante in Italia.