Sunday 4 March 2012

Discorso di Roma, 28 marzo 1942

Ai segretari federali dell'Emilia

di Benito Mussolini

Approvo molto quello che avete fatto per onorare la memoria di Balbo. Io stesso ho voluto che l'Università di Ferrara fosse regificata e dedicata al maresciallo Balbo.

Sono perfettamente convinto che se Italo Balbo fosse stato nel dicembre 1940 al comando delle truppe operanti nella Libia, noi non avremmo avuto l'insuccesso che abbiamo dovuto deplorare. Si sarebbe disimpegnato. Comunque, non sarebbe rimasto quattrocento chilometri lontano dalla linea del fuoco, costume che io non deplorerò mai abbastanza e che ha condotto a dei paragoni sgradevoli fra i generali tedeschi e alcuni dei nostri generali. Questa è la mia convinzione. Convinzione dovuta alla conoscenza di fatti molto precisi che si sono svolti dopo.

Non v'è dubbio che la regione che sta fra Piacenza, gli Appennini e il Po è una terra che ha avuto sempre un'importanza decisiva nella storia d'Italia. Sempre. In tutti i tempi. Per venire a noi, non c'è alcun dubbio che la marcia del fascismo è divenuta veramente travolgente dopo l'eccidio di palazzo d'Accursio, dopo l'insurrezione di Bologna. Allora il moto si è propagato con rapidità veramente fulminea in tutti i centri vicini. E si può dire che il 21 novembre 1920 tutto il sovversivismo e il bolscevismo era spacciato. Continuò a vivere fino a che, al cosiddetto sciopero legalitario, infliggemmo il decisivo colpo di grazia.

Bisogna tener conto che la popolazione vive in massima parte nella pianura e che il sistema stradale è molto sviluppato. Si può mobilitare tutta la popolazione dell'Emilia in quattro ore. Mobilitarla al completo. E' una massa di uomini decisi, forti, intelligenti, che sono sempre a disposizione. Subito corrono con milioni di biciclette ai luoghi di adunata. La parola d'ordine passa da un capo all'altro della provincia con una rapidità del baleno e la massa è pronta. Ora è chiaro che chi possiede masse di questa tempra ha nelle mani, si può dire, la chiave della situazione politica generale. La popolazione relativa per chilometro quadrato da Piacenza a Cattolica credo sia altissima: da cinquecento a seicento per chilometro, di fronte a centoquarantaquattro-centoquarantacinque per chilometro nella nazione.

In una regione che ha portata l'agricoltura a un livello altissimo, dove la gente è fanatica della terra e ci ritorna volentieri anche quando è uscita dalle rotaie agricole, il problema alimentare non si pone nei termini drammatici nel quale si pone talvolta nelle grandi città. Così è anche in Germania, del resto. Sono le grandi città che soffrono veramente, profondamente. Per me, che sono un po' antiurbanista, dichiaro che questa sofferenza è come la conseguenza di questa corsa verso i grandi centri, che lascia poi questi strascichi, che crea queste condizioni difficili di vita. Noi oggi abbiamo dovuto mettere una rcniora alla nostra politica contro l'urbanesimo per ragioni evidenti: dobbiamo fare aeroplani, cannoni, mitragliatrici, carri armati, e questa è una guerra di mezzi meccanici, che sarà vinta dagli ingegneri. L'ingegnere che inventerà qualcosa di mai realizzato, nel mare, nel cielo, in terra, potrà essere proclamato il creatore, uno dei creatori della vittoria.

Bisogna che gli italiani siano precisi. Le cifre non sono delle fisarmoniche. Bisogna abituare gli italiani alla precisione del linguaggio, delle esposizioni, dei dati. Gli stranieri ci calcolano sempre della gente che non arriva mai in orario, che ha sempre imprecisione nel linguaggio, negli impegni, che è e non è, che fa il giro di valzer. Ma tutto ciò è finito. Se il fascismo fosse soltanto riuscito a modificare il giudizio sugli italiani degli stranieri, avrebbe già compiuto un'opera di fondamentale importanza storica. E ci stiamo riuscendo. Non senza fatica, non senza sfasature. Però abbiamo realizzato dei progressi notevoli. E quando questo abito sarà diventato l'abito di tutti gli italiani, veramente allora, se coltiveremo certe virtù e se rinunceremo a certe tendenze, noi diventeremo il primo popolo d'Europa. Noi abbiamo i numeri per diventarlo. Perché gli altri popoli bisogna siano visti nell'interno, da vicino, nella loro intima essenza, per vedere quali sono i lati deteriori.

Domani l'Europa sarà dominata dal popolo che avrà dimostrato di possedere talune qualità necessarie in questo tempo. Il fascismo deve educare questo popola. E allora non solo riprenderemo questo impero (e questo è sicuro, come è sicuro che io vi parlo), anche a costo di fare un supplemento di guerra, ma avremo la forza di imporre il nostro imperialismo all'Europa, perché la prima parola è partita da noi. (Applausi vivissimi).

Se tutte le attività del Partito fossero note al popolo italiano, si vedrebbe quali e quante cose fa il Partito, anche e soprattutto in questo momento, oltre, s'intende, a dare il senso della necessità assoluta di questa guerra. Voi conoscete la dottrina fascista in fatto di guerra. Qui la guerra non è né bella, né brutta: la guerra è necessaria. Essa è l'esame fra i popoli. Di quando in quando bisogna che i popoli sostengano questo esame e dal modo col quale lo sostengono, si determina la gerarchia fra i popoli. Questo per la dottrina generale: vedi il mio scritto sulla dottrina del fascismo. Noi siamo antipacifisti ; noi non crediamo alla pace perpetua, nemmeno dopo questa guerra. Forse è troppa presto per dirlo, ma io mi sentirei diminuito se dicessi agli italiani: state tranquilli, non avrete più guerre. Perché può darsi che noi dovremo farne una subito immediatamente dopo, per i nostri particolari obiettivi. Sono discorsi duri, però questo è quella che deve essere nella nostra coscienza.

Per quello che riguarda questa guerra, che ha proporzioni molta vaste e mai viste, non bisogna mai porsi il quesito della durata della medesima. Questa è, come dicono i fini parlatori, una subordinata. Essenziale è una cosa sola: quella di vincere. Che si vinca nel 1941, nel 1942 o nel 1943, questa non ha importanza. L'importanza sta nel vincere, e questa è la volta in cui veramente si può dire: « Guai ai vinti ».

Ora noi abbiamo la certezza, si può dire matematica, della vittoria, perché le condizioni nelle quali si svolge questa guerra non sono quelle che hanno sempre fatto vincere la Gran Bretagna. Non c'è nessun decreto della Provvidenza divina che abbia stabilito dall'inizio del mondo che la Gran Bretagna debba perdere le battaglie e vincere le guerre. Questa è la volta che perderà anche l'ultima battaglia.