Sunday, 4 March 2012
Discorso al Direttorio nazionale del PNF, 3 gennaio 1942
di Benito Mussolini
Ho riunito il Direttorio nazionale per fissare le direttive dell'azione da svolgere. Del resto, esse appaiono già nel vibrante indirizzo del camerata Vidussoni.
La nomina di Vidussoni è stata accolta con grande simpatia negli ambienti giovanili. In altri ambienti hanno osservato: è molto giovane; taluni hanno detto: è troppo giovane. Veramente, per colpa di quel pressapochismo che contraddistingue ancora qualche settore della vita italiana e del quale dovremo assolutamente guarirci, Vidussoni è stato fatto anche più giovane di quello che è. Egli ha ventotto anni e non ventisei, ma si poteva soggiungere che egli ha da sedici ai diciotto anni di servizio nella Milizia fascista.
Del resto, non è la lunghezza della vita che conta, vorrei quasi dire la lungaggine, ma l'intensità secondo la quale si vive. Sarebbe strano che un regime che ha per insegna la giovinezza, debba averne orrore proprio quando si tratta di affidarle i posti di comando.
Dopo venti anni di regime, vi sono due generazioni che si contendono il governo: quella che tramonta e quella che sorge. È quindi necessario saldare il ciclo delle generazioni, ognuna delle quali è fatalmente portata ad esprimere il suo disaccordo nei confronti di quella che l'ha preceduta.
Vidussoni farà il suo tirocinio. L'ho fatto anch'io come capo di governo, anzi oso dire che non l'ho ancora finito; ancora oggi vi sono settori della vita nazionale che io non ho esplorato. Non è improbabile che se io fossi interrogato sul funzionamento di taluni organismi dello Stato, mi troverei costretto a rispondere in modo evasiva.
Io aiuterò questo tirocinio di Vidussoni. Questo suo apprendistato lo farà con me, poiché da oggi intendo vivere più da vicino la vita del Partito.
Fra sette giorni saranno convocati tutti i federali della Sardegna, della Sicilia, della Calabria e della Lucania. Questi camerati esporranno, con la sincerità che deve essere propria dei gerarchi fascisti, la situazione delle provincie.
Il problema che domina tutto e tutti è il problema della guerra; o gli uomini sono grandi e restano nella storia, o sono piccoli e retrocedono nella cronaca. Chi nasce imbecille, perdura tale anche se campa cent'anni.
Il Partito farà la grande politica, lo Stato farà la grande polizia. Sarà forse necessario liberare il Partito da funzioni che non sono di sua diretta competenza, così se ne alleggerirà l'organismo. Compito del Partito è educare e disciplinare, cioè fare la politica. Più sarà alta e profonda l’azione politica e meno avrà da fare la polizia.
Il popolo italiano nella sua massa è sano e forte e comincia ad avere sempre più ferma la sensazione della gravità della partita accesa tra le nazioni; la contesa che si allarga nello spazio e si allunga nel tempo.
Vi sono però delle aliquote nocive e deleterie sulle quali bisogna fermare la nostra attenzione. Correnti del mondo cattolico osteggiano l’Asse. Non si è ancora levata una voce di simpatia dall’alto clero a favore di questo popolo che combatte gli anglicani dell’Inghilterra e dell'America, i bolscevichi e i senza Dio di Russia. Inoltre si predica il pacifismo: fare la guerra senza odiare il nemico.
Si vorrebbero tutte brillanti battaglie e brillanti vittorie: ciò è pretendere l'impossibile. Il nemico merita di essere odiato e l'odio deve diventare così profondo da connaturarsi con l'indole del popolo italiano.
L'Inghilterra finora non ha fatto la guerra che contro di noi. È vero che per noi conta soprattutto la vittoria, ma per noi è anche molto importante saper combattere. I nostri soldati si sono battuti molto bene. Essi sono quello che sono i capi. Questo spiega quanto avvenne l'altra volta in Africa per l'indecisione, potrei dire per il « vaccame », se mi è permessa la parola, dei capi di allora.
Noi siamo decisi a raggiungere la vittoria con furore disperato. L'Inghilterra deve essere odiata, altrimenti può capitare di vedere cadere le armi dalle mani dei nostri soldati.
C'è poi il settore degli « interessi lesi », di coloro cioè che sono stati scomodati nelle loro abitudini, perché è stata soppressa la circolazione automobilistica, si sono imposte le tessere, è stato ordinato l'oscuramento, i caffè devono chiudere alle ore ventidue. Vi sono quelli che non riescono più a guadagnare come una volta. Taluni però guadagnano di più; li richiameremo all'ovile e li toseremo. Così perderanno tutta la lana locupletata.
È questo il mondo borghese. È ormai accettato che la parola borghese non esprime un concetto di carattere economico, bensì un concetto di carattere morale. Però si è dimostrato che spesso le insufficienze morali sono accompagnate all'abbondanza del denaro. È per questo che i popoli poveri fanno la guerra meglio dei popoli ricchi: perché hanno meno bisogni. Fare attenzione anche alle notizie false e tendenziose. Per esempio: l'11 dicembre fu fatta circolare la voce che la Russia aveva ceduto le armi; la verità era invece una nuova guerra: quella contro l'America. In questi giorni si sfrutta il preteso insuccesso dei tedeschi in Russia. Ai tedeschi è capitato come a noi in Albania l'inverno scorso; contro le intemperie non si può combattere, le forze umane nulla possono contro quelle della natura. Se le nostre truppe avessero trovato il Kalamas nel suo letto, avrebbero proceduto oltre, avrebbero occupato Janina, Prevesa. Invece c'era tale inondazione che i carri armati venivano letteralmente bevuti dal fango. Ormai, dalle ultime notizie pervenute, è certo che la pressione russa è stata fermata e va esaurendosi.
Bisogna condurre gli italiani ad una veduta più obiettiva. È ora di finirla di dire: tutto quello che noi facciamo non è che improvvisazione. Io affermo invece che il popolo che ha più facoltà di organizzazione è l'italiano. Noi ci si organizza sempre ai margini. È facile organizzarsi in una situazione di ricchezza, ma è difficile in una situazione di povertà.
Tutte queste tendenze al pacifismo, alla vociferazione, alla denigrazione degli alleati (con i quali, sia detto ancora una volta, marceremo insieme fino in fondo, costi quel che costi, perché noi non siamo un popolo ballerino, o ballerina, che sarebbe peggio), devono essere identificate, isolate e denunziate dal Partito. La Polizia penserà al resto.
Questa guerra sarà lunga e, da un certo punto di vista, non sarà un male. Ci costringerà a scavare in noi stessi moralmente, perché non dobbiamo dimenticare che l'umanità di domani sarà diversa da quella di oggi. Ci costringerà anche a ricorrere a tutte le nostre ricchezze finora ignorate. Le ricchezze italiane non sono soltanto artistiche.
Autarchia. Oggi si misura l'importanza della battaglia autarchica, la quale fu iniziata nel 1935, quando l'Inghilterra tentò di prenderci alla gola con le sanzioni. Nell'agricoltura la battaglia era già stata iniziata nel 1925 e mi rammarico di non averla cominciata allora anche nel campo industriale.
Riassumiamo: questo è il momento in cui il Partito deve intensificare ed accelerare tutte le forme della sua attività; prima di tutto, quelle di carattere politico e spirituale. Per questo ho dato la consegna al camerata Ravasio di Milano, che conosco da venti anni. Egli deve essere il sovrintendente dell'ortodossia politica e morale del Partito. Se, attraverso questa opera di selezione e di discriminazione individuale, anche trecento-quattrocentomila unita dei quattro milioni che sono iscritti al Partito dovessero andare perdute, la cosa non avrebbe importanza. L'importanza è di non perdere gli otto milioni di giovani che appartengono alle generazioni nuove.
Bisogna lavorare in profondità. La scuola deve dare la mano al Partito. Per questo la nonnina di Bottai a componente di diritto ha un suo significato. Occorre che i compiti siano ben definiti e le responsabilità altrettanto. In passato si sono creati dei doppioni.
Le funzioni dei componenti il Direttorio sono state già fissate: Ven. turi conserva il settore sindacale ed ha in mano la intricata questione dei prezzi. In un certo momento, dopo che lo Stato avrà dato le opportune lezioni, non credo che sarà più compito del Partito ispezionare i mercati. Il camerata Mezzasoma resta nel Direttorio e passa alla disciplina. Che cosa deve essere la disciplina, l'ho già detto. Noi non concepiamo la disciplina come una cosa formale. Non bisogna fare come i contadini che fingono di sentire la Messa sulla porta della chiesa, ma, in verità, parlano dei loro affari. Bisogna andare a vedere come si crede e che cosa si fa per questa fede che ci anima tutti. Non basta avere pagato la tessera e partecipare alle adunate. Ci vuole anche qualche altra cosa.
Oggi è il 3 gennaio. Abbiamo dinanzi un Aventino di proporzioni ingrandite, pantografiche. Come allora, lo compongono gli stessi elementi, anche i capitalisti. Si va da Mosca a Washington. L'ideale del bolscevismo, infatti, è sempre stato il grattacielo, le grandi officine, la produzione in serie. In mezzo c'è l'Inghilterra. Oggi si comincia a mordere nella sua carne viva; prima essa è stata risparmiata, ma da quando il Giappone è entrato in guerra, essa comincia a sentire intaccato il suo impero.
Ora, come abbiamo sgominato l'Aventino del 1925, è certo che sgomineremo anche questo. Dobbiamo sentirci degni di vivere in questa ora: ora unica della nostra vita nella vita del popolo italiano e nella storia del mondo. Nemmeno gli antichi romani hanno vissuto ore come queste.
(Il Duce domanda se qualcuno dei presenti desidera prendere la parola. Nessuno risponde. Allora Mussolini continua...)
Il giorno 10 si riuniranno qui i federali della Sicilia, della Sardegna, della Calabria e della Lucania.
(A questo punto, il ministro della Cultura popolare legge un indirizzo dei vescovi anglicani al Presidente Roosevelt. Il Duce commenta così...)
Questo indirizzo conferma quanto vi ho detto prima. Questo Vaticano finirà per ridursi come all'epoca di Celestino V. Già ha perduto molte possibilità politiche. Esse sono in parte recuperabili, ma perderà anche quelle morali, che non lo sono facilmente. Un conto è la politica del popolo italiano, un conto è quella del Vaticano.
Ho finito.