Sunday, 4 March 2012
Discorso al nuovo direttorio nazionale del PNF, 3 gennaio 1943
di Benito Mussolini
Ho scelto il 3 gennaio come data per l'insediamento del Direttorio nazionale di nuova costituzione, per motivi evidenti. Il 3 gennaio è una data. L'anno ha trecentosessantacinque giorni, ma molte volte trecentosessanta, trecentocinquanta di questi giorni sono normali, ordinari, non presentano alcunché che esca dalla cerchia ristretta dell'individuo. Vice versa, ci sono dei giorni nei quali l'avvenimento accade, concentra l'attenzione, determina degli sviluppi, risolve delle situazioni. Questo fu il 3 gennaio del 1925.
Oggi la situazione presenta alcune analogie con quella del secondo semestre del 1924; analogie proiettate non sul piano interno, ma sul piano internazionale. Siamo di fronte ad un Aventino. Ad un Aventino di proporzioni infinitamente maggiori di quello del 1924, che però si compone degli stessi elementi e persegue gli stessi obiettivi. Per vedere quello che si deve fare, bisogna sottoporre ad un esame critico lo svolgimento degli avvenimenti passati, per trarne le necessarie conclusioni.
Il primo tempo della nostra guerra presenta queste caratteristiche. Si svolge su teatri lontani, si svolge in Etiopia, si svolge in Africa, ha avuto tre sole giornate sul fronte occidentale, e si svolge in Grecia, sempre al di là dei mari. Il popolo italiano si abitua a questa guerra che non lo investe troppo da vicino e acquista un abito, in taluni ambienti, di indifferenza. Nasce la convinzione che la guerra sarà sempre lontana, che verrà combattuta e risolta in settori molto lontani da quello metropolitano.
Tutto questo è cambiato dal 23 ottobre 1942. Quando negli Stati Maggiori si discusse circa la data in cui gli inglesi avrebbero attaccato, io sostenni che avrebbero attaccato per la fine di ottobre, anche per la coincidenza che gli inglesi avrebbero voluto sfruttare onde aggiungere un elemento che avrebbe guastato le nostre celebrazioni del ventennale. E infatti è riuscito.
Nell'agosto 1942 l'offensiva italo-tedesca di El Alamein non è riuscita. Non perché i soldati non si siano battuti splendidamente, come sempre. Ma bisogna rendersi conto che quando si combatte una guerra, questa viene vinta o perduta sul mare prima ancora che sulla terra. Noi abbiamo perduto un numero fortissimo di petroliere cariche di nafta, di benzina, di gasolio, tutti carburanti necessari, senza dei quali le divisioni motocorazzate non funzionano. lo previdi le nostre difficoltà il giorno in cui, a poche miglia da Santa Maria di Leuca, fu affondata una grossa petroliera carica di nafta: migliaia e migliaia di tonnellate. Erano quelle che il Comando italo-tedesco attendeva ansiosamente per attaccare, per poter continuare l'attacco.
Nell'ottobre, giorno 23, gli inglesi (dico gli inglesi per brevità: sotto questo termine ci sono neozelandesi, greci, australiani, cecoslovacchi, francesi, eccetera) assumono per la prima volta l'iniziativa ed ottengono un successo che non avevano mai ottenuto durante i tre anni precedenti. Contemporaneamente, si iniziano i bombardamenti terroristici e scientifici, secondo l'espressione di Churchill, sulle città italiane. Tutto questo era congegnato in modo che accanto all'insuccesso di carattere territoriale, ci fosse anche una pressione di carattere morale sul popolo italiano.
Ma la data dell'8 novembre è ancora più indicativa. L'8 novembre accadde quello che non dei profeti, ma dei semplici osservatori delle cose umane avrebbero potuto prevedere; cioè il Nord-Africa sarebbe stato occupato dai nord-americani. Solo volendo deliberatamente illudersi si poteva pensare che una politica di favore verso la Francia avrebbe sortito degli effetti. La Francia ci ha odiato, ci odia e ci odierà fino alla consumazione dei secoli. Quindi tutta la politica di « ammainamento » (come dicono i marinai) verso la Francia è stata assolutamente sterile di risultati. Tutti erano attesisti, cominciando da Pétain. Se Pétain non è andato ad Algeri, è forse perché l'età non gliela ha permesso. Ma nel suo intimo egli non può pensare che quello che pensano e sperano gli altri da una vittoria anglosassone. Tutto era combinato per lo sbarco; c'era una connivenza assolutamente aperta, dichiarata dei francesi, pochi esclusi. Questo sbarco dell'8 novembre ha avuto delle conseguenze psicologiche anche su molti cervelli degli italiani. Difatti, molti sono andati al confino dopo l'8 novembre: tra l'8 e il 25 novembre. È sintomatico questo. La cosa aveva fatto perdere l'equilibrio a queste anime abbastanza deboli. Si pensava che gli angloamericani non potevano, dopo pochi giorni, non essere ad Ostia.
Poi l'equilibrio si è ristabilito, perché alla mossa degli angloamericani noi abbiamo risposto. Noi abbiamo occupato tutta la Francia, la Corsica, la Tunisia. Ora l'occupazione della Francia è importante, perché, almeno sul territorio metropolitano francese, ogni equivoco è cessato. La Francia non ha più nulla del suo territorio metropolitano, non ha più nulla del suo territorio coloniale, non ha più il suo oro, non ha più la sua Marina, il suo Esercito, la sua Aviazione: non ha più nulla. Il popolo francese non ha più nemmeno la sua anima; e questa è forse la più grave delle perdite, perché qualche volta è catastrofica e segna la decadenza definitiva di un popolo.
Come avvenne che la battaglia di El Alamein non fu conclusiva? Perché mancò l'altro braccio della tenaglia. Bisognava che dal Caucaso fossero sboccate le truppe germaniche. Ma questo non è stato possibile, perché chiunque abbia una vaga conoscenza della geo-politica, sa che tutte le valli, lì, sono parallele al mare: dopo una, c'è n'é un'altra, un'altra, un'altra ancora; e bisognava arrivare fino a Batum. Mancata questa manovra di ampio respiro strategico, è chiaro che la battaglia doveva finire così come è finita.
Chi è che vincerà la guerra? Voi direte: il popolo che è più armato. Non basta. Il popolo che ha le più grandi disponibilità di materie, prime. Non basta. Il popolo che ha i più grandi generali. Nemmeno. Questa guerra sarà vinta da quelle Forze Armate che avranno la più alta coscienza politica. È finito il tempo in cui si diceva che il soldato non deve fare la politica. No, sbagliato. Si poteva dire nel tempo in cui c'erano dieci, quindici partiti: non si poteva permettere che si facessero nelle caserme dieci, quindici propagande politiche. Ma ora c'è un Partito solo, un regime solo. E quindi le Forze Armate non saranno mai abbastanza politiche, mai abbastanza fasciste. Senza di che non si vince. Ci vogliono i soldati fascisti che combattano per il fascismo. Perché questa è una guerra di religione, di idee. Oggi tutti quelli che erano gli obiettivi territoriali sono in secondo piano. Con questo non si vuol dire che questi obiettivi, pur passati al secondo piano, non siano sempre presenti. Sono sempre presenti perché rientrano in duella sistemazione di tutte le nazioni europee che deve riconoscere a noi il nostro spazio vitale.
Ma il problema d'oggi è un problema di idee. È un'autentica guerra di religione. Ora le guerre di religione sono vinte dai soldati più fanatici, cioè che credono più intensamente dell'avversario nelle idee che essi rappresentano e difendono. Naturalmente occorre anche il resto, cioè le armi, i generali, il morale del popolo. Ma quello che accade in Russia è indicativo. In Russia, almeno la metà dei soldati si batte perché è comunista, si batte contro il fascismo. Tutti i bollettini parlano della guerra contro « il fascismo », perché dicendo « nazionalfascisti » potrebbero creare degli equivoci. E infiammano i soldati mettendo l'accento su due parole: comunismo e patria, patria e comunismo. Ma forse la parola comunismo è ancora prevalente sull'altra. E questo spiega la resistenza di Stalingrado, la violenza degli attacchi dei russi e il disprezzo che i russi hanno dinanzi alla morte. Questa massa di militanti politici in uniforme è quella che dà il lievito a tutto l'Esercito russo. Aggiungete il resto, rappresentato da stirpi guerriere asiatiche, guerriere per natura, e vedrete che non è più sorpresa quello che è accaduto.
Naturalmente, sul piano dei valori, i valori dell'Asse sono prevalenti e quindi, malgrado le alterne vicende, l'esito è sicuro. Eravamo male informati, erano male informati sulla Russia, ma non c'è alcun dubbio che la propaganda bolscevica aveva attinto in profondità tutte le masse del popolo russo. Ora qui siamo dianzi ad un anno, il 1943, che sarà veramente di una importanza fondamentale nella storia italiana. È l'anno in cui il regime deve manifestale la sua forza e il popolo italiano superare un collaudo, che si presenta serio. Non vi è dubbio che l'Aventino internazionale porterà il suo sforzo contro l'Italia. Anche questo era da prevedersi.
Per me è stato sempre più importante occupare l'Egitto che occupare l'Inghilterra. Quando si è occupato l'Inghilterra, non si è risolto il problema. Ma quando si fosse occupata quella cerniera di tre continenti che è l'Egitto, scendendo verso il mare Indiano e prendendo contatto coi giapponesi, noi avremmo spezzato la spina dorsale all'imperialismo britannico. Questo non è accaduto, perché ognuno ha le concezioni che derivano da una situazione storica. La nostra era mediterranea, quella dei germanici continentale. Necessaria anche quella, perché ci ha permesso di entrare in possesso di vaste regioni ricche di materie prime, con cui si può attivare e prolungare la resistenza. Ma non c'è dubbio che ad un certo momento bisogna portare tutto il peso verso l'occidente, perché la guerra sarà risolta in occidente, sarà risolta nel Mediterraneo. Noi abbiamo quindi il privilegio di antivedere urlo sforzo nemico diretto particolarmente contro l'Italia. Perché? Perché si pensa, prima di tutto, che l'Italia sia, dei due soci, il più debole, ma soprattutto perché si conta sopra una deficenza del nostro morale. Per cui, ad un certo momento, sotto l'azione dei bombardamenti, il popolo dovrebbe manifestare la sua tendenza ad ottenere una pace, una pace qualsiasi, una pace separata. Ora bisogna che ognuno di noi sia convinto, bisogna che ogni fascista sia convinto che questa sarebbe la più catastrofica delle soluzioni, che questo ci disonorerebbe per secoli, che la « generosità » degli anglosassoni non esisterebbe o sarebbe precaria e temporanea, perché non c'è da farsi illusioni sul ruolo che gli Alleati riserverebbero all'Italia quando essa fosse vinta. Appunto perché noi siamo stati gli iniziatori, i pionieri di questa rivolta universale. Ora noi abbiamo l'orgoglio di tutto ciò, profondo, e quindi siamo preparati a rispondere con colpi ai colpi che ci verranno inferti.
Non credo che si tenterà di fare un fronte terrestre contro di noi. È troppo tardi: abbiamo già preso le nostre misure. Poi, bisogna che essi cerchino i punti là dove le condizioni si presentino più favorevoli. Perciò è nei Balcani, io penso, che probabilmente gli sforzi anglosassoni si dirigeranno.
Noi abbiamo visto finora quanto segue: una grande capacità di resistenza della Germania. Di quando in quando circolano in Italia delle voci per quello che riguarda il morale tedesco. Si parte sempre da un equivoco. Siccome in Germania non ci sono delle manifestazioni di entusiasmo, si crede che il popolo tedesco non desideri la vittoria. Ora il popolo tedesco, in tutte le sue categorie, dalle più alte alle più basse, sa quale è la posta del gioco, perché è chiaro che gli anglosassoni domani farebbero alla Germania quelle condizioni che furono fatte nel trattato di Versaglia, cioè la paralizzerebbero per generazioni. E progetti che sembrerebbero pazzeschi, di deportare milioni di tedeschi, di sterilizzarne una quantità, non sono così pazzeschi come sembra. Vi sono coloro che li patrocinano. E d'altra parte Clemenceau a Versaglia poneva il problema in questi termini : ci sono venti milioni di tedeschi in più, in Europa. Non diceva: bisogna sopprimerli, ma lo lasciava pensare. Oggi ce ne sono quaranta milioni in più. II morale dei tedeschi è assoluto, e voglio aggiungere che il loro stato d'animo nei riguardi dell'Italia migliora continuamente. E non bisogna formalizzarsi per taluni incidenti che capitano specialmente di sera, dopo aver bevuto dei vini che sono di una gradazione piuttosto notevole; e succedono quelle cose che si chiamano bastonature, qualche rottura di vetri. Tutto questo non ha importanza. Poi c'è la loro Polizia e la nostra che mettono subito le cose a posto.
Così per le batterie contraeree tedesche inviate in Italia e che hanno già fatto una buona prova : bisogna che i fascisti siano accoglienti, camerateschi con questi uomini che sono venuti fra noi. Certi puntigli, certe eccessive suscettibilità sono deteriori, un elemento veramente negativo del carattere degli italiani, che non vorrebbero essere aiutati da nessuno. Ma ciò è troppo! L'Inghilterra, che è l'Inghilterra, si fa aiutare da ventisei nazioni! La Russia dall'Inghilterra e dagli Stati Uniti. E quindi noi possiamo essere tranquilli e non farvi sopra un caso di orgoglio nazionale, che sarebbe veramente male calcolato.
Bisogna riconoscere, per quella obiettività che ci guida, che anche il popolo inglese è duro, deciso e ha superato le prove del bombardamento in una maniera che bisogna riconoscere positiva. Per sei, sette mesi, l'Inghilterra è stata bombardata. In un opuscolo uscito in questi giorni, « In prima linea », vengono riferiti i dati delle distruzioni tedesche in Inghilterra: un milione e mezzo di case, città intere distrutte, come Coventry e altre. L'inglese è convinto che egli difende i diritti sacri della libertà dell'umanità e poggia sopra una forza che è l'antitesi del genio: la stupidità. Non vi è dubbio che la grande maggioranza del popolo inglese è veramente cortissima di cervello, lenta nelle proprie elaborazioni mentali, assolutamente incolta per quello che riguarda la situazione degli altri popoli. Io scommetto che ci sono ancora milioni di inglesi che stimano l'Italia qualcosa poco più del Portogallo, ma non molto, e che, avendo veduto dei gelatieri italiani in Iscozia, pensano che quella sia la principale delle nostre industrie. Ora questa massiccia stupidità è una forza. Questo permette di far credere alle favole più assurde: quelle che noi andiamo documentando nel « Documentario della stupidità nemica ». É una cosa che ha avuto abbastanza successo. Dichiaro che sono d'accordo che non sarebbe male lasciare libera l'ascoltazione delle radio straniere e lo farei, se io non fossi ostile a modificare le leggi. Io penso che non ci sarebbe nessun pericolo se fosse concesso di ascoltare le radio inglesi : sono talmente stupide, che la maggioranza degli italiani, dopo aver aperto per qualche sera la radio, non ci farebbe più alcun caso; siccome non è più cosa proibita, non avrebbe più nessun speciale interesse.
Un altro popolo sul cui morale può assolutamente farsi assegnamento come membro del Tripartito è il Giappone. Il giorno in cui riuscissimo a non far più una guerra parallela, come stiamo facendo, ma una guerra collegata per mare e per terra, io credo che l'apporto dei giapponesi sarebbe veramente decisivo. Il Giappone ha realizzato le premesse per una lunga guerra. Popolo ricchissimo, ora, ha indebolito di altrettanto i nostri nemici.
In Russia, dal punto di vista della coesione interna, sono in condizione che bisogna chiamare buona. Mettono l'accento sulla propaganda e sulla repressione. Quando i tedeschi erano a trenta chilometri da Mosca, a Mosca c'era molta gente con le brache in mano e Stalin li ha fatti fucilare tutti : da dieci a quindicimila. Tutti quelli che tremavano, che vociferavano: « I tedeschi sono già al Cremlino! ». Senza tanti processi. Ne viene di conseguenza che quelli che rimangono o sono resistentissimi per convinzione o per l'altro motivo. Perché non hanno più scelta. Pochi giorni or sono, il presidio bolscevico di Mosca ha diramato un ordine del giorno così concepito: « Tutti gli ufficiali dei reparti che avranno perduto una bandiera saranno deferiti al Tribunale militare ». Questo è interessante. Ma più interessante il resto. Così, diceva questo ordine del giorno bolscevico, continuiamo la tradizione inaugurata da Pietro il Grande, il quale con questi procedimenti ottenne dei risultati più che soddisfacenti, tanto che alla battaglia di Borodino non fu perduta una sola bandiera.
Per quanto concerne il morale, per i cosiddetti statunitensi c'è un grande fracasso giornalistico, propagandistico, negli Stati Uniti; ma ho l'impressione che la posizione di Roosevelt non sia così forte come era alcuni anni or sono. Quelli che si chiamano i non partecipanti, gli isolazionisti, esistono ancora e si fanno sentire. Le ultime elezioni sono già indicative del quadro. Quello non è un popolo, è una popolazione, una distinzione questa che i fascisti devono sempre tener presente. Un conto è un popolo, un conto è una popolazione. La popolazione diventa popolo quando comincia a rendersi conto dei suoi obiettivi strategici: se no è l'equivalente del gregge umano. Con ventidue milioni di negri, con venti-trenta milioni di uomini di tutte le altre razze, è una popolazione che non può insegnare alcuna civiltà agli altri popoli. Per molte ragioni. Prima di tutto, perché non è riuscita, in centosettanta anni, a liberarsi della pratica del linciaggio; ha il più alto numero di delinquenti; ha eretto un altare a un dio solo, il dollaro; ha fatto perno della vita individuale, collettiva, il guadagno. I soldati che abbiamo fatto prigionieri in Tunisia apparivano molto seccati dal fatto che pioveva continuamente. Io comprendo che per il soldato la pioggia sia fastidiosa, ma d'altra parte non si può garantire il sole, nemmeno in Africa.
Quanto al Presidente, il Presidente Roosevelt è un uomo che non può non odiare genere umano. Deve odiare il genere umano. Se non odiasse il genere umano, sarebbe un asceta, un santo; ma egli non è né l'uno, né l'altro. E’ un uomo che ha saputo sempre fare molto bene i suoi affari, ma sul quale il destino ha tratta una delle sue più feroci vendette; un uomo che a quarantatré anni è stato colpito da paralisi infantile, caso che avviene, dicono i medici, una volta ogni milione di casi. È un uomo che sta in piedi soltanto quando viene sorretto, che non può stare in piedi nemmeno con le macchine di cui è provvisto. Mettiamo ognuno di noi in questa situazione e voi vedrete che un uomo di questo genere non può far suo il motto famoso del poeta Terenzio « Sono uomo e niente di ciò che è umano mi è straniero ».
Finalmente viene l'Italia. L'Italia passa per una nazione latina. S'è discusso tanto su questa parola e avevamo deciso di accantonarla perché si presta a molti equivoci. Però, per amore del ragionamento, consideriamo l'Italia appartenente al gruppo delle nazioni che sono formate sul ceppo romano, latino. Ora la Francia è liquidata. La Spagna dovrà alla fine decidersi; ma è bene che si decida tardi. Non è un discorso paradossale. La Spagna deve ancora curare le sue ferite. Poi, coloro che sono dentro le segrete cose sanno come tra noi e i germanici continuamente ci siano discussioni per dividerci le nostre risorse. Domani ci sarebbe un terzo che verrebbe a chiedere grano, petrolio, locomotive, eccetera. Poi l'apporto che ci potrebbe dare oggi, sarebbe, si può dire, irrilevante. Però anche per la Spagna si delinea l'Aventino. I rossi stanno ricostituendo le loro brigate nel territorio ospitale dell'Algeria. Non è improbabile che ad un certo momento Negrin faccia la sua apparizione ad Algeri. Questo ha già suscitato una certa impressione nella Spagna, che è impegnata in quanto manda i suoi legionari a combattere sul fronte russo e ha il Marocco spagnolo che sta alle spalle di tutto lo schieramento anglosassone nell'Africa del Nord. I generali anglosassoni non ignorano la esistenza di centocinquantamila spagnoli marocchini, tra Melilla e Tangeri.
Il popolo italiano ha oggi l'occasione storica per dimostrare di quale tempra è fatto. Il problema è molto grave per noi. Si tratta cioè di domandarsi se venti anni di regime fascista abbiano modificato le cose nella superficie, lasciandole presso a poco eguali nella profondità. Lo vedremo entro il 1943. Ora se voi mi domandate: « Qual'è la vostra opinione? », la mia opinione è la seguente: che il popolo italiano terrà durò, che il popolo italiano stupirà il mondo. Il popolo italiano deluderà gli anglosassoni, i quali sono già abbastanza delusi. Si ritiene che gli inglesi siano un popolo flemmatico. Falso: è uno dei popoli più isterici che siano sulla faccia della terra. Sono in uno stato di perenne eccitabilità. Essi pensano, credono che noi molleremo. No. II popolo italiano alla fine del 1943, che non è l'anno conclusivo della guerra, ma è un anno decisivo, durante il quale si vedrà dove pende la bilancia, supererà tutte le prove.
Io ne ho una convinzione vorrei dire matematica. Ma questa convinzione non basta. In un popolo ci sono diverse categorie, proprio dal punto di vista di quella che io chiamo la resistenza nervosa. Non si nasce tutti eguali, tutti forti, tutti alti, con un sistema nervoso solido. C'è un'aliquota più o meno numerosa di individui che hanno il sistema nervoso delicato. Non sono pericolosi, ma possono determinare delle oscillazioni spiacevoli. E poi c'è una minoranza di veri e propri disfattisti che si compiace di prevedere catastrofi, le dirama. Quelli devono essere energicamente curati.
Voi sapete che io sono un esaltatore del Partito. Il Partito è veramente l'anima, il motore della nazione. Nello scorso inverno, malgrado le previsioni nere dei soliti profeti di sciagure, bisogna ammettere che la situazione alimentare è migliorata. Non vogliamo esagerare, ma l'impressione generale, la constatazione ci dice che dal punto di vista alimentare le cose vanno un pochino meglio. Nell'inverno 1943-1944 andranno ancora meglio. Abbiamo qui realizzato un miracolo della organizzazione. Una concezione sbagliata è quella che il popolo italiano sia incapace di organizzazione. È falso. E’ il popolo che ha più alta capacità organizzativa fra tutti i popoli; perché lavora sempre sui margini. E’ facile organizzare quando c'è tutto, non è altrettanto facile organizzare quando mancano diverse cose. Migliorando la nostra organizzazione, si può prevedere che la situazione, dal punto di vista alimentare, sarà ancora migliorata.
Come tenere alto, fermo, solido il morale del popolo italiano? Se noi ci ripromettessimo di portare ai gradi dell'esaltazione e di un entusiasmo quotidiano il popolo italiano, noi non raggiungeremmo questo scopo e quindi non ce lo dobbiamo porre, per non dover poi constatare il nostro insuccesso. Questa è una guerra che ha tale portata che richiede una cosa sola, preminente, decisiva: la risoluzione di tener duro sino in fondo. Questo si può e si deve chiedere al popolo italiano. Il compito del Partito è questo. Come lo deve svolgere? C'è un'opera di assistenza che il Partito sta già svolgendo verso le famiglie dei combattenti. Bisogna insistere su questo punto, non tanto per l'assistenza materiale, quanto per quello che riguarda l'assistenza morale.
Il Partito deve essere lo strumento attraverso il quale diventa sempre più politico l'insieme delle nostre Forze Armate. La propaganda deve essere fatta secondo i luoghi e il tempo. C'è una propaganda affidata all'Istituto di cultura fascista, poi una propaganda diretta di tutti gli uomini del Partito nel nucleo familiare, nel Fascio, nel Dopolavoro, nelle conversazioni. Eliminare tutti quelli che rappresentano dei pesi morti; tutti quelli che sono stanchi e deboli, che hanno un passo ritardato e ritardatario devono essere allontanati. Non è necessario che i fascisti in Italia siano quattro milioni. Non è nemmeno male, perché non si può dirigere una grande nazione diventando una conventicola in una torre d'avorio. L'importante è che vi siano alcune centinaia di migliaia di camicie nere consapevoli, decise, pronte, unite e dal punto di vista ideale di assoluta fiducia.
Io penso che la storia, in fondo, è stata abbastanza benigna con noi; ci ha permesso di vivere delle grandi ore. Voi sapete quello che io penso di una vita singola. Chi non sente il bisogno di fare un po’ di guerra, per me è un uomo mancato. La guerra è la cosa più importante, nella vita di un uomo, come la maternità in quella della donna. Tutto il resto è importante, ma non come questo esame, questo collaudo delle qualità intrinseche dei popoli. Solo la guerra rivela quello che è un popolo, le magagne che portava dentro, che passavano inosservate agli osservatori mediocri, superficiali. Ad un certo punto, scoppia una guerra, investe un popolo in tutti i suoi componenti, e allora si vede che cosa aveva questo popolo nel suo spirito, nei suoi muscoli. La storia non offre altre possibilità di esame comparativo tra i popoli. L'esame comparativo dei popoli è dato dalla guerra e soltanto ed esclusivamente dalla guerra. Perché la guerra è la sintesi in cui tutto converge e tutto si raccoglie, in cui tutto è in gioco.
Io penso che il popolo italiano ha le qualità per resistere, per tenere duro, per vincere. E alla fine del 1943, dell'anno XXI, noi avremo l'orgoglio di poter dire: effettivamente abbiamo realizzato quello che volevamo. Ora, se non completamente, in gran parte cioè, abbiamo trasformato, avviata la trasformazione del popolo italiano, perché questo è il compito supremo della rivoluzione. Tutti gli altri sono secondari. Il compito supremo della rivoluzione fascista è la trasformazione del popolo italiano, facendo del popolo italiano quello che noi consideriamo un popolo forte. Quest'anno si decide se il popolo italiano ha un avvenire o no, se il popolo italiano deve rassegnarsi ad essere un popolo di turisti, una grande Svizzera, dove c'era come portiere monumentale degli alberghi Giovanni Giolitti, o un popolo che ha la coscienza di ciò che è stato, ma soprattutto di ciò che deve essere.
Io vado incontro a questi mesi con un appassionato interesse e con una certezza assoluta. Avremo delle prove dure da superare, e dei momenti penosi, ma è la guerra, signori. La guerra non è un seguito ininterrotto di brillanti vittorie, perché, se ciò fosse, finirebbe sul cominciare. La guerra ha i suoi alti e bassi, ma non bisogna mai dimenticare che questa è una guerra tridimensionale: anche nel mare, nel cielo. E l'ecatombe, la vera ecatombe del naviglio mercantile nemico, è veramente drammatica ed è uno degli elementi decisivi della nostra vittoria. Ad un certo momento i mari saranno pieni, letteralmente, di sottomarini italiani e tedeschi. E allora vedremo se l'insularismo britannico potrà salvare questa plutocrazia che ha finito, come doveva finire, alleandosi al bolscevismo. Ci sono dei riferimenti storici che talora fanno riflettere. Quando io leggevo il telegramma bombastico della signora Churchill per Stalin, io ricordavo che fenomeni simili avvenivano nella decadenza dell'impero romano. Le matrone romane, ad un certo punto, disdegnarono la vecchia religione degli avi, solida, domestica, che doveva servire all'uomo, per andare incontro ai culti orientali. Quando giunse ad Ostia una statua di Mitra, ci fu un corteo di matrone romane che andarono a vedere questa statua che veniva dall'Oriente. Segno di decadenza. Poi, più tardi ancora, la moda dei costumi esotici: il sentirsi affascinati da questi uomini che venivano dal nord, che erano selvaggi, però robusti. Questo accade nel secondo, terzo secolo dopo Augusto. Erano i segni di una decadenza dell'animo dei componenti dello Stato. Questa mania della moda bolscevica che oggi imperversa in Inghilterra, è un segno di decadenza. Ciò significa che l'impero britannico non fa più affidamento sulle sue forze tradizionali, intime, ma conta sull'apporto dei russi, i quali, secondo l'incoercibile egoismo inglese, sono molto utili perché muoiono per l'Inghilterra. E l'Inghilterra è disposta a fare la guerra sino all'ultimo russo, come era disposta a farla sino all'ultimo francese.
L'attività del Partito non deve essere statica, ma dinamica. Bisogna circolare nelle provincie. Vedere, constatare d'improvviso il funzionamento capillare del Partito. Dare importanza a questi piccoli Fasci del villaggio, perché lì c'è poi l'Italia fondamentale, l'Italia vera. E qualche volta sono dimenticati. Non è necessario fare delle manifestazioni o delle adunate. Si parla, si chiamano i fascisti, si dice quello che si deve dire.
Queste sono le direttive che io assegno in questo 3 gennaio. Poi aggiungo che ogni mese la riunione del Direttorio, al completo, quindi presenti anche gli ispettori, sarà tenuta a palazzo Venezia, e sarà presieduta da me. Così lavoreremo insieme.