Saturday, 3 March 2012

Discorso alla Camera, 1 dicembre 1921

Per la vera pacificazione

di Benito Mussolini

Onorevoli colleghi! Ho ascoltato con viva attenzione i discorsi pronunziati in quest'aula dagli onorevoli Ferri, Dugoni e in parte dall'onorevole Vacirca. Ho ascoltato pure con vivo interesse il discorso dell'onorevole Graziadei e ho notato che il suo metodo polemico non cambia per volgere di stagione; egli cioè ci presenta due Graziadei: uno che è lo studioso e un altro che è, oggi, il comunista. Ma ascoltando appunto i discorsi degli onorevoli Ferri e Dugoni, io mi sono posto questo quesito, se, cioè, la discussione che dura da tre giorni abbia un'utilità qualsiasi.

Mi aspettavo, da quei banchi, dei discorsi che fossero per forma e per contenuto in relazione al testo più estremista della mozione. Ma l'onorevole Ferri e l'onorevole Dugoni, invece di sparare con le grosse artiglierie dell'intransigenza classista, riaffermata nel congresso di Milano, hanno a mio avviso fatto delle salve a scopo puramente dimostrativo, dei discorsi dai quali trasparivano evidenti delle nostalgie collaborazioniste, che la direzione del partito non può non sconfessare. E se così blandi sono stati questi discorsi, ciò significa in realtà che manca la materia del contendere.

Quando l'onorevole Ferri rimprovera all'onorevole Bonomi solo un'insufficienza di Governo, io non voglio qui precedere l'onorevole Bonomi, ma egli può trionfalmente rispondere che qualsiasi uomo a quel banco, per quanto possa essere saggio o potente più d'ogni altro, sarebbe sempre insufficiente davanti a qualche cosa.

E allora discutiamo se è possibile su l'utilità di questa discussione. Un'utilità innegabile si può sintetizzare in questa domanda: il Governo dell'onorevole Bonomi ha fatto quanto poteva e doveva per ristabilire il così detto impero della legge e la pacificazione interna del paese?

Mi permetto di rilevare che non c'è assoluta interdipendenza tra il ripristino dell'autorità statale e la pacificazione interna. Il ripristino dell'autorità statale può contribuire alla pacificazione interna, ma alla pacificazione interna devono contribuire altre forze, a mio avviso, e cioè la disciplina e il controllo dei partiti, il favore o meno dell'opinione pubblica. L'utilità positiva di questo dibattito può dunque consistere in questa domanda. Può la Camera e deve la Camera dare al Governo di oggi o a quello eventuale di domani una linea direttiva per raggiungere gli obbiettivi che stanno sul labbro di tutti, e cioè la restaurazione dell'autorità dello Stato e la pacificazione interna?

Io vorrei che a proposito della crisi italiana non si esagerasse. Prima di tutto gli altri popoli non stanno meglio di noi. Si dice da varie parti che la Germania sta riprendendosi energicamente, e può essere vero sotto un certo punto di vista economico, ma la Germania è però percorsa da una crisi morale acutissima.

Del resto in Italia questa lotta di fazioni è limitata a delle esigue minoranze di fronte a una massa imponente di popolazione. Ci sono delle province dove risse civili non ce ne sono mai state; ci sono delle province dove queste ci sono state, ma dove si sono ripristinate le condizioni del vivere civile; ci sono province dove la lotta infuria ancora. Se fosse concesso tirare due linee per individuare geograficamente la situazione, una linea andrebbe da Livorno ad Ancona e l'altra potrebbe essere data dalla Valle del Po. Ora domandiamoci: la situazione dall'agosto ad oggi è migliorata? È peggiorata? È stazionaria?

Ritengo che i punti neri della situazione siano il deficit finanziario, la disoccupazione e il caro-viveri; elementi favorevoli della situazione sono da considerare lo stato d'animo delle masse operaie e la situazione dei diversi partiti così detti sovversivi. È innegabile che il proletariato italiano si trova in un periodo che io chiamerei di sbandamento morale, non già per l'azione più o meno violenta del fascismo, ma per il crollo di tutta l'ideologia che aveva alimentato potentemente gli entusiasmi del dopo guerra. D'altra parte i partiti sovversivi sono in fiero contrasto fra di loro, ed io, che seguo attentamente la letteratura così detta sovversiva, ho motivo di rallegrare il mio spirito quando, per esempio, vedo i comunisti che definiscono il partito socialista come un circo Barnum. Per loro Serrati è un politicante qualunque; ma sono così privi di religione questi comunisti cerebrali di Torino e di Roma che non rispettano nemmeno gli idoli ed i santoni del sovversivismo italiano. Per loro, per esempio, Enrico Malatesta, questo spauracchio di tutta la borghesia, è un fanciullino che legge romanzi polizieschi, Luigi Fabbri, un teologo di villaggio, Armando Borghi un buffone, che non sa ridere e non fa ridere: dal canto loro gli anarchici definiscono il direttore dell'Ordine Nuovo, un finto stupido, finto veramente perché si tratta di un sardo gobbo e professore di economia e filosofia, di un cervello indubbiamente potente.

In questa situazione la borghesia italiana deve essere straordinariamente intelligente, non deve cioè irrigidirsi in posizioni di non necessaria intransigenza classista, e meno ancora pensare di respingere le masse laboriose della Nazione in condizioni di vita sorpassate, la quale cosa non potrebbe essere mai tollerata dal fascismo italiano.

Quando la Camera aggiornò i suoi lavori, mi pare nell'agosto, il ministro Bonomi ebbe un duplice viatico, un viatico di voti, un'enorme maggioranza, come non si poteva nemmeno sognare, e il trattato di pacificazione. Io credo che l'onorevole Bonomi non si sia fatto illusioni sulla reale efficienza di quel voto di maggioranza.

Quanto al trattato di pacificazione io devo farne parola perché molto se n'è discusso in questi giorni. Il trattato di pacificazione fu voluto indubbiamente da uomini di nobile sentire, preoccupati delle condizioni nelle quali la Nazione si trovava in quel periodo di tempo. Ma devo riconoscere che il merito precipuo della stipulazione di questo famoso e famigerato trattato deve essere assegnato al Presidente della Camera: egli fu di un'abilità portentosa per superare tutti gli ostacoli procedurali e di sostanza, perché fino all'ultimo momento, quando già si trattava della firma, l'onorevole Musatti sollevò le ultime eccezioni; furono trattative lunghissime, estenuanti, non se ne poteva più; e, d'altra parte, la coscienza nazionale reclamava energicamente un atto, un gesto, un qualche cosa che significasse volontà di pace.

Così venne alla luce il famoso trattato. Il quale ha dato quello che poteva dare.

Tutti dobbiamo riconoscere in questa Camera che da allora le spedizioni punitive fasciste in grande stile come quella di Sarzana, come quella di Treviso, come quella di Viterbo, non si sono più verificate.

D'altra parte s'è visto che il Governo con le sue misure di semplice polizia non ha potuto e non ha saputo fronteggiare la situazione.

I comunisti erano al di fuori del trattato, ma i socialisti non erano in buona fede quando lo firmarono, e lo hanno dimostrato con una similitudine curiosa; paragonando cioè il loro partito al galantuomo assalito da furfanti: il galantuomo consegna la pelliccia salvo l'indomani a far arrestare e fucilare i furfanti stessi!

Non è vero, onorevole Ferri, che quelle giornate di Roma siano la conseguenza della denunzia del trattato di pacificazione. Non è vero. Non è vero dal punto di vista cronologico, perché il trattato di pacificazione è stato formalmente denunziato all'indomani delle giornate di Roma.

Ma, a proposito di queste giornate, bisogna dire qui una parola di obbiettiva sincerità. Io riconosco, subito, che il fascismo nelle sue masse, nelle sue masse profonde non era preparato politicamente a conquistare le simpatie di Roma e non era preparato nemmeno moralmente. (Commenti, rumori).
È ridicolo e significa dar prova d'incomprensione dei fenomeni storici attribuire al fascismo italiano una specie di profanazione della storia e della gloria della capitale.

Noi fascisti, unici fra tutti i partiti italiani, abbiamo scelto giornata di festa il 21 aprile, annuale della fondazione di Roma; noi, per tutta la nostra forma mentis, per tutto il nostro stile, siamo degli esaltatori di tutto ciò che è romano. Non voglio qui esaltare Roma perché poeti, filosofi, pensatori prima di me e in modo magnifico lo hanno fatto; ma noi fascisti non possiamo dimenticare che Roma, questo piccolo territorio, è stato una volta il centro, il cervello, il cuore dell'impero; non possiamo dimenticare nemmeno che a Roma, su questo breve spazio di suolo, si è realizzato uno dei miracoli religiosi della storia, per cui un'idea che avrebbe dovuto distruggere la grande forza di Roma è stata da Roma assimilata e convertita in dottrina della sua grandezza.

Per tutto questo noi, senza contare le nostre reminiscenze letterarie, senza contare Carducci e d'Annunzio, noi siamo degli ammiratori, degli esaltatori di Roma, ed io in particolar modo insorgo e protesto contro certe manìe provinciali, perché la storia è stata sempre fatta dalle grandi città. Può qualche volta la storia finire in un piccolo villaggio, ma è concesso soltanto alle grandi agglomerazioni umane, alle grandi città, di determinare gli eventi capitali della storia.

C'è stato un fenomeno di incomprensione tra i fascisti e la popolazione romana e sono così sincero da ammettere che la simbologia fascista, pittoresca, se si vuole (commenti a sinistra), ma ricordante troppo da vicino i simboli della fase estrema della guerra, abbia urtato una popolazione come quella di Roma, che è fondamentalmente edonistica, cioè portata a vivere tranquillamente la propria giornata, con una psicologia speciale, dovuta al fatto che sulle mura di Roma si sono abbattute orde e civiltà di tutti i tempi.

I fascisti credevano che il popolo di Roma fosse loro contrario; viceversa il popolo romano credeva che i fascisti fossero venuti a Roma per fare chi sa quale mai fantastica spedizione punitiva.
Io ricordo che nel discorso dell'Augusteo dissi ai fascisti parole durissime, come forse non ne poteva dire nemmeno un socialista; dissi che era eccessivo il saluto ai gagliardetti; ma vi faccio considerare che le fedi che sorgono sono necessariamente intransigenti, mentre sono transigentissime le fedi che declinano e muoiono. (Approvazioni a destra).

Ed anche a proposito dell'Augusteo pareva che esso fosse stato schiantato dalle fondamenta. I danni, verificati minuziosamente, si riducono a 18.000 lire, e, quando voi considerate le condizioni eccezionali del momento, non sono eccessivi.

Sono così obiettivo da riconoscere che l'atteggiamento del Governo in quell'occasione può essere giustificato fino al giovedì sera. Il Governo tollerando lo sciopero generale non poté infierire sui fascisti e viceversa, ma il giovedì sera la situazione era mutata. Giovedì sera partirono i primi cinquecento operai fascisti del Grossetano. Il Governo ha portato per quattro giorni sulle sue braccia uno sciopero generale, che doveva essere fronteggiato fin dal giovedì sera, e solo domenica mattina e lunedì mattina si è ricordato che esiste un famoso articolo 56 che era applicabile ai ferrovieri scioperanti.
Molto si è gridato contro i danni dell'Augusteo che assommano a 18.000 lire, ma dei milioni di danni che lo sciopero dei ferrovieri romani e napoletani ha recato alla Nazione intera nessuno ha parlato. (Applausi a destra, interruzioni all’estrema sinistra).

È stato denunciato il trattato di pacificazione, e qui l'onorevole Dugoni è venuto con voce melodrammatica a gridare: Non si vive più! È verissimo. Io voglio immediatamente associarmi all'affermazione dell'onorevole Dugoni: non si vive più!

Noto che molti dei fascisti uccisi sono proletarî. (Commenti). Ricordo che il giorno in cui a Trieste cadeva ucciso il povero Müller, a Castel S. Pietro cadeva ucciso Remo Ravaglia, che non era un pescecane, non era uno sfruttatore del proletariato, ma un popolano fascista. E l'altro giorno a Bologna è morta una seconda vittima dell'agguato social-comunista di Castel S. Pietro, Giuseppe Barnabei, proletario, tanto proletario che ha lasciato la moglie e cinque figlioli.

Ebbene, leggendo le parole pronunziate da quell'umile proletario, mentre stava per morire, ho ripensato ad un periodo di un libro di Maeterlinck, il poeta belga, sulla saggezza e il destino. Dice il sommo poeta belga che il destino concede a tutti gli uomini, siano essi grandi o piccini, intelligenti o no, di compiere durante la loro vita un gesto di grandezza, di pronunziare una parola di grandezza.

Ebbene, quell'umile proletario, dopo essere stato confortato dalla religione, ha chiamato il padre e ha detto: «Hanno fatto male lassù a ferirmi, ma perdono loro». Voi sentite nelle parole estreme di questo oscuro bracciante qualche cosa che ricorda l'invocazione del Cristo che, crocefisso, perdonò i crocefissori. (Commenti). E veniamo ai fatti di Trieste. Io ho deplorato il fatto, apertissimamente, e lo deploro ancora oggi. Ma mi sono opposto e mi oppongo alla speculazione che su questo cadavere è stata inscenata dai social-comunisti, in malafede, perché, tra l'altro, il Müller non era comunista, non era socialista. (Commenti). Aveva nelle tasche una tessera della Società generale liberale Triestina, una della Società operaia e una della Lega Nazionale. Non solo. E qui la tragedia raggiunge veramente dei confini che stanno fra il sanguinoso e il grottesco: questo ucciso durante le ultime elezioni avrebbe lavorato per il blocco nazionale e avrebbe dato il voto preferenziale all'onorevole Giunta! (Commenti).

Voi vi siete afferrati a questo cadavere e ci avete speculato, ed avete dimenticato quello di Castel S. Pietro, ed avete negato a noi ogni sincerità di umanità e di partito!

Signori, io mi ricordo che quando si metteva in dubbio la vostra sincerità a proposito della vostra deplorazione dopo gli eccidî del Diana, voi protestavate con voce indignatissima. Noi vi chiediamo la reciprocità. Dovete credere alla nostra sincerità. Delitti come quelli di Trieste non danneggiano la compagine interna del comunismo che in modo appena percettibile, ma non giovano nemmeno al fascismo, perché non è nella linea di questa tragica altalena che si può trovare utilità da alcuna parte.

Noi dunque, almeno dal punto di vista politico, siamo sincerissimi quando deploriamo altamente episodî come quelli di Trieste. (Commenti).

Ma è proprio il caso di dire salus ex inimicis nostris. Voi avete risposto ai fatti di Trieste con uno sciopero tipografico generale. Io ho spezzato il vostro sciopero. Questo vi dimostra che i tipografi non sono tutti con voi. Non solo, ma annunzio che tutte le volte che vi sarà uno sciopero politico, al quale aderiranno i tipografi, il Popolo d’Italia uscirà egualmente! (Applausi all’estrema destra, rumori all’estrema sinistra).

Voi ricadete nello stesso errore di stancheggiare la massa operaia con una serie di scioperi... (Approvazioni, rumori all’estrema sinistra).

I socialisti ufficiali italiani hanno ormai tagliato tutti i rapporti con la Terza Internazionale. Non mi rivolgo a loro quindi in questo momento, ma ai comunisti quando contesto loro il diritto di lagnarsi di certi eccessi, di certe violenze compiute dai fascisti. Voi comunisti avete nella vostra tattica, nella vostra dottrina, l'esercizio del terrore. Anche oggi in Russia si continua a fucilare su tutta la linea. Sessanta persone sono state fucilate a Pietrogrado, e sessantatré a Odessa. (Applausi a destra, commenti, rumori all’estrema sinistra).

Voi dite che queste sono opinioni di un giornalista venduto alla vile borghesia; ma, allora, io vi prego di leggere gli scritti di un noto anarchico, di Luigi Fabbri, il quale racconta sul suo quotidiano che a Pietrogrado si è fucilato un anarchico, reo di avere avuto un momentaneo contatto con un agente provocatore della Ceka, che sarebbe la polizia russa attuale. (Rumori all’estrema sinistra, commenti).

Del resto, quando vi ponete sopra il terreno della forza (e la forza fatalmente ha degli episodî di violenza) non siete più in grado, non avete il diritto di lagnarvi se il fascismo vi attacca. (Vivi rumori all’estrema sinistra).

Onorevole Bonomi, vi si chiedeva una politica: voi ci avete dato una politica frammentaria, incoerente, acefala. Io non nego, per esempio, che l'onorevole Vacirca abbia delle doti per essere un eccellente questore socialista, perché egli sa che si poteva impedire l'agglomeramento dei fascisti in Roma, sia impedendo la loro partenza, sia impedendo il loro arrivo. (Rumori all’estrema sinistra, ilarità). Ora l'onorevole Bonomi, davanti a questa situazione aveva, a mio avviso, tre atteggiamenti diversi da prendere.

Tentare di schiacciare le due opposte fazioni. Diciamo subito che, per quello che riguarda noi, è assai difficile; ed aggiungo che la cosa non è scevra di pericoli, perché domani, e fascisti e comunisti, sottoposti quotidianamente ad un martellamento di polizia, potrebbero finire anche per intendersi... (ilarità, applausi all’estrema sinistra, commenti) salvo a conflittare energicamente dopo per la ripartizione del bottino (commenti), anche perché io riconosco che fra noi ed i comunisti non ci sono affinità politiche, ma ci sono affinità intellettuali. (Commenti).

Noi, come voi, riteniamo che sia necessario uno Stato accentratore ed unitario, che imponga a tutti i singoli una ferrea disciplina; con questa differenza, che voi giungete a questa conclusione attraverso il concetto di classe, e noi ci giungiamo attraverso il concetto di nazione.

Il Governo dell'onorevole Bonomi poteva appoggiarsi all'una delle fazioni per distruggere l'altra: non ha scelto questo secondo sistema, e ha preferito invece di vivacchiare alla giornata, di dare ragione un po' a tutti, di credere che una crisi politica così profonda come quella che ci travaglia possa essere risoluta attraverso a semplici, difformi ed incoerenti misure di polizia.

Ammessa dunque l'esistenza di una crisi che non si è aggravata, ma non segna nemmeno un accorciamento del nostro periodo di convalescenza, la soluzione quale può essere?

Io qui comincio a parlare più da spettatore che da attore. Ci potrebbe essere una soluzione extra-parlamentare, un Gabinetto di funzionarî e di tecnici, l'aggiornamento della Camera, la dittatura militare. (Vivaci commenti all’estrema sinistra).

Io non mi sono mai lasciato convincere da queste sirene, non ho mai creduto a queste suggestioni, anche se venivano da generali a spasso che credono di avere la ricetta specifica con cui si salva il mondo; ed anche perché la carta della dittatura è una carta grossa che si giuoca una volta sola, che impone dei rischi terribili, e, giuocata una volta, non si giuoca più.

C'è un'altra soluzione: l'appello al Paese, le nuove elezioni generali. (Si ride, commenti).

Io so che voi siete sicuri del vostro corpo elettorale, ma non credo di andare errato dicendo che la sola eventualità, lanciata così a scopo di polemica, di nuove elezioni, vi dà un leggero brivido lungo il filo della schiena. (Commenti, interruzioni all’estrema sinistra). Si tratterebbe dunque di provare con un terzo esperimento che il suffragio universale, integrato dal sistema proporzionale con scrutinio di lista, non può dare Governo diverso dall'attuale, che cioè non può essere possibile un Governo di partito, ma s'impone un Governo di coalizione. Escluse queste eventualità, occorre vedere se il crogiuolo di Montecitorio offra possibilità nuove.

Vi dico subito che non c'è nulla nel paese che denoti la volontà, in questo momento, di crisi ministeriale. (Commenti). Il Paese, nei suoi strati profondi, nelle sue moltitudini laboriose, quelle che infine formano la base della Nazione, è stanco, ha bisogno di quiete e tranquillità. (Commenti).

Questa Camera può prendere un'iniziativa del genere? Prima di tutto con quali uomini?

Si fa il nome dell'onorevole Nitti. Noi siamo avversarî tenacissimi di quest'uomo. Siamo contrarî a tutta la sua politica e soprattutto ad una sua mentalità che lo induce a misurare tutto il complesso fenomeno della storia umana sotto la specie del lato economista. (Commenti). Nitti dunque è da escludere in questo momento. D'altra parte, dopo le sassate che l'onorevole Labriola tirò nella piccionaia della democrazia unitaria, ci si domanda se questa non dovrà avere un primo esodo degli elementi nittiani, perché l'uomo che l'onorevole Labriola voleva colpire era l'onorevole Nitti.

L'onorevole Giolitti? Verso questo statista convergono sempre delle grandi simpatie. Del resto la storia è una successione di posizioni logiche e sentimentali; non si rimane sempre fissi nell'eterno amore o nell'eterno rancore. La vita è un continuo riconquistarsi. Gli amici di ieri diventano i nemici del domani e viceversa: questa è la vita. (Commenti). E voi dovete pensare al portato del relativismo o delle teorie di moda. Ciò è vero anche prescindendo da Einstein, che è un'intelligenza superiore.

Non è mia volontà parlare dell'onorevole De Nicola. Quest'uomo, piacendo a tutti, corre il rischio di dispiacere a tutti domani. (Ilarità, commenti).

La situazione politica non è veramente cambiata. Si aspettavano i congressi dei grandi partiti e ci sono stati. La situazione poteva essere data da un atteggiamento transigente di collaborazione del partito socialista; ha trionfato invece la tesi dell'intransigenza, sia pure formale.

La novità poteva essere data da un atteggiamento del partito popolare, cioè da un atteggiamento anticollaborazionista. Ma il partito popolare è un partito di pragmatisti fenomenali, che fanno la storia giorno per giorno: relativisti avant les lettres, che non hanno nemmeno lo scrupolo di collaborare con la massoneria, che non hanno nemmeno lo scrupolo di collaborare coi socialisti e forse nemmeno con noi, purché sia dato a loro una quota parte abbondante del bottino ministeriale. (Ilarità).

Dopo le elezioni io lanciai la candidatura dell'onorevole Meda, obbedendo a una logica di buon senso. Io dicevo, l'unico partito forte non solo nel Parlamento, ma nel Paese, forte per tradizioni politiche, morali, religiose e anche per la sua costituzione organica di partito, è il partito popolare. È il più numeroso che ci sia alla Camera: ha 107 deputati. Siccome il partito popolare non si ritira mai sull'Aventino ed è collaborazionista per definizione, è naturale che all'onorevole Meda tocchi logicamente il posto di presidente del Consiglio. Ma anche l'onorevole Meda pare che non voglia saperne, ragione per cui noi siamo ridotti al Ministero dell'onorevole Bonomi, il quale non è un Ministero di forza, ma è un Ministero di comodo (commenti), cioè il Ministero che tutti accettano apertamente, ma che intimamente tutti sopportano.

L'iniziativa di una crisi non viene, dunque, dal Paese e non può venire, per la situazione immutata dei partiti, nemmeno dei partiti più forti che siano alla Camera. Il partito socialista continua a rimanere sull'Aventino. C'è la democrazia sociale-liberale, che chiameremo unitaria, a scopo di brevità dei nostri nominalismi politici. La democrazia unitaria non può prendere essa stessa l'iniziativa di una crisi, perché rivelerebbe troppo apertamente il suo giuoco. Il pubblico direbbe: siete appena nati, avete appena messo i denti e avete un appetito così formidabile? (Commenti, ilarità).

E allora, signori, per uno di quei paradossi che non sono nuovi nella storia degli individui e dei popoli, e specialmente nella storia dei parlamenti, l'iniziativa di una crisi potrebbe partire dal Ministero stesso o meglio dai ministri democratici del Gabinetto Bonomi, i quali, parodiando Leopardi, potrebbero dire alla loro democrazia: «il seggio che mi desti, ecco ti rendo!». (Ilarità). Ma non credo, e me ne appello al mio amico onorevole Gasparotto, non credo ci siano tra i componenti del Gabinetto attuale delle intenzioni così manifestamente suicide. (Ilarità).

E allora la situazione, come vi dicevo, è per se stessa, per sua definizione, statica. Non ci potrà essere una nuova combinazione ministeriale, se non quando i socialisti si decideranno a spezzare il cerchio della loro intransigenza puramente formale; sino a quando la democrazia unitaria non avrà dato a se stessa un contenuto programmatico e una disciplina, che sino a oggi è totalmente mancata.

Noi votiamo contro il Ministero, non per determinare delle crisi, perché noi siamo estranei a questo giuoco per la nostra stessa posizione politica. Lo faremo per dovere di coscienza. E avrei finito, onorevoli colleghi, se non dovessi rispondere qualcosa all'onorevole Ferri, che è stato assai temperato nel suo discorso.

Veramente non è il caso di intraprendere una discussione sul positivismo e sullo spiritualismo, e io non presumo di essere depositario di una verità qualsiasi; ma quando l'onorevole Enrico Ferri parlava di trapassi di civiltà, enunciava una proposizione esclusiva, mi pareva di sentire la voce dei tempi lontani, come talvolta accade che il rombo dell'onda marina si oda ancora nel cavo di una vecchia conchiglia, abbandonata sopra un vecchio mobile di casa. (Ilarità).

Noi non ci intendiamo su questo terreno; voi socialisti siete testimoni che io non sono mai stato positivista, mai, nemmeno quando ero nel vostro partito. Non solo per noi non esiste un dualismo fra materia e spirito, ma noi abbiamo annullato questa antitesi nella sintesi dello spirito. Lo spirito solo esiste, nient'altro esiste; né voi, né quest'aula, né le cose e gli oggetti che passano nella cinematografia fantastica dell'universo, il quale esiste in quanto io lo penso e solo nel mio pensiero, non indipendentemente dal mio pensiero. (Rumori). È l'anima, signori, che è ritornata.

Ora se voi partite da queste premesse spirituali, allora vi sono di quelli i quali non vogliono capire che il fascismo non è più un fenomeno passeggero, ma è un fenomeno che durerà, si trasformerà. Io lotto per trasformarlo.

Perché qualche volta voi utilizzate quello che io vado dicendo contro gli stessi amici, come io utilizzo quello che dicono i comunisti contro gli anarchici, e gli anarchici contro i comunisti.

E voi, non volendo comprendere questo fenomeno, ed essendo incapaci di battervi sul terreno pratico per una ragione che io ho già esposto, perché il vostro materiale umano è inefficiente sul terreno della violenza, allora voi, con una contraddizione palese, formidabile, dite: dateci un Governo, che sarebbe un Governo borghese, ristabilite l'impero della legge, voi vi spiegherete certi aspetti apparentemente paradossali del fascismo italiano.

Vi si può dividere in due categorie di fronte al fascismo: alcuni di voi sono nella posizione del perfetto misoneista. (Bravo!). Tutte le mattine vi alzate e domandate: è finito? Non è finito! Passa questo ciclone? Non passa! E allora negate ostinatamente come il medico aristotelico nel «Dialogo dei massimi sistemi» che negava la circolazione del sangue, pure dovendola ammettere poiché la prova la ammetteva.

Ma pur senza disturbare le grandi ombre dei trapassati, c'è qualche cosa di recente che può darci qualche spiegazione di questa vostra cecità.

Quando nel 1873 sorse il partito operaio a Milano, lo stesso, identico atteggiamento che voi tenete di fronte al fascismo, fu tenuto dagli uomini della democrazia. Ettore Croce, Cavallotti, Romussi, che erano dei grandi ingegni, non potevano concepire il sorgere di questa nuova forza destinata a spostare l'asse della lotta civile, a mutare la posizione di predominio politico e morale della democrazia.

Ripeto, voi ricorrete all'ausilio del Governo, chiedete protezione alla forza di un Governo che è Governo borghese, e non sapete uscire da questa contraddizione in cui si annulla tutto il vostro programma. (Interruzioni all’estrema sinistra, vivi commenti).

Giunto al fine del mio discorso io pongo il dilemma: o pacificazione o guerra civile. L'onorevole Dugoni deve scegliere uno dei corni di questo dilemma, e deve dire se sceglie il primo o il secondo.

Noi ci sentiamo così forti che non abbiamo esitazione su questo terreno. Io vi rispondo subito che noi accettiamo il primo corno del dilemma, la pacificazione (commenti) per delle ragioni umane, o signori, perché i morti sono pesanti per tutti (approvazioni) e anche per ragioni politiche.

Io ho l'impressione, notate, potrei sbagliarmi, che la coscienza europea vada ritrovando faticosamente se stessa dopo i lunghi erramenti del dopo guerra, e che ritorni sulla strada della saggezza. I sintomi abbondano. Ho l'impressione che il 1922 possa essere un anno fatidico, come lo fu il 1914 che segnò lo scoppio della guerra mondiale, come lo fu il 1918 che segnò la fine delle ostilità. Forse il 1922 vedrà l'altra fine, con la revisione di tutti i trattati di pace, che non hanno dato e non potevano dare, sotto la mentalità di guerra, la pace al mondo. (Commenti).

L'Italia ha già una parte assai grande nella determinazione dei nuovi destini del mondo. È necessario che cessi il nostro guerreggiare interno, in modo che l'attenzione dei nostri circoli dirigenti e dell'opinione pubblica del popolo italiano, nel suo complesso, sia portata oltre le frontiere, e concentrata su quegli avvenimenti che maturano e che sono destinati a trasformare ancora una volta la carta europea.

Perché, il dilemma è questo: o una nuova guerra, o la revisione dei trattati! (Benissimo! Rumori, commenti).

Io ricordo che nel 1919, fra i postulati del programma dei Fasci di Combattimento, era detto chiaramente che si dovessero rivedere tutti quei trattati che contenessero in sé il fomite di nuove guerre.

Ora, siccome le popolazioni, esaurite, stremate, sfinite, che vogliono vivere (oramai, a mio avviso, il pericolo della catastrofe per la nostra civiltà è superato), non possono pensare alla guerra e devono premunirsi dalle guerre, ciò potrà essere dato solo dalla revisione dei trattati di pace.

È necessario allora che l'Italia si presenti nell'arringo delle Nazioni unita, compatta, libera dai fastidî d'ordine interno, in modo che possa dimostrare al mondo che ci guarda, perché ormai la nostra vita non è nazionale e nemmeno europea, ma mondiale, che l'Italia ha splendidamente superato la prova della guerra, che vuole la pace, e che dimostra con ciò di essere in grado di iniziare il quarto e più luminoso periodo della sua storia. (Vivissimi applausi a destra, rumori all’estrema sinistra, commenti, molte congratulazi).