Saturday 3 March 2012

Discorso alla Camera, 22 novembre 1924


di Benito Mussolini

Onorevoli Colleghi!

Sono costretto a parlare e cercherò di tenermi nei limiti regolamentari, perché io penso che, dopo sette ore di discussione, voi tutti siate ansiosi di giungere a una conclusione. Dichiaro che accetto l'ordine del giorno che reca come prima firma quella dell'on. Baistrocchi e che pongo su questo ordine del giorno, nettissima, la questione di fiducia.

Non sembri ciò in contraddizione con quanto accadde in questa stessa aula otto giorni fa. La discussione in questa settimana ha avuto un ampio respiro. Molti problemi, che travagliano la coscienza nazionale, sono stati prospettati in vivida luce.

Ma, prima di inoltrarmi nel mio dire, io voglio recitare un piccolo atto di contrizione. Alcuni mesi fa io, che qualche volta amo il sarcasmo ma non per malvagità d'animo, semplicemente per amore dell'arte, dissi che qui c'erano delle comparse, e, come spesse volte è accaduto per le mie frasi, anche questa è stata rimasticata dai troppo ruminanti della politica italiana. Ma, in realtà, io credo che anche quellì che sono vecchi parlamentari, si siano a quest'ora convinti, dopo due settimane di ripresa dei nostri lavori, che questa è una Camera degna, che in questa Camera abbondano i valori, che in questa Camera aleggia sempre un altissimo senso di responsabilità civile.

Vogliamo immediatamente deplorare ancora una volta gli incidenti del 4 novembre. Per riuscire nella vita, occorre avere il senso del limite e il senso delle proporzioni. Bisogna evitare la falsa modestia, ma bisogna anche evitare la ostentazione insolente. Non bisogna autoelogiarsi troppo spesso: è di pessimo gusto.

Caso mai, le lodi debbono venire dagli altri: tanto più apprezzate, se vengono dagli avversari. Bisogna dire che noi abbiamo fatto qualche cosa, ma che non abbiamo capovolto l'Universo.

E soprattutto bisogna stabilire esattamente le proporzioni storiche fra l'evento del 28 ottobre e l'evento del 4 novembre.

C'è qualcuno in quest'aula che può testimoniare come qualmente io, sin dal primo anniversario della celebrazione della Marcia su Roma, mi convinsi che si era ecceduto col prolungare feste e cerimonie che avevano condotto quasi alla soglia del 4 novembre, in modo che il nostro evento aveva finito involontariamente per schiacciare l'altro che è molto più grandioso e solenne.

E sin da allora io che non amo le cerimonie e le subisco spesso come una penosa corvée, fin da allora dissi: bisogna lasciare vivere queste celebrazioni, bisogna lasciare al 4 novembre tutto il suo prestigio, tutta la sua gloria che è gloria di tutto il popolo italiano.

Con ciò vengo anche alla questione dei combattenti.

Bisogna intenderci una volta per tutte: i combattenti, in quanto tali, non possono fare della politica. Si spoglino del grigio verde, ritornino cittadini e come cittadini possono e debbono fare della politica; ma allora dovranno scegliere un partito, poiché il fatto guerra non è il fatto di un partito, è il fatto della Nazione. E niente è alla fine più penoso di questa polemica, alla quale qualche volta siamo costretti, che insiste nel mettere medaglie d'oro contro medaglie d'oro, mutilati contro mutilati, combattenti contro combattenti.

Polemica alla quale, dicevo, siamo costretti tutte le volte che si nega al Fascismo il suo contenuto, la sua indole profondamente combattentistica e anche la sua origine che risale a quei giorni, che stimiamo sempre più radiosi, del maggio 1915.

D'altra parte la Camera ha visto che gli stessi oratori combattenti hanno dovuto dichiarare che non potevano parlare in nome né dell'Associazione, né dei combattenti italiani.

L'on. Salandra ha notato che il paese si è distaccato, un poco o molto, dal Governo. Accetto: lo riconosco io stesso. Con una crudeltà che vorrei quasi dire clinica, l'altra sera, in pieno Gran Consiglio, ho notato, come si può notare in una tabella clinica, le fasi e gli sviluppi di questa situazione. Ma tutto ciò, signori, è profondamente umano! È già miracoloso e meraviglioso che ci siano delle simpatie per un Governo dopo 25 mesi, dati i costumi e anche la mobilità del popolo italiano!

E d'altra parte accade per gli entusiasmi quello che accade per gli amori: solo dopo un po' di tempo l'occhio che aveva visto così bello e roseo, si esercita alla critica e scopre quello che non appariva nel primo tempo. Così la famosa opinione pubblica va e viene.

L'ode di Alessandro Manzoni è verissima nella storia: a volte nella polvere, altre volte sugli altari; magari sugli altari c'è un po' di polvere. Ci sono delle eclissi che sembrano tenebre che cadono, e poi di lì a' poco sfolgora il sole.

Si darebbe prova di scarso spirito se ci si allarmasse eccessivamente dinanzi a questo fenomeno naturalmente umano.

Dice l'on. Salandra che ciò dipende dalla situazione creata negli enti locali: in parte! che dipende dalle gerarchie fasciste: in parte! Le gerarchie fasciste non si sovrappongono più alle gerarchie dello Stato.

Esistono in quanto ogni partito ha la sua organizzazione e i cuoi capi, ma questa organizzazione è in subordine alla organizzazione delle gerarchie statali. E la mia fatica assidua in tanti mesi è consistita nel separare nettamente il dominio dello Stato da quello che è dominio del Partito, l'opera del Governo da quella che è l'opera del Partito, perché il Partito è una parte della Nazione e il Governo deve governare tutta la Nazione.

Io credo che l'on. Orlando abbia visto in sintesi la questione, quando mi ha domandato: in che regime siamo?

Io potrei rispondergli come egli chiedeva a me. Non domandatemi che cosa sia la libertà. In che regime eravamo fra il 1919 e il 1922? Era un regime parlamentare, o di anarchia parlamentare? Era un regime statale o un regime di gruppo? C'era una costituzione o non c'era invece una veste lacerata della costituzione?

L'onorevole Orlando non deve domandarsi in quale regime siamo, nel momento in cui questa Camera è aperta, nel momento in cui io ho dichiarato di non fare più decreti-legge ed ho preso impegno solenne di portare tutte le questioni all'esame delle assemblee legislative. Mi deve domandare: Dove andiamo? Ebbene, on. Orlando, andiamo faticosamente verso un regime di normalità costituzionale. Ho detto: faticosamente. E nessuno può dire con maggiore coscienza di chi vi parla in questo istante poiché vivo tutte le fasi quotidiane di questo travaglio di assestamento e sono lieto di constatare che dal cataclismo rivoluzionario (poiché una rivoluzione ci fu evidentemente nell'ottobre 1922) siamo già alla fase che vorrei chiamare bradisismica. I movimenti continuano, ma sempre più lenti; tanto che si spera, si crede (ed io credo fermamente) che l'epoca dell'assestamento totale non sia lontana.

La riforma della costituzione! I quindici non hanno un cómpito legislativo; hanno un cómpito di studio. sono degli esperti, sono uomini che hanno un alto senso di responsabilità nazionale e morale. Non sono degli improvvisati dell'ultima ora; sono uomini di dottrina e di vasta esperienza politica. Studiano certi determinati problemi che non potevano essere contemplati nello Statuto del 1848, che, come voi m'insegnate, non è che lo Statuto del 1830; lo Statuto che io rispetto altamente nel suo spirito, ma che non posso riconoscere intangibile, dal momento che è stato violato in quasi tutti i suoi articoli, tanto che uno studioso di diritto costituzionale ha pubblicato tutte le violazioni dello Statuto dal '48 in poi. E voi sapete anche come è nato lo Statuto, e voi on. Orlando, che siete siciliano, mi insegnate che lo Statuto è nato a Palermo, più che a Torino. Palermo, Napoli, Firenze, Torino.

Voi sapete che fu compilato all'ultima ora, mentre Genova era insorta, chiedendo la guardia nazionale e il bando dei gesuiti, mentre Cavour martellava nel suo giornale. E fu redatto in francese. Era un punto di partenza, non un punto di arrivo; un cominciamento, non una fine.

E non poteva comprendere tutta la storia dell'Italia futura, perché l'Italia del '48 era il Piemonte, la Liguria, la Sardegna e la Savoia.

Oggi l'Italia è un'entità grande e solenne, non soltanto per i suoi 48 milioni di abitanti, ma per quello che ha fatto.

E voi siete stato attore della grande gesta. E voi sapete che nella seduta dell'11 maggio 1920 fu presentato alla Camera un disegno di legge che modificava sostanzialmente l'ari. 5 dello Statuto, quello che conferisce alla Corona la più gelosa e la più alta prerogativa: dichiarare la guerra e fare i trattati di pace.

Ed è interessante notare il preambolo della relazione che accompagna il disegno di legge. Diceva il relatore: « È massima del diritto pubblico non più discutibile che disposizioni dello Statuto costituzionale possano essere modificate con atto del potere legislativo ». E nella seduta del 7 febbraio 1920, l'allora guardasigilli, con una relazione in cui - e il particolare ha la sua importanza - la parola del Re è stampata con l'iniziale minuscola, presentava un disegno di legge che modificava radicalmente l'articolo 8 dello Statuto che contempla le prerogative sovrane per l'amnistia e l'indulto. E che cosa è rimasto dell'ari. 3, dell'art. 29 e dell'ari. 28, in cui viene prescritto il preventivo permesso del vescovo per la pubblicazione di libri sacri? Con l'articolo 32 viene riconosciuto il diritto di riunione in luoghi chiusi e senz'armi, che non è applicabile in luoghi pubblici o aperti al pubblico. Molti degli articoli che concernono la Camera dei deputati sono decaduti: ad esempio non è più necessario aver compiuto 30 anni per essere deputato.

L'art. 50 poi sulle funzioni dei senatori e dei deputati che non dànno luogo ad alcuna retribuzione di indennità, è decaduto in pieno. L'art. 35, che riguarda la nomina del Presidente del Senato, ha subìto delle forti modificazioni: è il Senato in realtà che designa il Presidente alla Corona.

L'ari. 62 è perfino anacronistico nel suo meccanismo linguistico, perché, prescrivendo l'uso della lingua italiana a fianco di quella francese, fa vedere in quali precise circostanze storiche fu promulgato lo Statuto.

L'art. 65 riguarda la nomina e la revoca dei ministri; l'ari. 76 istituisce la milizia comunale sopra basi fissate dalla legge, e difatti troviamo il 4 agosto del '61 la legge relativa al riordinamento della guardia nazionale. Il carattere dello Statuto, cioè di un documento che doveva svilupparsi in seguito, è fissato dall'art. 63 delle disposizioni transitorie.

Ho detto dunque ancora una volta, in termini precisi, che noi non vogliamo assolutamente violare ciò che nello Statuto è una conquista incorruttibile del Risorgimento italiano. Non vogliamo violarne tutto ciò che è lo spirito, ma vogliamo aggiornare, se è possibile, se il Parlamento lo consente, vogliamo aggiornare lo Statuto, per renderlo, là dove è incompleto e manchevole, consono alla pienezza dei tempi. Non si può, non si deve mai ipotecare il futuro, prevedendo cose che poi non si verificheranno. Il mestiere del profeta è un mestiere gramo. Ma, e qui non parlo per me, io vi fo questa domanda molto semplice: pensate che sia giunto il momento di governare senza il Fascismo o, peggio, di governare contro il Fascismo? Disilludetevi. Questo momento non è ancora venuto. Verrà o non verrà, non lo so, perché, ripeto, non voglio ipotecare il futuro, e l'intelligenza mitologica deponeva il futuro sulle ginocchia di Giove. Non lo so, ma quello che umanamente si può prevedere è questo: se fosse possibile pensare a un crollo improvviso, a una dispersione totale e subitanea di tutto quel complesso di forze, di sentimenti, di ideologie che passano sotto il nome complessivo di Fascismo, la successione non sarebbe per i poteri così detti di centro. Nelle grandi crisi storiche i popoli come fustigati dal grande evento, si dirigono agli estremi e si dirigono verso quei partiti, come il partito comunista, che hanno sulla loro bandiera un programma preciso: il Governo degli operai e dei contadini. Non si penserebbe a soluzioni transitorie se non fossero soluzioni che preparassero questo avvenire.

Abbiamo avuto la fortuna di vivere in una delle epoche più interessanti della storia umana e l'esperienza è contemporanea: possiamo e dobbiamo utilizzarla. Si parla ancora di illegalismo. L'altro giorno nel discorso alla maggioranza ho dato delle cifre che hanno fatto grandissima impressione in tutti gli ambienti fascisti di tutta Italia. I fascisti avevano bisogno di sentirsi dire attraverso il linguaggio arido e freddo delle cifre che chi rompe paga, che chi viola la legge va dentro.

Io, che voglio molto bene ai fascisti, credo che essi non mi costringeranno ad adottare dopo l'indulgenza e la longanimità quella crudeltà sistematica e decisiva che è propria dei grandi amori delusi.

E del resto ogni giorno le cronache parlano. Ecco qui la più recente sentenza. C'è in questa aula qualcuno che conosce il maggiore degli arditi Luigi Freguglia; il Ministro della Guerra certo, perché l'ha veduto nella sua armata comandante del 27° battaglione d'assalto: è un valoroso eroe: ha mancato; è stato condannato a due anni e sei mesi di reclusione. Non so, ma dichiaro in questa assemblea che seguo attentamente tutti gli episodi, non me ne sfugge nessuno; e dò ordini tassativi per arrestare tutti coloro che commettono ancora illegalismi. Voglio e debbo essere spietato perché ciò facendo non fo soltanto gli interessi della Nazione, che sono sempre in prima linea e innanzi tutto, ma anche gli interessi del Fascismo stesso, il quale avendo fatto una rivoluzione, e avendo tutti gli strumenti del potere nelle mani, non ha bisogno di ricorrere a questi illegalismi idioti e spesso criminosi.

La pacificazione! Onorevoli Colleghi, intendiamoci su queste parole perché altrimenti diventeranno montagne e sarà difficile scalarle. Che cosa intendete con la parola pacificazione? La fine di ogni contrasto, di ogni lotta politica? Ma questo è irrazionale ed antistorico.

Non c'è nessuna nazione in questo momento sulla faccia della terra dove ci sia la pacificazione, intesa nel senso francescano della parola.

In tutte le nazioni ci sono dei contrasti: contrasti di idee, di interessi, di persone. E allora non si tratta di abbracciarsi tutti quanti, perché questo è impossibile, e sarebbe sterile, infecondo e condurrebbe la nazione alla decadenza. Si tratta, come dicevo altrove, di realizzare un minimo o un massimo di convivenza pacifica civile. A questo tende il Governo.

Ma perché questa .pacificazione che io chiamo politica si realizzi occorre che anche l'altra parte vi contribuisca. Non si contribuisce alla pacificazione mettendo in circolazione quotidiane menzogne impossibili. Non si dice che la Camera si chiuderà il 6, quando si sa che si chiuderà il 22. Non si dice che i nuovi orientamenti politici del Fascismo sono stati respinti dal Gran Consiglio fascista quando 25 persone, cioè tutti i membri del Gran Consiglio, possono testimoniare che gli orientamenti politici nuovi del Fascismo sono stati approvati all'unanimità.

E soprattutto - passando ad altro - non bisogna dire, amico Savelli, non bisogna nemmeno raccogliere, perché certe stupidità non si raccolgono, che un generale valoroso che ha 35 o 40 anni di spalline, che ha fatto otto guerre, come il generale Di Giorgio, pensi di sacrificare l'Esercito; pensa di renderlo più forte e sempre più degno dei destini della Patria.

Poiché voi tutti intendete, perché siete uomini e uomini di questi tempi meravigliosi, difficili e tormentati, che non si può raggiungere questo minimo di pacificazione, se oltre alla lotta politica che è necessaria si scende sul terreno della lotta morale.

Su questo terreno non ho bisogno di raccogliere il vostro consiglio. Mi batto sino all'ultimo. Un conto è la rotazione dei Governi, il passaggio degli uomini, i quali Governi e i quali uomini non sono eterni - non devono essere nemmeno eterni, perché se no stancano il pubblico e stancano se stessi - e un conto la questione morale. Le conosciamo, queste questioni morali, in Italia, e sappiamo come molte volte siano state il paravento di ignobili ambizioni deluse e di più ignobili passioni.

Questo deve finire per il decoro della politica italiana.

Voi avete inteso le mie dichiarazioni; a queste dichiarazioni terrò fede. Sono lieto di constatare che il partito fascista si rende perfettamente conto di queste nuove necessità. Il partito fascista si rende conto che deve essere il più disciplinato del paese, il più obbediente alle -leggi, il più tranquillo, quello che meno di tutti gli altri deve turbare l'ordine pubblico, perché altrimenti è in contraddizione assoluta il partito col Governo. Questo sarà fatto, perché i fascisti vogliono che ciò sia, perché sentono che qui è il giuoco, qui è la posta, qui è la fortuna, qui è la ripresa di quell'entusiasmo e di quella solidarietà fattiva e concreta che noi non abbiamo perduto.

Certamente io mi rendo perfettamente conto di questo desiderio di pacificazione. Io lo dicevo altrove. Sono 25 anni, forse 30 anni che l'Italia passa da una crisi all'altra. Non si venga a mentire e a far credere che solo adesso vi sieno dei disordini, che solo adesso la vita civile sia turbata. Io sono ancora abbastanza giovine, quantunque mi avvii al crepuscolo, per ricordare che nel '92, nel '94 c'erano moti in tutta Italia, disordini e rivolte, che si dovevano reprimere con lo stato d'assedio. Nel '96 ho visto io, con questi occhi, le donne che si buttavano sulle rotaie e ne ebbi una impressione dolorosissima, allora adolescente appena. E nel '98 stato d'assedio e rivolte; e nel '900 il gesto tragico, nel '902 il primo sciopero generale, che non era contemplato dallo Statuto, perché lo Statuto non contemplava ancora il sindacalismo.

È nel 1904 il primo grande sciopero generale, nel 1905 lo sciopero dei ferrovieri, e continui eccidi. Io ho lottato contro di voi, on. Giolitti, quando avete premiato il brigadiere Centanni; ma adesso dichiaro che se un brigadiere qualsiasi facesse fuoco per mantenere l'ordine, lo decorerei come avete fatto voi. Poi la guerra; di Libia, poi nuovi disordini, poi la grande contesa del neutralismo e dell'interventismo, che doveva pesare anche sulla guerra, ma che è stato il passaggio, che è stato l'atto di maturità del popolo italiano. Poi la guerra, le tragedie della guerra, il destino che ha battuto a tutte le porte, milioni di italiani che hanno versato il loro sangue, il dopoguerra, il tentativo bolscevico, l'insurrezione fascista. Quante vicende, quanti dolori e quanta grandezza, e come si vede veramente palpitante dinanzi ai nostri occhi mortali questa Patria che diventa ogni giorno più grande al cospetto della Nazione, che si fortifica nei muscoli e si consolida nello spirito, che si fonde dal nord al sud, e a poco a poco diventa una grande, un'armoniosa famiglia!

Vogliamo pacificarla, questa famiglia.

Io sento che noi siamo già al crepuscolo. Ebbene, andiamo con animo puro verso la nuova luminosa giornata della Patria Italiana!