Saturday 3 March 2012

Discorso di Roma, 4 giugno 1924


di Benito Mussolini

Volontari!

Io sono qui venuto fra voi non già perché sedotto dalla suggestività di questa singolare cerimonia, ma per tributarvi, come Capo del Governo, il mio attestato di gratitudine. E vorrei interpretare anche l'anima di tutta la Nazione. Adesso, dopo sette od otto anni, si cominciano ad esaltare i volontari di guerra: ma per lungo tempo si è cercato di dimenticare che l'Italia nel 1915 diede duecentomila volontari, usciti tutti dalle file più autentiche del più autentico popolo. Ma noi non potremo dimenticare quella che fu la vostra tragedia dei primi mesi della guerra, quando il fatto di essere volontario, invece di essere un titolo di gloria e di orgoglio, veniva considerato come un titolo per affrontare, anche inutilmente, i pericoli estremi.

Taluno potrà dire che si potrebbe dimenticare tutto ciò. Io dico di no! Non importa se oggi lo spirito è cambiato. Ma chi è vissuto nelle trincee del Carso, specialmente alla fine dell'agosto 1916, quando i volontari avevano già subìta l'ecatombe terribile del 23 ottobre, sa bene che la vita dei volontari fu grama, sa bene che spesso i volontari non furono rispettati come si doveva.

Per questo tanto maggiore è il vostro merito e tanto più è necessario che queste cose ve le dica oggi, non tanto l'onorevole Mussolini uomo, ma l'onorevole Mussolini Capo del Governo italiano. Il che significa che oggi finalmente qui si rende il degno tributo di riconoscenza che vi deve la Nazione.

Approvo che la cerimonia per l'inaugurazione della vostra bandiera avvenga fra queste rovine: bisogna chiudere gli occhi e meditare un poco per sentire tutta l'enorme seduzione spirituale di questo luogo. Quanto tempo è passato dal giorno in cui Roma dominava il mondo? Breve! Forse cinquanta, forse sessanta generazioni appena dal giorno in cui Giulio Cesare tracciava le linee dell'Impero. Pensate che in questo piccolo recinto si è fatta per secoli e secoli la storia del mondo; qui fra queste mura, in questo territorio brevissimo si accumulava al tempo di Augusto una popolazione di quattro milioni di anime. Roma era immensa allora: tutto il mondo vi confluiva.

Il destino dell'umanità qui veniva deciso e Roma perseguiva il suo sogno in una linea di forza non mai disgiunta da linee di estrema saggezza. Giustamente Roma voleva fiaccare i popoli che a lei si opponevano; giustamente era severa nella condotta della guerra; ma la guerra non è uno scherzo, non è un gioco. Ma poi, quando i popoli riconoscevano la sua superiorità, essa li accoglieva nel suo grembo; li faceva cittadini della sua città; largiva loro le leggi, il diritto, che è ancora quello di oggi, o Signori! Li faceva partecipare alla sua civiltà e rispettava le loro usanze e la loro religione. Nel Pantheon c'è un altare per tutti gli iddii; anche per il dio ignoto!

Mommsen, un tedesco, diceva che per lungo tempo gli italiani furono i parassiti della storia di Roma! Certo però è, anche se non si vuole fare un'analisi troppo dettagliata delle fusioni del sangue e di tutti i miscugli inevitabili delle razze, certo è che solo gli italiani fra tutti i popoli possono dirsi discendenti legittimi di Roma. Questo, che è un orgoglio, non deve essere un orgoglio passivo: bisogna essere degni di quella grandezza. Ma non bisogna viverci sopra. Non bisogna essere sempre voltati al passato. Dire: “Noi siamo grandi perché fummo grandi”.

No! Noi saremo grandi quando il passato non sarà che la nostra pedana di combattimento per andare incontro all'avvenire! Quando il passato, invece di essere un punto morto della nostra esistenza, sarà invece un impulso, un fermento di vita.

Io consacro questa vostra bandiera con coscienza tranquilla, con animo assolutamente puro. Sono sicuro che essa, in pace od in guerra, sarà sempre il segno di raccolta per tutti i giovani animosi i quali vorranno seguire il vostro mirabile esempio. Se domani gli eventi esigeranno altri sacrifici, io sono sicuro che voi sarete ancora una volta fra i primi, che vi trascinerete dietro le forze della Nazione, in modo che, attraverso a questa concentrazione di sforzi e di sacrifici, si attingano tutte le mète e tutte le vittorie.