Saturday, 3 March 2012

Discorso di Roma, 24 marzo 1924

Cinque anni dopo San Sepolcro

di Benito Mussolini

Signori!

E’ con un senso composto di commozione e di orgoglio che io mi accingo a parlare dinanzi a voi, o primi magistrati dei nobili comuni d'Italia. Credo di non esagerare se affermo che da molti secoli Roma, la nostra Roma, non vide spettacolo più imponente e più solenne di questa adunata. Ho quasi l'impressione fisica di parlare non soltanto a voi; ma a tutte le popolazioni che voi rappresentate, all'intera Nazione. L'amministrazione è politica e la politica è amministrazione. Io vi prego di seguirmi con benevolo raccoglimento, perché non ho scritto nulla onde evitare il pericolo di scrivere un discorso che non avrei pronunziato e di pronunziare un discorso che non ho scritto.

L'idea di convocarvi a Roma per celebrare il quinto anniversario della fondazione dei Fasci è mia. Si può dire che sino a ieri Roma era la capitale avulsa un poco dal resto della Nazione. Da quando il Fascismo tiene il potere, esso tende a concentrare nella capitale tutte le più grandi e le più alte manifestazioni della politica italiana. Il quinto anniversario della fondazione dei Fasci doveva essere celebrato a Roma.

Quando cinque anni fa noi ci riunimmo in una oscura sala di Piazza San Sepolcro, a Milano, eravamo poche diecine di persone: arditi, legionari, combattenti. Non si abusi dunque della frase di fascisti della prima ora. Cerchiamo di non tenere sempre in mano l'orologio per constatare a quale ora precisa appartengono i fascisti, perché i fascisti della prima ora sono pochissimi. Bisogna avere il coraggio di aggiungere che per tutto il 1919 i fascisti d'Italia non arrivavano alla cifra di diecimila. Ciò non ostante, pure essendo in pochi, in pochissimi, avemmo il coraggio di affrontare immediatamente il sovversivismo che allora spacciava tutte le favole dei paradisi della sua demagogia. I Fasci si costituiscono il 23 marzo e il 15 aprile, tre settimane dopo, essi sono già così audaci e potenti che infrangono uno sciopero generale, disperdono una minacciosa dimostrazione bolscevica, e, fatto che sembra oggi straordinario, vanno direttamente all'assalto del fortilizio nemico e l'incendiano.

Pochi mesi dopo avemmo le elezioni infauste del 1919. Molto coraggio anche allora, ma pochissimi voti: Milano me ne diede 4064. Ci fu anche una specie di funerale simbolico. Si disse e si stampò che oramai ero liquidato e sepolto. Ci raccogliemmo all'indomani di quelle elezioni, i soliti, i pochi, gli audacissimi, e decidemmo di riprendere la battaglia senza esitazione e senza pausa. Nel 1920 tenemmo il primo congresso a Milano. Già l'idea si era diffusa perché gli iscritti assommavano a 20.615. Nel 1921 erano già 248.936. Fu allora che, preceduto da polemiche vivacissime, tenemmo a Roma il nostro terzo grande congresso, che fu la rivelazione dell'immensa forza del Fascismo italiano. Lo tenemmo all'Augusteo, costituimmo un partito e spezzammo uno sciopero generale che ci era stato gettato fra i piedi dai soliti elementi antinazionali.

Ricordo questo congresso perché feci allora un primo tentativo infruttuoso di spersonalizzare il Fascismo, di smussolinizzare il Fascismo. A quella grande assemblea io dissi: « Guarite di me, fate il partito con una direzione collettiva, ignoratemi e, se volete, anche dimenticatemi ». Non è stato possibile. Bisogna constatare come io constato, che questa è una assemblea imponente. Che cosa ci dice questo? Che i grandi movimenti storici non sono già soltanto il risultato di una addizione numerica, ma anche l'epilogo di una volontà tenacissima.

Nel 1922 io mi convinsi fin dall'estate che bisognava fare la rivoluzione. Lo Stato si disintegrava. Ogni giorno di più il Parlamento non era capace di dare un Governo alla Nazione. Le crisi si prolungavano e si ripetevano, suscitando sempre più profonda la nausea dellà Nazione. Nessuno, nessuno voleva portare sulle spalle la croce del potere. All'ultimo, poiché un gerente responsabile ci voleva in questa amministrazione, si prelevò Facta e gli si disse: « Tu devi essere il Presidente del Consiglio dei Ministri ». E costui accettò la corvée sapendo, o intuendo, o presagendo che di lì a poco ne sarebbe stato liberato per sempre. Intanto il Fascismo accresceva se stesso come massa e come quadri, si dava una sua organizzazione militare, occupava Bologna, Ferrara, Bolzano, Trento, troncava nell'agosto l'ultimo tentativo di sovversivismo nazionale, il famoso sciopero dell'Alleanza del lavoro, e finalmente si accingeva a compiere la marcia su Roma.

Sono io che l'ho voluta, questa marcia, io che l'ho imposta, io che ho tagliato corto a tutti gli indugi. Il 16 ottobre ho convocato a Milano quelli che dovevano essere i capi militari della insurrezione e dissi loro che non ammettevo more ulteriori e che bisognava marciare prima che la Nazione piombasse nel ridicolo e nella vergogna.

Perché io chiamo rivoluzione quella dell'ottobre? Se levar le masse in armi, se condurle ad occupare gli edifici pubblici, se farle convergere armate verso la capitale non significa compiere quello che è l'atto specifico di ogni rivoluzione, cioè una insurrezione, allora bisognerà cambiar tutto il vocabolario della lingua italiana.

E perché io insisto a proclamare che quella dell'ottobre è stata storicamente una rivoluzione? Perché le parole hanno la loro tremenda magìa, perché è grottesco tentare di far credere che è stata una semplice crisi ministeriale. Ho voluto, sin da allora, che la rivoluzione avesse dei limiti, non oltrepassasse certi confini. Distruggere è facile, non altrettanto ricostruire. Forse, se noi avessimo dato alle nostre masse il diritto che ha ogni vittorioso, quello di spezzare il nemico, sarebbe passato, per certe schiene, quel brivido di terrore, per cui oggi non ci sarebbe più discussione possibile sulla rivoluzione o meno compiuta dal Fascismo.

Mi domando: « La nostra longanimità è stata un bene o un male? ». La domanda è provocata dal fatto che molti, troppi, di questi avversari, di questi nemici, noi li ritroviamo in circolazione. Qualche volta sono insolenti, qualche altra compiono vere e proprie opere di sovversivismo e di disintegrazione nazionale. Ho risolto questo interrogativo che mi ha inquietato parecchio tempo.

Ritengo che allora sia stato un bene di contenere la nostra insurrezione trionfante; ritengo che sia stato un bene di non avere, alle nostre spalle, un corteo più o meno imponente di giustiziati. Ma ritengo anche, e bisogna gridarlo perché tutti intendano, che se fosse necessario domani per difendere la nostra rivoluzione di fare quello che non facemmo, lo faremo!

Andai chiamato dal Re, al Quirinale. I fumi della vittoria non mi sono mai andati alla testa. Io non ero sul balcone del Quirinale quando 52.000 fascisti armati di tutto punto sfilarono per rendere omaggio alla Maestà del Re. Io ero già alla Consulta, al mio tavolo da lavoro. Né all'indomani mi andarono i fumi alla testa, quando seppi che gli ufficiali della guarnigione di Roma si ripromettevano di venire sotto le finestre dell'Hotel Savoia a rendermi omaggio. Dissi allora in una lettera, che certi sovversivi dell'opposizione costituzionale hanno evidentemente dimenticato, che l'Esercito non poteva parteggiare, che nella disciplina cieca ed assoluta era il suo privilegio, la sua forza, la sua gloria. E feci un ministero di coalizione.

Tutte le rivoluzioni si sono presi i ministri del vecchio regime, li hanno incarcerati, qualche volta anche fucilati. Io invece ne presi uno, non so se il più ingenuo o il più innocuo, certamente il più abbondevole, lo feci ministro dell'industria e del commercio e non ebbi a pentirmene. Sin d'allora io ero nella costituzione.

Che cosa è la costituzione di cui si parla anche troppo? La costituzione è un patto giurato in determinate circostanze di tempo e di luogo fra il Sovrano ed il popolo. La costituzione, Signori, non è già una camicia di Nesso e non è nemmeno una specie di feto che deve essere conservato prudentemente, gelosamente, in una scatola di vetro. I popoli camminano, si trasformano, hanno, nel prosieguo del tempo, nuovi bisogni e nuove passioni. Noi siamo rispettosissimi della costituzione in quello che è lo spirito immortale della costituzione. Ma la forma di essa, come la lettera della costituzione, non è altrettanto intangibile. Un capitolo interessante della storia politica sarebbe quello che fosse dedicato a constatare quante volte la costituzione Albertina fu violata dal 1848 in poi. E permettetemi di trovare strano che si affannino oggi a difendere la costituzione, che il Fascismo non minaccia, coloro che ieri volevano togliere alla Maestà del Re il diritto di grazia e di amnistia, che volevano fare del Re, non pure il notaio del Parlamento, ma il notaio delle miserabili ambizioni dei gruppi parlamentari.

Sempre per restare nella costituzione, formato il ministero, l'ho presentato alla Camera. Potevo sciogliere questa Camera, potevo ottenere una proroga indefinita della sessione; invece chiesi dei pieni poteri e anche questi nettamente delimitati nel loro esercizio e non meno nettamente delimitati nel loro tempo poiché scadevano, come sono scaduti il 31 dicembre 1923.

Bisogna fare il bilancio di questo anno di pieni poteri. Ebbene, il bilancio si chiude in un grande attivo. Nell'interno io mi sono trovato di fronte al problema assai delicato che può essere prospettato in questi termini: « Come riassorbíre nello Stato tutta l'autorità dello Stato? ». Non era, ve lo assicuro, un compito assai semplice, poiché ogni formazione politica a base militare sottraeva una particella all'autorità dello Stato. Ora vi rendete perfettamente conto come da una parte io abbia convertito lo squadrismo in Milizia Nazionale e dall'altra abbia soppresso gli squadrismi di ogni colore.

Avevo creato gli alti commissari politici. Quando mi accorsi che questi diventavano dei superprefetti, li soppressi perché pensai che soltanto il prefetto dovesse rappresentare il Governo nelle provincie. Per non creare equivoci pure tra fiduciario politico del Fascismo e segretario politico del partito, anche il termine fiduciario è stato abolito. Tutto ciò viene dimenticato dai sovversivi della opposizione costituzionale.

Non devo invadere il campo delle finanze perché il mio eccellente amico De' Stefani sta preparando un discorso che sarà soddisfacente per tutti gli italiani. Ma in un discorso degli ultimi giorni si è fatto del pessimismo sulla questione dei cambi, si sono invitati gli italiani a meditare sulle cifre dei cambi. Orbene, i cambi denotano un miglioramento della situazione finanziaria italiana.

L'area di miglioramento della nostra lira è cresciuta dall'ottobre in poi; ed il miracoloso è che la barca della nostra lira abbia potuto reggere in mezzo ai tempestosi flutti del 1923 che ha avuto la caratteristica di una nuova guerra, sotto forma speciale, tra la Francia e la Germania. Se non ci fosse stata l'occupazione della Ruhr, con tutto quello che questa occupazione pericolosa significa, credo che oggi la quotazione del cambio della nostra lira sarebbe ancora molto migliore.

Si è detto: "Bisogna andare verso il popolo che lavora” ma noi ci siamo andati. L'Italia è la prima Nazione che ha già ratificato tutte le convenzioni sociali di Washington. Alberto Thomas, non so se ancora socialista e di quale tinta, è venuto a Roma l'altro giorno in nome dell'Ufficio internazionale del lavoro presso la Società delle Nazioni a raccomandarsi che il Governo fascista continui a dare l'esempio in materia di legislazione sociale.

Non abbiamo fatto della demagogia; siamo andati incontro al lavoro, con animo aperto e generoso. Abbiamo inquadrato tutta la burocrazia; abbiamo delle colonie e non soltanto sulle carte degli uffici ministeriali; abbiamo riformato la giustizia. Nessuno più del Governo fascista è rispettoso della indipendenza della giustizia. Vi prego di riflettere che la punta di spillo della piramide della gerarchia nazionale è occupata da un uomo solo, dal Primo Presidente della Unica Cassazione del Regno. Con questo, meglio che con ciarle oblique, abbiamo dimostrato quale sia il rispetto della giustizia. Abbiamo realizzato quello che per cinquanta anni è stato il voto di tutti i giuristi italiani: l'unificazione delle Cassazioni. Ho chiesto al primo Presidente della Corte di Cassazione notizie sui risultati della coraggiosa riforma giudiziaria preparata dal mio amico Oviglio. Ed in data di ieri il Primo Presidente della Corte di Cassazione così mi risponde: “L'unificazione delle Cassazioni del Regno, invocata da oltre 50 anni da magistrati, giuristi ed uomini politici, è stata il coronamento di tutte le riforme giuridiche compiute nel campo nazionale. Essa è tra gli atti legislativi più rilevanti del Governo stesso. La Cassazione Unica aveva ereditato dalle antiche corti soppresse un arretramento di circa seimila processi civili. Grazie ad alcune riforme legislative, soprattutto grazie al ritmo accelerato dei lavori, al concorso volonteroso degli avvocati d'Italia, si può fin d'ora prevedere che il lavoro continuerà in condizioni normali, rendendo il funzionamento della giustizia ancora più rapido di quello che non fosse al tempo delle cinque Corti”.

Per i lavori pubblici abbiamo stabilito una somma imponente che deve attrezzare l'Italia per i cómpiti del futuro.

In politica estera il Fascismo ha avuto sulle braccia delle pesanti eredità: delle eredità pesanti nell'Adriatico e non meno pesanti nel Mediterraneo. Intanto sia detto che il Governo fascista, tacciato di reazione e di antidemocrazia, ha realizzato nel ministero degli esteri l'abolizione della rendita ed ha aperto a tutti i cittadini volonterosi, intelligenti e preparati la carriera diplomatica e consolare.

Nell'Adriatico, ve lo dico subito, non abbiamo fatto grandi cose. Abbiamo salvato Fiume; ma Fiume ci è venuta mutilata. Credo che anche gli uomini di Governo responsabili jugoslavi debbano essere d'accordo con me nel riconoscere che certi tratti del confine sono assurdi. Un confine che drizza il suo muro separatorio a due o tre metri dalle case della città, mi fa pensare o dubitare che coloro che a Rapallo trattarono questo problema e ora la fan da maestri, non abbiano mai consultato una carta geografica.

Le direttive della politica estera del Fascismo sono note. Non temete o non credete agli isolamenti; di quando in quando salta su l'ultimo degli imbecilli a dire che l'Italia è isolata. Ebbene, o signori, bisogna scegliere: o voi volete, come dite di volere, una politica di autonomia; e allora saranno inevitabili periodi più o meno brevi di cosiddetto isolamento: o voi vorrete legarvi indissolubilmente; e allora avrete perduto la vostra autonomia.

Del resto non ci è stato né ci può essere nessun atto di portata internazionale in cui non sia rappresentata l'Italia. Nessuno può ignorare l'Italia. L'Italia è rappresentata, come sapete, nel Comitato dei periti che stanno per consegnare il loro rapporto; è naturalmente rappresentata nella Commissione delle riparazioni; e nessuna decisione oggi - il dirlo è lapalissiano - nessuna decisione può essere presa che impegni in qualche modo l'avvenire d'Europa, senza consultare e tenere in conto gli interessi e la volontà della nazione italiana.

Si è detto dall'on. Giolitti che bisogna fare una politica di pace. La facciamo. Che bisogna riallacciare i rapporti economici con gli altri popoli. L'abbiamo fatto. Che bisogna considerare la Russia come una entità esistente nella carta politica d'Europa. L'abbiamo riconosciuta. Che sarà bene di non essere contrari ad una eventuale ammissione della Germania nella Lega delle Nazioni. Non sarà certo l'Italia che porrà dei veti infrangibili. Tutto quello che gli avversari ci additano come un programma futuro è già un fatto acquisito. Naturalmente non si può fare una politica estera se il Paese non è disciplinato e se il Paese non è armato.

Un uomo di Governo ha delle responsabilità spaventevoli. Qualche volta queste responsabilità mi danno il senso fisico dell'oppressione, come se tutte queste preoccupazioni pesassero del loro peso fisico sulle spalle. Non si ha il diritto di credere alle ideologie umanitarie pacifiste. Bellissime, notate, bellissime in teoria, utopie magnifiche, poetiche. Ma la realtà dei fatti ci ammonisce di essere assai vigilanti e di considerare il terreno della politica estera come un terreno di mobilità massima. Per essere pronti a tutti gli eventi, è necessario avere un Esercito, una Marina, un'Aviazione. Quando io penso allo stato lacrimevole, nefando in cui fu lasciata l'aviazione italiana, che pure aveva scritto pagine memorabili in guerra; quando io penso agli hangars deserti, alle ali spezzate, ai piloti dispersi ed umiliati, io dico che colui, o coloro, che avevano condotta l'Italia a questo baratro, sono veramente traditori della Patria.

Il discorso più sovversivo è stato pronunciato l'altro giorno a Napoli. Discorso sovversivo, e non per nulla i repubblicani hanno aperto al nuovo eretico della costituzione le porte dei loro asili solitari. Si è tacciata di illegalità la legge elettorale. Si è parlato di un Senato elettivo e sopra tutto si è parlato di un quarto, di un quinto misterioso potere supremo giudiziario che dovrebbe controllare Governo e Parlamento. Mi domando se mai si pensò più bassa e balorda violazione della costituzione.

Signori, la legge elettorale ha tutti i crismi della legalità. È stata votata da un Consiglio dei Ministri all'unanimità. Non sarà inopportuno ripetere che fu presentata alla Camera, che la Camera nominò una Commissione, che in questa Commissione i fascisti erano rappresentati da un solo deputato, che il Presidente di questa Commissione era Giolitti, che si discusse a lungo prima del passaggio agli articoli, che si discusse non meno a lungo sui singoli articoli, che la legge fu approvata per appello nominale e fu approvata a scrutinio segreto con cento voti di maggioranza, e, dopo avere avuto il suggello della legalità della Camera, ebbe quello del Senato con l'unanimità meno quaranta voti contrari. Dopo di che fu firmata da Sua Maestà il Re, e, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, diventò legge dello Stato. Mi domando come si può tacciare in buona fede di anticostituzionalità la legge elettorale, la quale del resto è molto meno antidemocratica e reazionaria di quello che non sembri ai nostri contradditori.

Si era chiesto di togliere il limite di età? Fatto. La scheda di Stato? Concessa. E non sentite d'altra parte che l'avere un poco sradicati i cittadini italiani dai loro piccoli collegi in cui intristivano ha dato alla lotta elettorale odierna una ampiezza non mai supposta e un elaterio nazionale che forse era follia sperare? Questa lotta elettorale porge ai cittadini italiani l'occasione di votare o pro o contro.

Non voglio indugiarmi a fare l'elogio dell'opera mia e di quella dei miei collaboratori. Ma mi è capitato fra le mani, proprio in questi giorni, edito dal mio amico Ciarlantini, un libro del prof. Rignano che è un positivista, un socialista, un uomo di valore. L strano che questo libro che doveva scagliare la democrazia contro il Fascismo finisca con una esaltazione del Fascismo, il che potrebbe farmi supporre che l'autore covi delle tendenze senatoriali. Il primo e principale vantaggio - dice Rignano - dell'avvento del Fascismo al Governo non è che troppo evidente a tutti. Al disordine interno, all'anarchia, un Governo; al disfacimento sociale, il rinsaldamento della compagine nazionale; cessato il sabotamento del lavoro da parte degli operai più riottosi, cessata la indisciplina nelle officine; cessati i continui scioperi; cessati gli scioperi nei pubblici servizi; cessata la guerra civile, salvo ancora alcuni fatti sporadici che accennano a diminuire di numero; rimessa in attività tutta la produzione del Paese; ispirato ai funzionari dello Stato un maggior senso di dovere e responsabilità; impresso un andamento più severo ed energico alle funzioni dello Stato, delle provincie e dei comuni. Tutta questa ripresa di un ritmo produttivo, di un funzionamento sta tale più ordinato, più intenso, non si può negare abbia portato ottimi frutti nella ricostruzione finanziaria ed economica del paese. Questo signore mi avverte: badate che ogni regime ha in sé la legge dei propri confini. Oltre un certo limite, il bene che può dare la dittatura diventa male. Ma è appunto per questo che io, tiranno, ho rinunziato ai pieni poteri al 31 dicembre 1923. Lo stesso consiglio me lo aveva dato uno dei miei maestri, il più illustre, Vilfredo Pareto. Ogni regime ha in sé la sua giustificazione a patto però che non si prolunghi oltre le sue obiettive necessità storiche, oltre le quali diventerebbe un anacronismo politico. Badate che io li potevo avere, i pieni poteri. Quei certi popolari che fanno ora i draghi che sputano fuoco, prima che io avessi parlato di chiedere la proroga dei pieni poteri, me li avevano offerti. Avevano votato, come si dice, l'analogo ordine del giorno. Credo che tutto il resto della Camera, compresi i socialisti, sarebbe stata lietissima di farmi fare il tiranno per un altro anno ancora. Io invece ho pensato che ormai tutto quello che i pieni poteri potevano dare lo avevano dato.
E ho convocato le elezioni.

Inutilmente durante questo periodo elettorale si rinnovano le vecchie accuse al Fascismo, quello che io chiamo il prodotto dell'infantilismo avversario. Primi. di tutto si è detto: « Passerà il Fascismo, il Fascismo è un fenomeno transitorio... ». È un transitorio che dura da cinque anni! Ma soprattutto ciò che mi stupisce è questo voler rinnegare la più evidente e palpabile realtà. Si è molto chiacchierato sulle così dette beghe del dissidentismo. Può essere noioso. Ma quando penso che nel Fascismo sono irreggimentati circa due milioni di individui, mi rendo conto come sia difficile pretendere che essi marcino sempre per tre come dei soldatini di piombo. Si è detto anche: « Voi non avete dottrina ». Ebbene, io affermo che non vi è nessun movimento politico che abbia una dottrina più salda e determinata della dottrina fascista. Abbiamo delle verità e delle realtà precise dinanzi al nostro spirito e sono: lo Stato, che deve essere forte; il Governo, che deve difendersi e difendere la Nazione da tutti gli attacchi disintegratori; la collaborazione delle classi; il rispetto della religione; la esaltazione di tutte le energie nazionali. Questa dottrina è una dottrina di vita, non una dottrina di morte.

E che cosa ci pongono di fronte gli avversari? Niente; delle miserie. Sono ancora in arretrato di 50 anni in fatto di filosofia. Stanno postillando tutte le fantasie dei positivisti; fantasie, dico, poiché come non vi è un uomo più pericoloso del pacifista., così non vi è un ideologo più pericoloso del positivista. Tutto il processo di rinnovazione spirituale delle nuove generazioni è a loro ignoto. Che dottrina ci pone innanzi il socialismo? E quale è il vero socialismo? Perché delle etichette sulle bottiglie se ne vedono parecchie. C'è un socialismo massimalista, uno comunista, uno unitario ed anche uno che si dice nazionale e forse lo è.

Altrettanto dicasi del liberalismo. Si è detto: « Il liberalismo ha fatto l'Italia ». Adagio, non esageriamo. Io intanto contesto che ci sia stato un partito liberale durante il Risorgimento, un partito, dico, nella concezione moderna del termine. Ci sono stati gruppi e correnti liberali. Ma accanto al partito liberale rappresentato magnificamente da Camillo Cavour, ci sono stati uomini non liberali come Mazzini, Garibaldi, i fratelli Bandiera e Carlo Pisacane ed i suoi compagni che sono andati a farsi massacrare per un sogno di libertà e di resurrezione.

Prima dell'ultima guerra, abbiamo avuto almeno due liberalismi: il liberalismo di Antonio Salandra che voleva l'intervento e il liberalismo del “parecchio”.

Mi fanno ridere adesso questi venditori del sole di agosto. È vero, il tricolore è sul Nevoso. Ma se avessimo obbedito alla suggestione del liberalismo di Dronero, il tricolore sarebbe tutt'al più sulla. stazione di Cervignano: forse non si sarebbe arrivati fino a Salorno. Il monte Nevoso lo avremmo visto, permettetemi la espressione trincerista, con il binoccolo. Vi avremmo messo simbolicamente il palamidone di Giovanni Giolitti, mentre oggi vi sventola il glorioso tricolore.

E vengo, o signori, a bucare con la mia logica spietata la più ventosa delle vesciche di tutte le opposizioni: la libertà.

Noi guardiamo in faccia questa dea e vogliamo vederla esattamente nei suoi connotati.
Il concetto di libertà non è assoluto perché nella vita nulla vi è di assoluto. La libertà non è un diritto: è un dovere.

Non è una elargizione: è una conquista; non è una uguaglianza: è un privilegio. Il concetto di libertà muta col passare del tempo. C'è una libertà in tempo di pace che non è più la libertà in tempo di guerra. C'è una libertà in tempo di ricchezza che non può essere concessa in tempo di miseria. C'è la lotta, la grande lotta fra lo Stato e l'individuo, fra lo Stato che accentra e l'individuo che tenta di evadere, perché l'individuo lasciato a se stesso è l'individuo che, a meno che non sia un santo o un eroe, si rifiuta di pagare le tasse, si rifiuta di obbedire alle leggi, o di andare in guerra. Quando la Nazione, come ieri e come oggi, è impegnata per la vita e per la morte, inseguirete ancora le vostre rovinose chimere?

Io dico: No.

Di che libertà si parla? Quando in un paese è permesso fare una campagna per la libertà., questa è la miglior prova che la libertà esiste. Nei paesi veramente tirannici che noi conosciamo, là non è permesso nemmeno di invocarla nei libri, la libertà. C'è l'indice che brucia i libri proibiti. Gli è che ogni rivoluzione, o signori, ha i suoi emigrati: gli emigrati di Coblenza, che possono essere gli emigrati di Dronero, di Sarno o di altri paesi più o meno illustri. Costoro si sentono veramente limitati nella loro libertà. Costoro sono un poco diminuiti; non sono più dei grandi uomini: lo erano quando potevano provocare una crisi ministeriale al mese, lo erano quando si pensava che dal discorso del signor X dipendessero le sorti del Governo. Adesso il Governo proclama la sua assoluta indifferenza davanti a queste sterili manifestazioni.

C'è un altro argomento che mi interessa assai: la forza e il consenso.

Si dice: « Voi governate con la forza ». Ma tutti i Governi sono basati sulla forza. « Con le parole non si mantengono gli Stati » dice il maestro dei maestri della politica. Del resto la forza è consenso. Non vi può essere forza se non c'è consenso e il consenso non esiste se non c'è la forza. Ma voi che siete qui in cinquemila e rappresentate certamente i due terzi dei comuni italiani, non siete la mirabile, la magnifica, la indiscutibile prova del consenso delle popolazioni italiane per il Governo fascista?

Si domanda: « Che farete dopo le elezioni? » Prima della rivoluzione ci domandavano: « Che cosa volete? » Il Governo. La risposta è ora semplicissima. Adesso vogliamo conservare il Governo e governare. Sembra di dire una cosa quasi banale, ma governare è invece una fatica terribile; governare significa essere sottoposti ad un martellamento quotidiano dalle prime ore del mattino fino alle ultime della sera; governare significa avere la visione di tutti i bisogni della Nazione; governare significa sentire nel proprio cuore battere il cuore di tutto il popolo. E del resto che cosa importa snocciolare un bel programma? Io mi rifiuto allo smercio minuto della paccottiglia politica. Quello che mi propongo domani ve lo dico: far funzionare il Parlamento, purché il Parlamento funzioni.

Signori, non dovete prendere troppo alla lettera le mie parole antiparlamentaristiche. Le mie antipatie e le mie simpatie sono note, ma su di esse non costruisco la mia politica. Quando ho parlato di ludi cartacei e ho detto che le legioni valgono più dei collegi, io lo ho fatto per frenare un poco le impazienze schedatole. Perché non voglio che tutto il partito sia affetto in un breve lasso di tempo di questa malattia. Voglio che un reparto del partito funzioni nel Parlamento, ma che il partito resti fuori intatto a controllare e sospingere i suoi rappresentanti. Essere quello che deve essere, e cioè una riserva sempre intatta della Rivoluzione fascista.

E che cosa faremo facendo regolarmente funzionare il Parlamento? Perfezioneremo la riforma. Non è il mio un eccesso di onestà politica, se vi dico che non tutte le riforme del Governo fascista, che ha varato mille e settecento leggi, sono perfette, perfettissime. Le perfezioneremo.

Andremo incontro al Mezzogiorno. Non lo dico per cattivarmi le vostre simpatie, per aumentare il numero dei voti. La realtà è questa. L'Alta Italia ormai è giunta ad un elevato grado di civiltà meccanica, è ormai allo stato di saturazione. Il Mezzogiorno d'Italia è ancora in ritardo. Le regioni sulle quali si è appuntato il mio occhio di Capo del Governo sono: nell'Alta Italia, l'Istria; nel Meridionale, la Basilicata, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna. Quando si parlava della questione meridionale, si diceva: « La questione dell'Italia Meridionale è una questione di ordine pratico: case, strade, ponti, acqua ». Ebbene, il Governo fascista ha agito su questo terreno. Il Governo fascista ha dato 240 milioni per l'acquedotto pugliese, 85 milioni per il porto di Bari; 3 milioni per l'acquedotto della Basilicata, 500 milioni per le strade della Calabria, 500 milioni per la ricostruzione dei paesi devastati dal terremoto.

Battuti sul terreno pratico, gli avversari dicono: « Il Mezzogiorno d'Italia ha bisogno di risolvere il problema dello spirito ». Credo di interpretare il pensiero delle popolazioni del Mezzogiorno d'Italia verso le quali vanno le simpatie concrete del Fascismo. Io dichiaro che esse hanno ferma fiducia nel Governo fascista, perché solo il Governo fascista ha incominciato a risolvere il problema del Mezzogiorno.

Richiamo la vostra attenzione su un altro punto del programma futuro. Io mi propongo, e credo di avere in ciò consenziente tutto il Governo e anche il Ministro delle Finanze, mi propongo di alleggerire la pressione di ordine tributario fiscale che abbiamo imposta al popolo italiano. Credo che si debba sempre marciare verso il pareggio, ma che bisogna arrivare al pareggio in condizioni di discreta salute. Non credo che sia nei piani del mio amico De' Stefani fare arrivare la Nazione al pareggio boccheggiante, onde non si dica, come per certe operazioni, che la clinica ha trionfato ma che il paziente è morto.

Faremo questo anche perché il popolo italiano è stato meraviglioso di abnegazione, di spirito eroico, di sacrifici, ha accettato queste dure necessità che gli abbiamo imposte con alto spirito di solidarietà nazionale. E quanto alla pressione politica?

Molti dei nostri avversari si domandano che cosa farà la Rivoluzione fascista domani. Certo sono interessati a saperlo. Anche qui bisogna essere in due. Se si vuole che il Fascismo, Governo e Partito, Partito e Milizia, alleggerisca la sua pressione, bisogna che gli avversari si rassegnino al fatto compiuto. Ma quando io leggo sopra un giornale stampato ieri sera che i sovversivi debbono moltiplicare le energie per insidiare la vita e lo sviluppo del Fascismo in tutti i campi, per suscitare opposizioni, per risvegliare il sentimento combattivo delle masse, richiamare gli operai alla visione dei loro interessi, quando mi capitano sotto gli occhi questi documenti, allora dichiaro solennemente che invece di alleggerire è il caso di dare un altro giro alla vite. Bisogna rendersi conto ancora una volta che noi abbiamo il sacro dovere di difendere le nostre idee, di esaltare il sacrificio dei nostri martiri, di tenere fede alla nostra Rivoluzione. Se i nemici, o isolati o in blocco, vengono contro di noi, noi abbiamo un solo dovere: di vincerli e di stroncarli.

Signori, bisogna essere o pro o contro, o Fascismo o antifascismo. Chi non è con noi è contro di noi. La lotta politica in Italia non ebbe mai una semplificazione più precisa di questa. Il passato è la garanzia dell'avvenire. Non possiamo deflettere. La marcia può avere dei rallentamenti o delle accelerazioni, ma marciare bisogna. Bisogna andare innanzi. Bisogna fare grande l'Italia. Questa è la mèta infallibile del Fascismo. Lo stato unitario esiste. Oserei dire che esiste, da quando il Fascismo ha innalzato i suoi gagliardetti di battaglia e di vittoria. Voi siete la testimonianza che lo Stato in Italia esiste, voi che rappresentate tutte le città, che rappresentate tutti i Comuni, dall'Alpi alla Sicilia, anche i Comuni così detti allogeni, dove stanno dei cittadini che devono essere devoti all'Italia perché ormai le loro sorti sono legate indissolubilmente alle sorti della Patria comune. Signori Sindaci, ritornate ai vostri paesi, convocate il popolo nelle piazze, portate ai fascisti e al popolo tutto il saluto del Governo. Agite con me, collaborate con me per dare agli italiani il senso gioioso, eroico e umano della vita. Suonate a stormo le vostre gloriose campane, innalzate nel cielo purissimo i vostri gagliardetti e i vostri gonfaloni e dite: “Giovinezza d'Italia, anche nella giornata del 6 aprile noi ti vogliamo vedere incoronata coi lauri della vittoria!”