La missione della stampa
di Benito Mussolini
Colleghi! Signori!
Vi parlo non come capo del governo, ma come giornalista che ha vissuto tutta la gamma delle emozioni giornalistiche, che ha vissuto tutte quelle che si chiamano le battaglie giornalistiche, che ha conosciuto la trepidazione di leggere attentamente la « piccola posta » per sapere se l'articolo sarebbe stato o no pubblicato, che ha conosciuto anche il grande orgoglio di sentire che attorno ad un giornale si scatenavano le grandi e nobili passioni di un intero popolo.
Ben fate a giustiziare certo professionalismo amorfo, ambiguo, senza spina dorsale, mortificatore dello spirito. Le idee non sono dei cappelli che si appendono nell'anticamera. Non si può dire: « io entro qui e non ho più le mie idee ». Le idee sono la parte essenziale della vita di un uomo e quel professionalismo che intendeva di annullarle, in realtà lo faceva, perché, come abbiamo visto, il professionalismo era una specie di passaporto e di maschera per poter compiere al riparo un'azione di sabotag gio e di disgregazione. Basta di questo professionalismo, che è indegno di uomini veramente liberi.
Voi costituite un Sindacato della Stampa. Farete bene a mettere nel vostro Sindacato quelli che sono i collaboratori più diretti del giornale: gli operai tipografi. Così la famiglia è perfetta. I rapporti fra giornalisti ed operai sono sempre corretti, cordiali, fraterni: bisogna renderli ancor più fraterni. Bisogna chiamare questi operai, elevarli, renderli partecipi delle nostre battaglie e del nostro destino.
Certamente, fra tutti quelli che si possono chiamare i prodigi della nostra civiltà, forse troppo meccanica, il giornale tiene il primo posto. Il giornale è in realtà lo specchio del mondo. Sul giornale, come sopra una grande strada, passa tutto quello che accade nel vasto genere umano: dalla politica altissima al fattaccio di cronaca. È quindi bene ripetere che la cosiddetta « libertà di stampa » non è soltanto un diritto: è un dovere! È bene ripetere che oggi una semplice notizia di un giornale può essere apportatrice di danni incalcolabili alla Nazione, sia essa vera, sia essa tendenziosa. Se si vuole, come si vuole, che il giornalismo sia una missione, ebbene, ogni missione è accompagnata irrevocabilmente da un senso altissimo di responsabilità. Al di fuori di qui non c'è missione, ma c'è mestiere.
Bisogna avere coraggio, signori, di fare giustizia di tutti questi luoghi comuni. Luoghi comuni che sono degli inciampi, che sono delle mistificazioni e che appartengono a un complesso di manovre con le quali si vorrebbe truffare la nostra Rivoluzione, che è la Rivoluzione del Fascismo e delle Camicie Nere.
Dopo di che permettetemi, come collega, che io vi rechi il mio saluto cordialissimo, insieme con l'augurio di buon lavoro e di un'attività feconda di risultati. E permettetemi che, come Capo del Governo, io accolga l'alto auspicio testé elevato con mirabili parole da un vecchio e provato combattente della causa nazionale.
Sì! La grande Italia che noi abbiamo sognato sta forgiandosi. E se la disciplina sarà ferma, se la passione sarà pura, l'Italia sarà sempre più grande!