Saturday 3 March 2012

Discorso di Roma, 3 gennaio 1924


di Benito Mussolini

Colleghi!

Prima di tutto il mio vivo ringraziamento per le parole così vibranti or ora pronunciate dal mio amico Oviglio. E un ringraziamento non meno cordiale a tutti voi che mi siete stati in questa lunga fatica preziosi e devoti collaboratori. Se noi rifacciamo il cammino percorso e stabiliamo quello che si potrebbe dire, in linguaggio contabile; il bilancio della nostra attività politica, non vi è dubbio che esso si chiude con un grande attivo. E lo dico io che sono piuttosto pessimista per natura e non incline al facile ottimismo. Non abbiamo compiuta tutta l'opera: ci vorrà ancora molto tempo. Ma abbiamo preparato tutte le condizioni necessarie e sufficienti perché quest'opera sia compiuta. Già dissi altra volta che la politica non è un'arte facile: è più difficile di tutte le altre, perché lavora la materia più inafferrabile, più oscillante, più incerta. La politica lavora sullo spirito degli uomini che è un'entità assai difficile a definirsi e in ogni caso è mutevole. Sullo spirito agiscono gli egoismi, gli interessi, le passioni. Assommate tutto ciò nella Nazione, e vedrete che lavorare su questo elemento complesso, cioè indirizzare questa massa di uomini verso determinate direzioni, per arrivare a certe mète, non è una cosa semplice: è ìnfiniiamente difficile. Si tratta prima di tutto di ristabilire l'idea dello Stato e fissare lo stile del Governo. Abbiamo il merito di aver fatto del Governo una cosa viva,, palpitante, operante nel seno della Società Nazionale; non il Governo abulico e amorfo, che si lascia insidiare e insultare in una specie di duello ridicolo per cui l'opposizione sarebbe sacra e intangibile: avrebbe tutti i diritti, mentre il Governo avrebbe l'unico dovere di costituire un comodo e indulgente bersaglio. Dichiaro che questa è una teoria assolutamente suicida e che se in tale teoria si compendia la dottrina del liberalismo, io mi dichiaro nettamente antiliberale. Abbiamo dato una disciplina agli italiani. Non è perfetta, sono io stesso il primo a riconoscerlo. Ma per avere un'idea del cammino percorso, bisogna stabilire dei termini di confronto e vedere che cosa era l'Italia nel '19 e nel '20, che cosa fu nel '21 e '22, che cosa è stata nel '23. Gli episodi sporadici di violenza, che noi deploriamo e reprimiamo con mesi e talvolta con anni di carcere, non si aboliscono in un batter d'occhio, come si presume da taluni. Non bisogna credere che anche prima del 1914 non ci- siano stati: non si deve credere che l'Europa prima del 1914 sia sempre vissuta nel latte e miele e che i tempi della violenza coincidano coll'avvento del Fascismo. La storia politica d'Europa, dal '70 al 1914 voi la vedrete tempestata di atti di violenza terribili e individuali e collettivi. Le elezioni scandalose a base di mazzieri - ad esempio - sono nelle cronache politiche dell'Italia prima del 1914. Bisogna introdurre, parlando di disciplina, il criterio del relativo pure tendendo con tutte le forze all'assoluto.

Terzo punto. Non è facile passare da un moto insurrezionale ad una situazione legalizzata: sono dei problemi che mi affaticano, ai quali penso incessantemente quando gli altri dormono. Il problema dello squadrismo, che ora sembra l'uovo di Colombo, non era un problema trascurabile: erano sette od otto organizzazioni a camicie multicolori che passeggiavano più o meno camionalmente per tutte le parti d'Italia. Ognuna di queste formazioni politico-militari era un frammento della autorità dello Stato che andava in rovina. Sopprimere tutti gli squadrismi e lo stesso squadrismo che aveva condotto il Partito Fascista al potere; non uscire dai confini della Costituzione - ed io ho sempre avuto la massima cura di non toccare quelli che sono i pilastri fondamentali dello Stato - o ridurre al minimo le demolizioni perché demolire è facile, ma costruire è difficile: questi sono gli elementi sui quali bisognerebbe meditare senza attardarsi a vedere se nell'ultimo paesucolo, nella giornata di domenica, c'è ancora una rissa, e ricamarvi sopra un pesante capitolo di filosofia della storia. Senza eccessivo orgoglio, noi dobbiamo essere soddisfatti della nostra opera e dobbiamo continuarla. Abbiamo posto le fondamenta. Ora si tratta di costruire l'edificio coi pieni poteri o senza. Sta di fatto che le azioni del Fascismo possono subire delle oscillazioni dipendenti da fenomeni di natura prevalentemente locale, ma ho la coscienza di poter affermare che le azioni del Governo fascista sono in rialzo. Attorno al Governo c'è il consenso delle moltitudini; c'è il popolo italiano, che ci dà ancora nel 1924 tacitamente l'esercizio dei pieni poteri.

Non saprei chiudere questo mio discorso senza rivolgere un pensiero di ammirazione e di gratitudine per il popolo italiano che offre un superbo spettacolo di laboriosità e di disciplina.
Ho la certezza che se noi continueremo a lavorare con quello stesso spirito gagliardo che ci ha sorretto nelle aspre prove del 1923, questo ritmo accelerato della vita italiana diventerà ancora più potente e la ricostruzione nazionale sarà il titolo con cui il Fascismo entrerà gloriosamente e definitivamente nella storia italiana.