Saturday 3 March 2012

Discorso di Modena, 29 settembre 1921

Ai funerali dei fascisti uccisi

di Benito Mussolini

Non mai come in questa giornata di pianto e di gloria io ho sentito, con mortificazione, le deficenze del mio spirito.

Oggi vorrei assommare e armonizzare in me le divine facoltà dei poeti, per salutare con un epicedio queste superbe giovinezze stroncate da un'oscura e premeditata tragedia.

Il fato, nella sua tristezza, supera le mie possibilità oratorie. Vi parlerò da soldato, poiché questi che caddero appartenevano alla milizia migliore del nostro esercito; e da uomo pensoso non della sua, ma dell'altrui umanità.

Quale onda di commozione mi ha sopraffatto stamani quando ho visitato le salme raccolte nel sonno che non ha risveglio e quando i feriti, con elevatissimo morale di guerrieri e di martiri confessori di una fede, mi hanno accolto con un « alalà! » che mi ha scosso l'animo sino nelle più intime fibre.

E c'erano fra di loro i giovinetti imberbi, dai lineamenti gentili, le primavere sacre del nostro sangue latino, i virgulti schietti della nostra razza immortale; e c'era anche un uomo nella piena maturità degli anni, che ha visto cadere mortalmente ferito il figlio ed era magnifico di coraggio e di serenità.

Non un lamento, non un rimpianto è uscito dalle labbra dei nostri feriti. C'è in loro l'orgoglio del buon volontario che è lieto di consacrare col sangue la purezza della sua fede.

L'eccidio dell'altra sera è ricco di gravi insegnamenti. I nostri avversari sanno ora che quando c'è un pericolo da correre, un rischio da affrontare, una responsabilità da assumere, i capi dal fascismo sono al loro posto.

Se il malcostume degli avversari fosse anche il nostro, nessuno dei dirigenti il fascismo modenese sarebbe rimasto colpito.

Oggi tutta l'Italia guarda a Modena e non credo di commettere peccato se aggiungo che si attende con ansia ciò che io dirò.

Mi pare di sentire un coro anonimo di mille e mille voci levarsi dalle città, dai borghi, dai casolari e invocare ulna parola di pace. Noi che non siamo dei barbari, ascoltiamo questo grido di pace. La terra, dal 1914 ad oggi, ha bevuto tante lacrime e tanto sangue, che nessun uomo degno di questo nome può pensare senza raccapriccio che questo orrore continui.

Ma se pace; la pace vera, si vuole, che cosa significa questo rinnovato, diabolico accanimento antifascista cui assistiamo?

Non pace sincera vi può essere sino a quando i fascisti saranno chiamati sicari, assassini, assoldati, compagnie di ventura; sino a quando saranno additati come l'oggetto dell'odio e della vendetta popolare.

Oh, la tragedia non è locale, ma è nazionale. I protagonisti sono più numerosi, la scena è vasta quanto il territorio della nazione.

Io affermo qui, io che non ho risparmiato le critiche più acerbe a talune manifestazioni del movimento fascista, che il fascismo è nel suo insieme uno dei movimenti più disinteressati, più spiritualistici, più idealistici, più religiosi che conosca la storia italiana ed europea.

Erano dunque sicari di qualcuno, difensori di qualche cosa - di un uomo o di un interesse, di una casta o di un privilegio - questi giovani che prima di sigillare le labbra per sempre hanno mormorato, negli spasimi dell'agonia, il grido di « Viva l'Italia! »?

No. Per questi giovani che sono caduti, per gli altri che rimangono, l'Italia non è la borghesia o il proletariato, la proprietà privata o la proprietà collettiva. L'Italia non è nemmeno quella che governa o sgoverna la nazione e non ne intende quasi mai l'anima. L'Italia è una razza, una storia, un orgoglio, una passione; una grandezza del passato, una grandezza più radiosa dell'avvenire.

Con questa fede, per questa fede, voi siete morti; per questo voi siete andati alla morte, come alle « braccia di arridente sposa ».

E noi siamo venuti qui, da ogni parte d'Italia, a rendervi onore. I tremori dei nostri avversari sono vani. Nessun tumulto, nessuna violenza deve turbare né turberà la manifestazione odierna, l'estremo onore. I nostri inni echeggiano dalle nostre fanfare. I nostri « alalà! » si levano solenni in questo dolce cielo di settembre. Li sentite voi? Forse. Certo.

L'ondata formidabile dei nostri spiriti deve incontrare, scaldare i vostri che non sono morti.

Squillano le note di Giovinezza, l'inno della vita; ma voi, tra poco, scenderete nella terra negra. Per voi, o cari morti, stasera le stelle non avranno più brividi d'infinito; il sole di domani non avrà più splendori; nelle vostre famiglie si sentirà stasera il vuoto terribile che dà l'estrema dipartita e le lacrime amare cadranno nel silenzio.

Salve, oh morti dilettissimi. Noi non vi dimenticheremo. I vostri nomi rimarranno scolpiti nel nostro cuore profondo. Finché un solo fascista ci sarà in Italia, egli trarrà da voi l'esempio e l'auspicio.

Verrà giorno in cui il nostro esercito invitto e invincibile strapperà la definitiva vittoria. Allora, o fratelli di Modena, o fratelli caduti di altre città, un fremito improvviso farà sussultare i vostri resti mortali. Converremo allora alle vostre tombe di precursori e di avanguardie a sciogliere il voto della riconoscenza e della fede.

In nome dei cinquecentomila fascisti d'Italia, vi porgo l'estremo addio.