Saturday 3 March 2012

Discorso di Piacenza, 17 giugno 1923

Al popolo di Piacenza

di Benito Mussolini

Camicie Nere! Avanguardisti! Balilla! Cittadini della primogenita!

Io non trovo parole sufficienti per esprimervi la mia commozione e la mia profonda gratitudine.

Tutte le volte che io mi allontano da Roma, dove i residui di piccole caste politiche si illudono ancora sulla loro vitalità, e mi confondo tra il popolo, io ho veramente davanti ai miei occhi la impressione visiva plastica di una magnifica, di una splendida, di un incomparabile primavera.

Qui in questa città storica, qui pulsa gagliardo il sangue della nuova generazione, qui più che altrove il popolo in tutte le sue categorie ha compreso che in questo momento la disciplina, la concordia, il lavoro sono elementi necessari per la ricostruzione della Patria. Qui è il consenso, non soltanto la forza. Qui è il consenso che si raccoglie attorno a me e attorno al Governo che ho l'onore di dirigere, perché sa e sente che è un Governo che agisce, che legifera al di sopra di tutti gli interessi delle singole classi e categorie e non ha in vista che il bene supremo di tutta la Nazione.

Io vorrei — e ci riuscirò — vorrei, come ho detto, rendere grande, prospero e libero tutto il popolo italiano: ci riuscirò. Ci riuscirò malgrado i tempi difficili, malgrado le crisi e un complesso di circostanze che sono all'infuori e al di sopra della nostra volontà umana. Ma al di sopra delle volontà singole e individuali c'è ormai in atto ed in potenza una magnifica volontà collettiva; una volontà collettiva di tutto il popolo italiano che oggi è compatto, solidale, omogeneo attorno al Fascismo, in quanto il Fascismo rappresenta il prodigio della razza italiana che si ritrova, si riscatta, che vuole essere grande.

Noi dobbiamo imporre le dure discipline e se qualche volta dobbiamo colpire le categorie, lo facciamo per salvare la Nazione, per salvare il tutto che è rappresentato dal popolo italiano.

Davanti a questa folla io evoco le giornate di Napoli, quelle che si poterono chiamare la Sagra della vigilia; avevo dinanzi a me 40.000 camicie nere venute da ogni parte d'Italia, e questi magnifici campioni della nostra razza scandivano in un ritmo che aveva del religioso e del solenne queste parole: «Roma! Roma! Roma!».

Io tacevo perché non era ancor suonata l'ora, ma la decisione era già maturata nel mio animo. Dopo quattro giorni, Roma non era più soltanto un grido: era una meta che avevamo raggiunta.

Perciò io dico a voi: « Camicie nere, serbate purissima, immacolata la vostra fede. Il fascismo ha preso Roma perché ne aveva il diritto, perché in questa battaglia aveva lanciato a centinaia ed a migliaia i suoi magnifici giovinetti. Il fascismo avendo questo diritto, lo rivendica in pieno e sa che nei vostri cuori, o camicie nere, questa fiamma brucia ancora e li riscalda e li esalta e li tiene pronti pei i compiti che ancora ci attendono ». Vi saluto gridando: « Viva il Re! Viva l'Italia! Viva il Fascismo! ».