(Pubblicato nell'Enciclopedia De Carlo, 1942)
di Salvatore De Carlo
Il termine antisemitismo è di coniazione moderna e sta ad indicare un determinato movimento politico-sociale sorto in seno alla razza indo-europea, movimento che pone gli ari contro i semiti per ragioni che prescindono da considerazioni teologico-religiose ed hanno il loro fondamento nei quotidiani rapporti di convivenza.
Dall'inizio della loro dispersione nel mondo (diaspora), da quando cioè fu distrutta la loro nazione e su di essi pesò il tragico destino per cui non fu più possibile la ricostituzione del loro tempio e della loro reggia, gli Ebrei vissero e vivono tra popoli di altre razze, conservando tuttavia, attraverso i secoli, la continua e forte aspirazione al definitivo ritorno nella loro terra, l'orgoglio smisurato ed intatto di razza primogenita, la convinzione, radicata e profonda, di una missione universale commessa loro da Dio, in segno di predilezione.
Essi, dotati di non comune intelligenza, di particolari qualità e facoltà peculiari alla loro razza fin dai tempi più remoti, ben di rado assimilarono i caratteri propri dei diversi popoli che li ospitarono con i quali non addivennero mai ad una vera e propria fusione pur traendo da essi i natali, gli usi civici, le abitudini ambientali, il linguaggio. Fu per questo che gli Ebrei non parteciparono mai, eccezion fatta per qualche caso sporadico e personale, ai movimenti nazionali dei popoli che li ospitavano, o vi parteciparono solo quando gli interessi della loro comunità potevano in qualche modo avvantaggiarsene.
V'ha di più, che, pervenendo essi, grazie alla loro solidarietà e alla loro inalterata compattezza, grazie pure alle doti non comuni di avvedutezza, di parsimonia, di previdenza, proprie della loro razza, alla direzione della finanza mondiale, acquistarono col tempo una formidabile potenza da essi impiegata sempre al raggiungimento delle loro secolari aspirazioni e al conseguente danno dei gruppi etnici con essi conviventi.
Entra pertanto nell'ordine logico degli avvenimenti umani l'avversione di molti popoli alla razza semitica, avversione che già si manifestò fin da principio nel mondo greco-romano quando si rimproverava agli Ebrei l'isolamento in cui pervicacemente si mantenevano, la loro esasperata ed esasperante ortodossia, la loro stessa empietà (atheotès). E torbidi scoppiarono fin da quel tempo contro di essi e una copiosa letteratura antigiudaica mise a nudo il subdolo animo ebraico, additando il pericolo che da essi derivava alle nazioni che davano loro asilo.
Durante i primi due secoli del cristianesimo si levarono possenti voci contro il giudaismo ufficiale per la bocca di S. Paolo che ripudiò la legge mosaica, di Tertulliano, S. Cipriano, S. Agostino, autori tutti di invettive Contra Iudaeos. Nel Medioevo continuarono e si inasprirono le persecuzioni contro il popolo nomade di Israele, che venne ripetutamente espulso, richiamato, ancora ricacciato dai diversi stati, limitato o escluso dai diritti comuni, accusato di empietà e additato al pubblico disprezzo.
Questo stato di cose si protrasse per molti secoli fino alla fine del sec. XVIII, quando ebbe inizio quel movimento che culminò con la Rivoluzione francese e con la Dichiarazione dei diritti dell'uomo, eccellente salvacondotto per gli Ebrei per raggiungere la sospirata emancipazione. Tuttavia fu questa una parentesi di breve durata, che all'inizio del sec. XIX, negli anni delle coalizioni europee contro Napoleone e in quelli immediatamente successivi, riprese la polemica e si riaccese la lotta, specialmente da parte di scrittori e pensatori tedeschi.
Era quello il tempo della riscossa nazionale germanica e della formazione dell'impero e si avvertiva come non mai negli Ebrei una forza contraria al raggiungimento dei fini nazionali; più tardi anche in Russia si dovette opporre una certa resistenza contro Israele con il sorgere del movimento panslavo. Poi il conflitto andò sempre più acuendosi ed estendendosi, fino ad interessare altre nazioni nei precisi momenti in cui queste intraprendevano movimenti di riscossa, di indipendenza, di libertà.
Intanto continuava il metodico, subdolo lavorio di infiltramento degli Ebrei in tutte le manifestazioni di carattere sociale dei vari paesi, al fine di sabotarne gli intenti nazionali e di indirizzarle verso quell'internazionalismo che meglio giovava alla loro triste condizione di genti senza terra. In Italia, pure avvertendo in essi, spesse volte, dei veri e propri ostacoli al raggiungimento di determinate mete necessarie al compimento delle aspirazioni nazionali, la lotta contro gli Ebrei non assunse mai carattere di violenza, grazie alla particolare capacità di assimilazione del popolo italico, e al potere di immunità del diritto romano.
Quando però una serie di manifestazioni politico-sociali di larga portata internazionale, iniziata col trattato di pace di Versailles e culminata con l'istituzione della Società delle Nazioni, seguì il grande conflitto del 1914-1918, al grido d'allarme della nazione germanica che prima subì il danno di un'ibrida coalizione giudaico-plutocratica sorta a soffocare il diritto, la giustizia, la libertà, le naturali aspirazioni dei popoli giovani e sani, anche l'Italia agì contro Israele e con saggi provvedimenti ne troncò la trista attività.
In Germania la lotta assunse carattere definitivo poiché quel governo fu costretto a prendere radicali provvedimenti contro l'elemento ebraico che infettava tutte le branche vitali della nazione.
Un tipico esempio della gravità dell'infiltrazione ebraica nell'Europa centro-orientale ci è dato dai recenti avvenimenti in Polonia; basti ricordare che nella sola Varsavia gli Ebrei raggiungevano la cospicua cifra di 500.000 individui. Gli inconvenienti causati da questa enorme massa di individui, presso i quali, tra l'altro, l'igiene non era tenuta affatto nel dovuto rispetto, erano tanti e tali che la Germania dovette intervenire con severe misure limitative.
Difatti dopo l'occupazione della Polonia l'amministrazione civile tedesca del nuovo Governatorato, affrontò il grave problema di questa specie di idra che paralizzava tutte le sane attività e, tra l'altro, istituì dei ghetti dove fu confinata la popolazione giudaica. Tali ghetti sono separati dal resto della comunità da un recinto di mura e gli israeliti possono uscirne soltanto se muniti di un permesso speciale. Essi devono, una volta la settimana, cospargere la soglia delle loro case con calce e cloro; non è loro permesso, per precauzione igienica, di salire sui tramvai se non sul rimorchio; le carrozze riservate agli Ebrei sono contrassegnate da un apposito cartello. Inoltre tutti gli abitanti del ghetto debbono portare al braccio, in segno di riconoscimento, una fascia di tela con la stella di Davide.
Il grandioso conflitto mondiale, scatenatosi nel 1939 tra le potenze dell'Asse (Italia e Germania) e le potenze cosiddette democratiche (Francia e Inghilterra) ed in seguito esteso ad altri popoli e ad altre nazioni fino ad interessare tutti i continenti della Terra, ha posto in chiaro l'opera nefasta compiuta da secoli dai dispersi figli di Israele in seno ai popoli che generosamente li avevano ospitati; opera di corruzione e di distruzione mirante a sconvolgere qualsiasi sistema di civiltà; a soffocare qualsiasi principio di morale e di religione, a neutralizzare qualsiasi tentativo di elevazione spirituale che per avventura fosse sorto, non importa dove, a turbare il losco traffico d'oro e di sangue che essi, da circa due millenni, stanno consumando sull'intera umanità.
Per questo la rinnovata loro persecuzione che risponde ad una precisa chiara maledizione che li accompagna per i secoli, è più che giustificata e sembra, da segni ben certi, ch'essa sia ormai definitiva e risolutiva.