Friday, 9 March 2012

La libertà vera e quella falsa

(Pubblicato in « Gerarchia », 1938)

di Amerigo Cerea

La civiltà moderna dopo il '14 è stata mette al punto critico, per dirla vichianamente, del tuo spiegamento storico: la guerra che nei momenti decisivi della storia è l'unico giudice sovrano tra i popoli, distruggendo i vecchi valori ha inverato nel nuovo ciò che vi era di vitale nel vecchio: la tradizione.

La guerra. Ma la guerra non è finita poiché etto è immanente nella vita dell'umanità; infatti non bisogna limitare il con- eetto di està solamente al cannone o alla mitragliatrice; questi non sono che i fatti più appariscenti e violenti, di un insieme di fattori precedenti che nella loro sin- tesi costituiscono ciò che noi con frase ambiguamente comune chiamiamo « tempo di pace ». La pace non esista come non triste la felicità; tono quetti concetti di una mentalità sedentaria e superata. I seguaci pacifisti delle filosofie « monastiche » e ottimistiche della libertà secondo natura possono pontificare a Oxford o a Parigi, ma dal loro noiosissimo pontificato lo spirito umano ha guadagnato men che nulla; la guerra è la madre naturale dell'uomo, essa è la vita della storia, il principio dinamico del divenire, fuoco eracliteo che agita il perenne fluire dello spirito. Come tutti i fatti umani està è un fenomeno eminentemente spirituale. Esisterà sempre perchè lo spirito netta tua corsa verso la liberazione vuole una vita sempre più degna, vuole cacciare da tè tutte le scorie e le passività che arrestano la sua marcia.

Atta fine del grande episodio cruento del '14, la civiltà mondiale si è trovata con maggior chiarezza dinanzi alle sue passività: il vero nemico è sorto dalle vecchie trincee e dai luoghi più imprevisti, ha stretto le più strane alleanze. Cosi la guerra continua e le carte di Versaglia di fronte ad essa non sono che l'espressione di una gretta mentalità antistorica.

La concezione liberale della vita, che trovò la sua prima soluzione e dissoluzione nell'urto dei popoli della grande guerra, dopo tutta la preparazione retrospettiva che data almeno dal '70 in poi, oggi sembra trovarsi in identità dottrinaria col soviettismo; e non poteva essere altrimenti poiché la base di queste due dottrine è il materialismo e l'antistoricismo, il comune denominatore: l'individualismo.

Comunemente si parla di un materialismo sorto dopo la guerra europea, ma in realtà quel lasciare andare, quello sfasciamento di valori, che trova la sua espressione nel decadere del culto della famiglia, del rispetto alla donna, della religiosità, della moralità, dell'integrità di pensiero, del culto della tradizione e simili, che subito dopo la guerra si verificò, non è che l'ingrandimento di uno stato di fatto esistente in potenza anche prima.

La mancata digestione della cultura ha compromesso la integrità spirituale del popolo russo, cosicchè il Cristianesimo diventò superstizione, la filosofia giustificazione dell'individualismo più brutale, negatore di tutto quello che da Aristotele in poi è stato il fondamento della civiltà: l'individuo nella famiglia e nello Stato. Tutto questo vediamo riflesso nella letteratura russa di anteguerra e se certi slanci alla Dostojewski, data la particolare contingenza, possono tembrare umanamente giusti, non lo sono più se li consideriamo nel quadro completo dello spirito; infatti salvo rarissime eccezioni la spiritualità russa non fu mai orientata secondo una reale e concreta coscienza dei suoi problemi.

La Russia quindi non aveva nulla da dire all'Europa e anche oggi il suo spettacolo tragico ci stupisce. È naturale che ti liberalismo democratico vedendosi sconfitto dalla realtà storica cercasse un terreno più fecondo per la seminagione degli immortali principi; questo spiega perchè ti pervertimento selvaggio educato a questi immortali principi e la malizia fraudolente si siano dati la mano.

Conviene però tener separati questi due elementi. Il secondo infatti è il più grave poiché è decadenza innata nell'essere stesso della civiltà occidentale: prodotto più che dagli immortali principi, da una fallace interpretazione di essi. È la vecchia mentalità borghese agnostica, demagogo, aristocratica e filistea, ma sempre decadente, figlia di quel decadentismo romantico dell'ultimo Ottocento, che per giustificarsi si è impudentemente elevato a forma storica mentre la storica giustificazione che la pseudocritica pretende dare è la sua stessa condanna, poichè rappresenta il più crudo e sfacciato determinismo.

Ciò che era detto vezzosamente il « mal du siècle » è il morbus in nobis che la vecchia Europa, che sta ritrovando se stessa dovrà schiacciare definitivamente senza pietà.

La mentalità ottocentesca liberaloide e decadente non dimostra soltanto la sua poca intelligenza del momento presente, attraverso l'accademismo oxfordiano dell'oratoria edeniana, ma anche nelle forme e nelle preferenze della vita: il femminismo suffragista, sostituitosi alla stima della donna, ha abbassato questa al livello della materia di gaudio, con tutte le conseguenze sociali e spirituali che derivano da una simile concezione.

Si pensi infatti che soltanto dal diverso modo di considerare la donna è questione di vita o di morte di tutte le forme della vita dello spirito. Che cosa è la donna nella società del decadentismo delle grandi democrazie? E che cosa è questa società?

La concezione liberale-comunistica che nel suo aspetto morale è pretto decadentismo, non è una determinazione geografica, ma bensì un fatto patologico non sempre facilmente determinabile: il microbo si annida ovunque e rappresenta un grave pericolo per la civiltà occidentale; poichè nello Stato è negatore dello Stato; così tutto ciò che è soggettivismo, edonismo, dilettantismo è negazione di quello spirito nuovo che fa nascere il culto dello Stato ove l'individuo è ben più individuo che nella prelesa società della libertà per la libertà, nella quale di fatto la libertà è l'arbitrio del più forte nel senso più lato del termine. E noi educati alle sfumature del pessimismo machiavelliano non possiamo credere a simili utopie. Chi si diletta della vita comoda eleva a massima della sua esistenza un principio che non è assolutamente proprio dell'etica fascista, anzi, essendo perfettamente negativo, è in antitesi con esso. L'esterofilia in tutte le sue forme da quello della signora elegante che preferisce i guanti di marca inglese o la cipria di una rinomata casa parigina, all'uso dei vocaboli stranieri, rivela mancanza di carattere e di orgoglio nazionale, predisposizione al pseudo-universalismo e umanitarismo della concezione liberale comunistica, che sotto la pretesa libertà e umanità, nasconde un nullismo é un egocentrismo indifferenti ad ogni vivo problema sociale, che spaventa. Il femminismo che ha creato il tipo della donna mascolinizzata: automobilista, aviatrice, avvocato, sportiva, fumatrice e bevitrice, il femminismo antispartano e antidemografico, fenomeno del decadentismo liberale e particolarmente anglosassone, è una componente fondamentale del decadentismo europeo e si esprime in tutte le forme della vita: dal cinematografo al romanzo larvatamente osceno; dal frammentarismo filosofico-letterario al surrealismo. Contro l'Europa fradicia insorge la civiltà di Roma, ma la civiltà di Roma siamo noi che la costruiamo di giorno in giorno, e quindi tutti dobbiamo uniformare la nostra vita al suo imperativo, eliminando quelle abitudini che sembrano innocenti, ma che invece sono supreme viltà, perchè negative rispetto al mondo che viviamo e vogliamo soprattutto vivere.

È quel senso di misura, quel buon senso latino che forse la romanità ereditò dal- Vetica aristotelica, che deve guidare la nostra personale iniziativa, poiché tutti gli Italiani hanno il dovere morale di cooperare alla vita dello Stato. Infatti, se l'imperativo dell'individuo non è quello dello Stato, non può esistere nella coscienza il principio positivo della morale. Perchè solo in questi limiti si può attingere quella vera umanità in nome della quale i vari don Abbondii dell'utopia liberale comunistica retoricamente predicano, falsando coscientemente il concetto di libertà.