(Pubblicato nell'Enciclopedia De Carlo, 1942)
di Salvatore De Carlo
L'Asse, felice espressione con la quale il Duce ha voluto battezzare l'unione politica, economica, culturale e infine guerriera tra Roma e Berlino, è nato anzitutto dall'incontro delle necessità vitali di due popoli egualmente fecondi, operosi, giovani, se pure irradiati dalla luce di una civiltà millenaria; e ancora dall'incontro spirituale di due uomini, di due capi, combattenti e fautori di parallele rivoluzioni, animate da uno stesso ideale: il bene del proprio popolo contro tutte le piaghe sociali, le ingiustizie, i soprusi, i tradimenti sofferti.
L' Asse : due mani tese in una stretta che garantisce la comune vicenda; una fiera certezza di riscatto contro quel trattato di Versaglia, dettato dalle grandi democrazie, che nascondevano sotto l'ulivo della pace coatta la sadica volontà di vietare alle due Nazioni di maggiore avvenire, ogni mira di legittima naturale espansione. Attorno a quel tavolo di mercanti, l'Italia di Vittorio Veneto conobbe fin d'allora l'ingratitudine e la costante ostilità dei falsi alleati. Essi furono, sì, ferocemente intransigenti con la Germania, trascinata nel conflitto dalla sua alleanza con l'Austria, ma furono forse più subdoli e feroci contro l'Italia, escludendola da ogni effettivo vantaggio: quell'Italia di cui si calpestarono subito i diritti, mentre ancora era caldo il sangue del suo contributo decisivo nella capitolazione dell'Impero austro-ungarico: 1 milione di feriti, 500 mila mutilati, 700.000 morti.
Così, con l'insano egoismo di questa pace iniqua, veniva soffocato sul nascere quello che doveva essere, fin d'allora, l'assetto europeo fondato su basi di ordine e di giustizia, che avrebbe solo in tal modo garantito durevolmente il futuro da una nuova tormentosa tragedia. In quel lontano 1919, quando con tanto spietato cinismo e miopia, veniva abbeverata di fiele e tradita nei suoi vitali interessi l'Italia, mentre era decretata la schiavitù di una nazione come la tedesca, con la illusione di opporre insormontabili ostacoli a una possibile rinascita germanica, Mussolini e Hitler iniziavano i primi moti rivoluzionari per arginare la dilagante dissoluzione sociale e insieme per ribellarsi alle enormi ingiustizie consumate ai danni dei loro paesi.
Già il 23 marzo a Milano, nella storica adunata di S. Sepolcro che segnava l'atto di nascita del fascismo, Mussolini aveva precisato che se la Società Ginevrina doveva essere un'arma delle nazioni ricche puntata contro quelle proletarie, per fissare ed eternare un intollerabile squilibrio mondiale, era necessario insorgere.
A Monaco, intanto, in quegli stessi giorni, Hitler iniziava il suo movimento antibolscevico. Questa lotta comune, diretta contro l'internazionale comunista, che minava l'organismo interno dei popoli italico e germanico, fu la premessa che doveva fatalmente avvicinare le due rivoluzioni. E quando l'impeto dei reduci e dei giovanissimi ebbe stroncato la canea bolscevica, il problema della vita nazionale, nel quadro dei rapporti col mondo, apparve agli occhi dei due condottieri oppresso dalla tirannia delle grandi democrazie capitaliste, che detenevano il monopolio di tutte le materie prime e il controllo marittimo sulle zone d'influenza degli altri stati.
Conseguentemente il problema diventava europeo: una nuova guerra o la revisione dei trattati. La parola lungimirante del Duce aveva già ammonito il 1 dicembre 1921 : « I trattati non sono eterni, non sono irreparabili: sono capitoli della storia - non epilogo della storia ». Con queste verità assiomatiche Mussolini, al Senato, il 16 novembre 1922 e il 5 giugno 1928, richiamava ancora una volta l'attenzione del mondo sulla assurda staticità dei trattati: « Complicazioni gravi saranno evitate, se, rivedendo i trattati di pace laddove meritano di essere riveduti, si darà alla pace un nuovo e più ampio respiro ».
Mentre gli orizzonti incupivano sotto le brume del nervosismo e del disordine, Italia e Germania si stringevano sempre più in una comunità di aspirazioni, di spiriti e di esigenze, che culminava, durante la nostra conquista dell'impero realizzata malgrado le mostruose sanzioni decretate da 52 stati. La Germania lasciò aperte le sue porte all'Italia e da quei giorni il Duce e il Führer compresero come fosse necessario prevenire energicamente la malafede di quelli che volevano ad ogni costo soffocare il diritto di vita dei loro popoli.
È chiaro che Germania e Italia si dovettero allora preparare materialmente e spiritualmente; non per attaccare, ma per difendersi. Nella guerra di Spagna si approfondirono i contatti fra i due popoli che insieme scattarono contro la bolscevizzazione del Mediterraneo, ciecamente favorita dalle democrazie di Londra e di Parigi. Nel 1938 si inasprì la già violenta crisi europea. La politica italiana tentò ancora di fronteggiarla e si arrivò alle effimere intese di Monaco; ma gli eventi precipitarono.
Ai reiterati appelli del Duce, per una soluzione pacifica di tutti i problemi europei, Francia e Inghilterra rispondevano nel febbraio del '39 concretando la firma di un'alleanza militare fra le due nazioni, la quale irrigidiva i rapporti fra gli stati, in una tensione che si era fatta cruciale. Era assurdo pensare che un popolo come quello germanico, di 80 milioni di anime, guidato da un Uomo dalla volontà d'acciaio, si potesse lasciar comprimere e passivamente soffocare da certi decrepiti conservatori anglici; come pure era assurdo pensare che l'Italia, potenza insulare che respira nel Mediterraneo, nazione che ha portato il più alto contributo di civiltà nel mondo, dopo 100 anni di lotte per la sua indipendenza, dopo tanti sacrifici e contributi di sangue per la sua grandezza, potesse ancora sentirsi schiava dentro quel mare che già fu di Roma e delle Repubbliche marinare o, peggio, vassalla al carro dell'Inghilterra, che subordinava al suo beneplacito ogni carico che approdasse o partisse dalle sponde della Penisola.
Così sorse l'Asse Roma-Berlino, contro l'egoismo, la superbia e la tirannia britannica, affermando solennemente la volontà di lavorare per una pace vera, per una convivenza feconda tra i popoli. Ma nel '39, quando l'Europa fu percorsa da una nuova scintilla di guerra, non si vollero comprendere queste due realtà; il ritorno dell'impero di Roma e la rinascita dello stato tedesco. Unite le sorti nel patto d'acciaio, la solidarietà delle due rivoluzioni ebbe per mete principali: la riorganizzazione dell'Europa e una più equa suddivisione dei beni della terra.
L'Asse seppe affrontare risolutamente la tragica decisione marciando contro il capitalismo e quindi contro il comunismo, entrambi emanazioni giudaiche. Questa fraternità di propositi, di idee, di armi si e già cementata sulla terra di Francia, sulle contrade balcaniche, e ora cammina a fianco a fianco nel rigore delle steppe russe e sulle ardenti sabbie africane. L'Asse ha fatto il muro. Armi e cuori sono levati in una titanica volontà di vittoria; con esso, ormai, è tutta l'Europa. Molti stati che hanno tradito il loro avvenire asservendosi alla cricca giudo-plutocratica sono già caduti. Il mastodonte russo convulsamente barcolla; ed anche il nemico secolare, la perfida Albione, agganciata alla gola, ha il destino segnato. Nessuna resistenza potrà arrestare la compatta e travolgente marcia dell'Asse, centro unificato della nuova indipendente realtà europea.