di Anonimo
Dal caso Messe al caso Bergamini. Là era la storia di un bravo generale, che ha rinnegato alla fine il suo passato di fedeltà e di valore; qui è la storia di un ammiraglio sfortunato, già sepolto con la sua nave in fondo al mare, e fatto segno ora ad una speculazione indegna da parte del regio Governo fuggitivo.
Non vi è delitto più infame che tradire i morti. I morti, si sa, non parlano; è facile fare mercato del loro onore. Ma per sua buona ventura l'ammiraglio Bergamini ha lasciato le testimonianze inoppugnabili della sua dirittura di marinaio e di italiano. E noi, per quanto lontani ormai dalle vicende e dagli uomini del recente, amaro passato, rivendichiamo il privilegio di difendere la memoria di quel galantuomo, ché non è giusto si violenti la storia e che si infanghi la figura di un capo rimasto solo al di sopra del triste traffico che ha portato al nemico le nostre navi, sudore e sangue del popolo. Ecco, infatti. Alle 2 di notte del 9 settembre, e cioè poche ore dopo la proclamazione dell'armistizio badogliano, usciva dalla Spezia, al comando dell'ammiraglio Carlo Bergamini, l'intera squadra navale con rotta verso la Maddalena. Durante la notte si univano alla formazione, che avanzava a velocità ridotta, tre incrociatori provenienti da Genova. Dopo dieci ore di navigazione, vale a dire a mezzogiorno, quando la squadra era in vista delle Bocche di Bonifacio e aveva già assunto la linea di fila per incanalarsi verso i previsti ancoraggi, una squadriglia di cinque bombardieri tedeschi, sbucata fra l'azzurro e le nubi, sganciava sulla formazione, che, in virtù del tradimento, era diventata per i germanici una formazione navale nemica e quindi legittimo obiettivo di attacco, una serie di bombe con mira particolare alle corazzate. Parapiglia delle navi con rapide accostate a dritta e a manca; ma poi è stata questione di un attimo: l'unità da battaglia Roma, centrata nella Santa Barbara, dopo un'esplosione violenta, si spezzava in due e sprofondava negli abissi nello spazio di pochi minuti. Fermo al suo posto di comando, l'ammiraglio Bergamini seguiva il destino della nave scomparendo tra i flutti. A soccorso dei naufraghi sostavano l'incrociatore Attilio Regolo, alcuni cacciatorpediniere e torpediniere; questo nucleo di unità, con il carico dei superstiti, si è diretto più tardi in un porto neutrale (Spagna) ed è stato internato. Intanto il grosso della squadra aveva già preso il largo, alla velocità dt trenta miglia, con rotta iniziale verso le Baleari; poi, quasi a seguito di un improvviso pentimento, la formazione ha puntato a sud, incontro al porto di Bona, per riparare nelle mani del nemico. E il tradimento ha avuto cosi il suo epilogo. Fin qui la nuda e controllata cronaca dei fatti.
Ora succede questa cosa, che possiamo definire enorme: l'annuncio solenne, dato dal Governo del piccolo re, che l'ammiraglio Bergamini, in omaggio alla memoria, viene promosso ammtraglio dt Armata « per aver trovato gloriosa morte nell'adempimento della sua missione di consegna della flotta agli angloamericani ».
Siamo di fronte ad un documento di volgarissima malafede. Lasciamo andare che è già di per sé disgustosa l'tntenztone di decretare un pubblico premio agli eventuali artefici di un tradimento militare, ma badiamo soltanto al caso di mistificazione che quel documento esprime ai danni dell'ammiraglio scomparso. E allora, prove e testimonianze alla mano, possiamo precisare formalmente: l'ammiraglio Bergamini, se fosse rimasto in vita, non avrebbe mai consegnato le navi al nemico.
Ecco, infatti, le precise direttive da lui impartite, in conclamato clima di armistizio, a tutti gli ammiragli e comandanti di unità della flotta: a) non fare resistenza armata ai germanici in alcun caso; b) se fossero stati gli angloamericani a voler impadronirsi delle navi con la forza, ordine alle navi di reagire ad oltranza con le armi e, in caso disperato, ordine di autoaffondarsi. Con le mani bloccate entro la morsa degli ordini ricevuti, Bergamini parlava quel giorno col cuore in gola, affranto dal dolore, ma non aveva per nulla abdicato alla sua dignità di marinaio. Era già su di un piano elevato rispetto alla zavorra di tutti gli altri capi militari, invischiati nel tradimento da loro pensato e voluto fino alle conseguenze estreme.
Molti ufficiali, tra quelli che in obbedienza all'esempio ed agli insegnamenti dì quest'uomo oggi militano sotto le bandiera della Marina repubblicana, sono buoni testimoni delle fiere intenzioni espresse dall'ammiraglio nelle ore angosciose che precedettero l'uscita in mare delle navi. Con il comandante Bedeschi, ad esempio, come con altri, egli si è espresso testualmente (8 settembre):
« Intendo portare la flotta in un ancoraggio italiano o in altro ancoraggio al di fuori di ogni estranea ingerenza. Non consegnerò mai le navi al nemico ».E nell'abbracciare il suo ufficiale, ha soggiunto:
« Ma la mia è un'illusione. Sento che non ci vedremo più. Bisognerà andare a picco ».Fece rotta infatti, come si è visto, per la Maddalena, terra italiana, sperando di potervi riparare la squadra. Sulle soglie di quel porto la sua nave venne fulminata.
Fino a quel momento la sua flotta era integra nel suo onore. Caduto l'ammiraglio, salvo le poche eccezioni delle navi che gli hanno obbedito autoaffondandosi o internandosi in porti neutrali, caddero anche le sue consegne. Il grosso della squadra passò al nemico.
E qui tornerebbero istruttivi i profili dell'ammiraglio Oliva, del capitano di vascello Tallarico e degli altri fautori del dirottamento della squadra e della sua resa. Molti veli sono caduti, le responsabilità vanno sempre più a fuoco. Sulla scorta di freschi ed esaurienti rapporti pervenutici dall'altra parte della barricata, sarebbe facile, se carità di Patria lo consentisse, ricostruire scena per scena il clima ambientale di qualche nave, dell'incrociatore Eugenio di Savoia ad esempio, e seguire da Bona a Malta, da Alessandria a Taranto, i casi, le disavventure, gli atteggiamenti dei signori ufficiali ivi imbarcati...
In piena atmosfera di tradimento, l'ammiraglio Bergamini fu anch'esso, dunque, tradito. Di quanto si è detto sopra esiste la documentazione più ampia, autorevole e definitiva. E gli si vuole ora imporre l'aureola di eroe dell'armistizio, quanto ne fu invece la prima vittima, il primo martire. Ripugnante gioco, che offende la memoria dello scomparso, l'onore dei suoi figli, la nostra dignità d'italiani veri. Noi non abbiamo nostalgie e tenerezze per l'Italia di ieri, edizione 1943, intendiamo porre alle nostre spalle uno schermo opaco che ci isoli per sempre da ogni passata indegnità e bruttura, vogliamo guardare all'avvenire, dobbiamo rifare tanta strada... Se oggi abbiamo sostato un attimo fra le quinte di un'epoca tanto triste è perché ci sembra terribile che la disonestà si perpetui, mentre tutti ancora stiamo scontando la disonestà recente. Non dunque per spunto di polemica e per rivendicazione di parte intendiamo portare luce al caso Bergamini, ma per sincero amore di onestà e di verità, per difendere e ripulire un bravo soldato dal fango che lo minaccia, per poter numerare un traditore di meno e un galantuomo di più, per poter definire in modo sempre più netto la distinzione tra italiani degni e italiani indegni.
Ecco perché siamo lieti e fieri di proclamare che l'ammiraglio Bergamini non è caduto sul tragitto che porta alla diserzione. È caduto durante la rotta, liberamente scelta, che sul mare italiano congiunge due terre italiane.
Questo vale ad imporlo al nostro rispetto, se già da tempo non si fossero imposte alla nostra ammirazione le sue stupende virtù di uomo e di soldato: energico, buono, valoroso, infaticabile, diritto.
Carlo Bergamini non era della tempra dei generali e degli ammiragli che hanno calpestato ed insultato il sacrificio dei morti! Inutilmente essi lo chiamano in causa, per coprire e riabilitare in qualche modo, colla sua figura pulita, l'osceno mercato dell'8 settembre.
Egli non può essere con loro, perché è rimasto a presidio del mare d'Italia.