(Pubblicato in « La Rassegna nazionale », 1941)
di Ugo Ciuchini
Nell'attuale momento ogni italiano del fronte interno, qualunque sia il posto che occupa nella gerarchia sociale, ha da avere un senso più vigile di responsabilità e di giustizia, e sentire anzi più vivo, nei rapporti con i concittadini, quel senso di fraternità umana, che non è soltanto un dovere cristiano, ma l'espressione spontanea della solidarietà nazionale e di razza, cementata ora dal sangue generoso versato dai nostri fratelli sul campo di battaglia.
Per vincere la guerra c'è bisogno di austere virtù, non dello sfrenamento delle passioni volgari.
Ricordiamoci delle parole del Maresciallo Pétain e di altri patrioti francesi dinanzi al disastro della Francia: « la sconfitta è dovuta allo spirito godereccio dei francesi, al loro oblio della morale, della coscienza e dell'onestà ».
Dobbiamo utilizzare tutte le nostre risorse spirituali e morali. In prima linea fra queste, il sentimento religioso del popolo italiano, quel sentimento religioso che abbiamo succhiato col latte sulle ginocchia materne, e che è il retaggio più nobile e più puro che abbiamo ricevuto dai nostri padri.
Imitiamo l'esempio dei nostri antenati, cominciando dagli antichi romani, che Livio chiama « uomini pieni di religione, i quali non intraprendevano impresa militare o civile senza essersi propiziati gli Dei con sacrifici e senza aver consultato gli aruspici ». Ricordiamoci che una delle prime ragioni della felicità di quella repubblica, come nota Machiavelli al capo XI dei « Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio », fu il tanto timor di Dio di quel grandissimo popolo.
Il popolo italiano, erede del popolo romano è intimamente cattolico; e, guardando anche le cose da un punto di vista semplicemente prammatistico (ove la luce della fede non arridesse nell'anima), è necessario mettere a profitto questa potentissima molla del sentimento religioso.
Questo, unito e fuso con l'amor di Patria, crea miracoli di fortezza e di eroismo sovrumani, come quello dell'Alcazar. La Spagna di Franco ha potuto liberarsi dalle ritorte dell'idra rossa, perche aiutata dall'Italia di Mussolini e dalla profonda fede cattolica che animava i suoi soldati, i quali sapevano di combattere veramente « pro aris et focis ».
« L'Italia è cattolica, immutabilmente cattolica nella sua tradizione e nel suo istinto... » (Alfredo Oriani). L'Italia è cattolica di diritto e di fatto, cattolica nella mente e nel cuore.
Il Fascismo fin dal principio intuì tutta l'importanza della concordia fra il sentimento di Patria e il sentimento di Religione degli Italiani.
L'Italia che ha il privilegio immenso di avere nel suo seno la Cattedra santa di Pietro, conosca la sua vocazione.
Pur rimanendo nel campo distinto e autonomo delle sue realizzazioni civili, politiche ed economiche, essa, nei disegni della Provvidenza è destinata a cooperare all'opera restauratrice e civilizzatrice della Chiesa sull'Europa e sul mondo; sopratutto con la efficacia dell'esempio, realizzando la propria vita politica e sociale nell'ordine cristiano come ora fa brandendo la spada contro il bolscevismo negatore di ogni principio civile e cristiano.
Per gli stretti legami esistenti fra l'Italia e la Chiesa, la causa dell Italia, che riconosca la propria vocazione, diventa la causa di Dio (e la causa di Dio finisce sempre col trionfare); combattere per la Patria è combattere anche per la Fede della Patria, « pro aris et focis », secondo il classico motto romano; è combattere per una migliore Europa, più concorde, più giusta e più felice; è combattere per Cristo. L'Europa « ha bisogno ed è assetata di una nuova disciplina interiore e di una nuova unità spirituale » e « nessuno può dire che cosa prepari alla storia la magnifica vitalità cristiana » (Alfredo Oriani).
Per la rigenerazione d'Europa è necessario ricostruirne la unità intellettuale e morale (la causa remota, ma fondamentale, della guerra attuale sta appunto in questa mancanza di unità spirituale, basata su di un criterio unico di moralità e di giustizia universalmente accettato); sì arduo compito non può essere assolto senza Roma, a cui tutte le nazioni europee possono guardare con fiducia, come a quella che conserva sempre vivi e vitali i fermenti (Cristianesimo e Romanità) che già, fondendosi con le peculiarità della forte e leale razza germanica, produssero la civiltà europea.
E una civiltà, come acutamente osservava il Segretario della Repubblica Fiorentina (libro III, capo I, dei « Discorsi sopra la prima deca di Livio ») non si rigenera che riducendola ai principii suoi. Il problema massimo della ricostruzione unitaria dell'Europa di domani è quello di unire latinità e germanesimo, e questa unione, pur rimanendo distinti i due mondi con le particolari loro caratteristiche, può avvenire, in modo intimo e permanente, sotto la influenza spirituale di una « concezione religiosa unitaria » che Hitler (La mia vita) lamentava come mancante nella società odierna e che riteneva necessaria, perché « per la massa la fede è quasi sempre l'unico fondamento di una concezione morale del mondo », e senza basi morali il mondo non può sussistere.
La storia stessa di Roma ci insegna che gli imperi si formano non solo con la spada, ma anche con la virtù, e che quando viene meno la virtù, si corrompono e si sfasciano.
Questo sta a significare la Croce nel centro del tricolore, la quale non deve essere un semplice simbolo araldico, ma l'espressione di tutto un programma.
Già nel 1830 Ciro Menotti nel suo piano di movimento rivoluzionario intitolato: « Idee per organizzare delle intelligenze fra tutte le città dell'Italia per la sua indipendenza, unione e libertà » aveva stabilito che « lo stendardo dei tre colori, verde, rosso e bianco » che doveva costituire la bandiera dell'Italia rigenerata, fosse « ancora composto della Croce », avvicinando così (sono le sue stesse parole), « il simbolo della Libertà e della Religione ».
Il che dimostra all'evidenza come, fin dagli inizi del Risorgimento, i santi ideali di Patria e di Religione fossero indissolubilmente uniti nei cuori della grandissima maggioranza di coloro che aspiravano e cospiravano per l'indipendenza e l'unità d'Italia.
È sempre l'ideale radioso del divino Alighieri, perenne interprete e genio tutelare della stirpe italica, che domina la nostra storia: l'ideale simboleggiato dall'unione dell'Aquila e della Croce.
Come già in Dante, l'amore per la Patria e l'amore per Cristo sono stati sempre uniti nel cuore del popolo italiano, il quale « nel suo fiore mai sfiorito — come scrive Giovanni Papini — è stato più dantesco » di molti suoi uomini rappresentativi.
E perciò dall'unione del Fascio littorio e della Croce, simboli delle idee universali del diritto e di Dio, sta racchiuso il destino dell'Italia e dell'Europa di domani; perché il mondo nuovo che uscirà dalla guerra dovrà risultare dall'armonizzazione del Fascismo e del Cristianesimo, dal connubio, cioè della giustizia e dell'amore, gli unici due principii capaci di riorganizzare il mondo di domani.
Il Fascio littorio e la Croce, simboleggianti la Romanità e il Cattolicesimo, costituiscono e costituiranno sempre, finché l'Italia sarà come per il genio del Duce è oggi, all'altezza dei suoi destini, gli ideali che potranno guidarla alla vera grandezza.
L'imperatore Costantino, dopo aver fatto imprimere sugli scudi e sulle insegne dei suoi legionari la Croce di Cristo, « ad Saxa rubra » sconfisse Massenzio; e da quel giorno, in cui i fasci e le aquile romane si congiunsero alla Croce, spuntò nel mondo la più splendida delle aurore, l'aurora della civiltà cristiana.
In quest'ora grave per le sorti della Patria e della civiltà europea, guardiamo in alto.
Nei cieli azzurreggianti d'Italia splende ancora idealmente, raggiante di sovrumani fulgori e consolante come una divina promessa, la Croce che apparve a Costantino...
O Italia, « in hoc signo vinces ».