Saturday 10 March 2012

L'« affare » Messe

(Pubblicato in « Corrispondenza Repubblicana », 21 dicembre 1943)

di Anonimo

Molto si è parlato e discusso nei giorni scorsi della sorprendente entrata del maresciallo Messe nel trust angloamericano-badogliano. Si sono udite, a tal proposito, le espressioni di rincrescimento dei molti che il maresciallo Messe stimavano, cosi come si sono potute vagliare le rampogne di coloro che lo stimavano meno, e che lo credono, oggi, un qualsiasi arrivato vendutosi per un pugno di sterline. Si sono lette, e speriamo che lo stesso maresciallo Messe abbia potuto leggerle, le lettere di dolore di coloro che furono i suoi soldati. Ci sembra perciò opportuno, cessate la sorpresa e le ripercussioni del primo annuncio, fare definitivamente il punto sull'« affare » Messe. Il generale Messe apparve a tutti i fascisti e a tutti gli italiani come il tipico rappresentante dell'Esercito fascista. Questo egli si dichiarò in ogni tempo e in ogni luogo, e su tale base ideologica impostò la sua azione di comando facendo per i suoi soldati di ogni campagna una crociata, idealizzando nelle gesta del C.S.I.R. la coscienza antibolscevica e nell'epica difesa tunisina la decisa volontà di rivoluzione antiplutocratica del popolo italiano, compiendo azioni degne di rilievo, passando, pure nell'avversa fortuna, di soddisfazione in soddisfazione, conquistando, attraverso una rapida carriera, il bastone di maresciallo. Tutto questo gli italiani conoscono e per questo essi lo amavano e lo ammiravano.

Ma oggi il maresciallo Messe è passato al nemico, al nemico della sua Patria, al nemico delle sue idee, accanto agli uomini che aveva sempre apertamente disprezzato. Egli, che conosceva e poteva, ogni giorno, constatare il tradimento degli Stati Maggiori e lo denunciava ad alcuni uomini del fascismo con parole inequivocabili, egli, che per primo aveva dato agli italiani, con la sua relazione sulla Tunisia, la certezza di tale tradimento, egli si è ora affiancato ai traditori stessi, tentando di avallare, con il suo nome fino a ieri immacolato, il tradimento.

E oggi il condottiero delle armi italiane in Russia è un combattente che milita dalla parte del bolscevismo. L'uomo che alla testa dei fanti, delle camicie nere, dei giovani fascisti, consacrò sul Mareth e nell'ultima disperata sortita, con l'italianità della Tunisia, il diritto della nostra gente all'Africa e quindi alla vita, è oggi un sicario dei plutocrati angloamericani, che vogliono, una volta per sempre, riportarci in schiavitù. Il soldato che in anni lontani conobbe, a Zara italianissima, il cuore, la fede e l'aspirazione suprema della Dalmazia, si rende alleato e complice dei banditi balcanici che da Fiume a Spizza trucidano gli italiani, rei soltanto d'essere tali. È logico, perciò, che gli italiani, e non essi soltanto, ma tutti gli uomini d'onore, chiedano al maresciallo il perché di tutto questo. Si è detto, ed è voce comune, che sterline e dollari lo abbiano convertito. Noi, però, non vorremmo crederlo, per lui e per noi; per lui, perché, malgrado tutto, non vorremmo confonderlo con i simoniaci dell'8 settembre, per noi, perché non possiamo capacitarsi che un italiano valoroso, pur commettendo il reato di lesa patria, lo faccia per amore di denaro. E allora perché?

Occorre, a nostro avviso, per spiegare questo incredibile voltafaccia, andare a giorni relativamente lontani, in cui il colonnello Messe fu lungamente accanto al re, intessendo con lui rapporti personali, e pensare, oggi, che il ricordo di quella intimità regale lo abbia spinto sulla via del disonore. Sì verifica, talvolta, che il fascino del diritto divino faccia dimenticare, anche a uomini degni, la volontà e i diritti dei popoli. E se un grande combattente di Russia, il maresciallo Ney, rimase, per un attimo, abbagliato dalla podagra cachettica di Luigi XVIII, tanto da dimenticare il suo passato e la sua gloria di soldato rivoluzionario, è possibile che a Giovanni Messe sia successo altrettanto dinanzi alla rachitide savoiarda di Vittorio Emanuele. Il principe della Moscova seppe, però, ritrovare la via dell'onore. Non sappiamo se il maresciallo tunisino potrà fare altrettanto.

Era un grande soldato. Oggi egli è ridotto al ruolo di pedina in un meschino e disperato gioco dinastico. Figura luminosa nell'immane tragedia dei popoli, è ora un'oscura comparsa nella piccola farsa sabauda che in tale tragedia si è inserita. Accanto ai Badoglio, ai Roatta, agli Ambrosio, che lo odiano per il disprezzo che egli, in ogni tempo, ha loro dimostrato, e che vorranno anche da lui trarre la loro meschina vendetta, Messe è oggi soltanto un complice necessario, perché i cobelligeranti non si fidano dei traditori.

Ma poi che cosa spera salvare il maresciallo? Salvare la Patria? La Patria non si salva con le baionette del nemico e con il flagello della guerra civile. Salvare la monarchia? Ma a tale proposito egli può interrogare tutti gli italiani, fascisti e non fascisti, al di qua e al di là del Sangro, e avrà la sensazione dell'inanità di questo tentativo. Occorre, perciò, pensare che Messe anteponga la riconoscenza di un re indegno alla esecrazione della Patria e alla condanna della storia. Ma attenda, attenda fiducioso il maresciallo tale sovrana riconoscenza. I Carignano sono celebri in questo. Da Carlo Alberto, che tradì i patrioti del '21 fece morire in carcere Jacopo Ruffini, esiliò Mazzini e Garibaldi, a Vittorio Emanuele II, che abbandonò Cavour, a Umberto I, che tradì Crispi, all'attuale rappresentante, che ha tradito dapprima l'uomo che per venti anni lo aveva servito con dedizione assoluta e poi tutto il popolo italiano, abbandonandolo solo, senza guida e direttiva alcuna, in balia d'un alleato, tradito a sua volta, la storia moderna è piena di esempi di simile savoiarda riconoscenza. Triste destino per un valoroso soldato. Ma il solo che il suo ultimo gesto gli aveva meritato.

Egli è oggi dall'altra parte della barricata, per combattere contro di noi, credenti in un'Italia repubblicana, rivoluzionaria, proletaria, onorata perché fedele ai patti, alle proprie parole, alle proprie amicizie e perciò fascista. Ma combatterà anche contro i soldati che in Russia ha guidato nella lotta, combatterà, lo ricordi il maresciallo, contro tutti i morti delle sue battaglie. Perché morirono i soldati del C.S.I.R. che egli infiammò con la parola avanti il combattimento? Forse perché il loro comandante cooperasse al trionfo del bolscevismo? Perché caddero i giovani del Mareth a Tacruna, che con il loro sangue consacrarono tl suo bastone di maresciallo? Forse perché il loro comandante facilitasse il trionfo di quel nemico che strazia ancora le loro città, mitraglia i loro padri, affama le loro spose, vuole togliere ai loro figli e alla loro Patria ogni domani di vita e di benessere? Non sappiamo se egli abbia pensato a tutto ciò, e se lo ha fatto, che cosa la sua coscienza abbia risposto. Ma guardi il maresciallo Messe al di là degli oceani: migliaia e migliaia di italiani attendono, da anni, in prigionia di guerra.

È quella, con quella del lavoro, l'Italia vera, l'Italia del domani. Ed è per questa Italia che noi lavoriamo; per questi nostri fratelli, che hanno fatto delle proprie sofferenze un'arma di orgoglio e d'onore e un'attesa di doloroso ritorno, che noi operiamo, rivoluzionando la vita nazionale.

I loro sacrifici, i loro dolori, la loro dolorosa, snervante attesa, le loro speranze e la loro fierezza, che gli attuali padroni del maresciallo hanno tentato, con i traditori, di annullare, non possono essere sterili e non possono andare dispersi. Per questa Italia dolorante e lontana noi operiamo ora, con lucida coscienza e con certissima fede.

Anche il maresciallo Giovanni Messe era, fino a poco tempo addietro, uno dei tanti rinchiusi nel carcere duro ma onorato della prigionia di guerra. Oggi egli ha abbandonato i suoi camerati per mettersi al servizio dei suoi carcerieri. Proceda pure sulla sua strada.

L'Italia del combattimento e dell'onore non ha più nulla da dirgli. L'« affare» Messe può essere archiviato.