Friday, 9 March 2012

Scoperta degli Inglesi

(Pubblicato in « Gerarchia », gennaio 1938)

di Curzio Villa

I.

Alta sull'estrema punta del promontorio di Dover, una torre massiccia domina il mare e saluta da lontano il viaggiatore che giunge in Inghilterra per la rotta di Calais. È il Great Pharos, l'antico faro eretto dai legionari di Cesare.

Fu nel 55 prima di Cristo che i dolicocefali biondi della Britannia — lo storico popolo dei Pictes — affacciati fra le bianche rocce di Dover, videro venire dal mare le insegne di Roma. Quando la flotta di Cesare, partita da Portus Itius (forse l'odierna Boulogne) apparve davanti alle coste meridionali dell'Isola con le aquile e i fasci littori, questa non era che una terra lontana e sconosciuta, agli estremi confini del mondo civile: l'Ultima Thule. Semplici e rozze tribù, di provenienza incerta, vi si moltiplicavano in uno stato di civiltà rudimentale.

La prima strada che l'Inghilterra conobbe fu quella tracciata dai legionari di Cesare attraverso le verdi colline del Kent. Arrivati al Tamigi, i Romani si fermarono, costruirono il campo e vi rimasero. Cento anni dopo Claudio estese e consolidò la conquista e nel 61 dopo Cristo l'antico campo romano si era già trasformano in quella opulenta Londinium di cui narra Tacito, come di un oppidum celebre per l'abbondanza dei mercati e la frequenza dei traffica.

L'Inghilterra entra così, per la prima volta, nella storia del mondo.

(Londra fu una creazione prettamente romana e costituisce un titolo imperituro di gloria per Roma antica. Paul Morand afferma: « Les vaincus, ces Angles et ces Saxons sauvages venus de l'Elbe, n'ont jamais été doués pour le commerce »).

Sono passati, da allora, duemila anni, ma l'Italiano che sbarca nell'Isola la vede ancora con gli occhi di Tacito: Copia negotiatorum ed commeatuum maxime celebre.

Impressione fondamentale, che non cambia anche se — felicemente superato il periodo della « tradizionale amicizia » o, se più vii piace, della « beata innocenza » del giovine Regno d'Italia — l'Italiano d'oggi sappia vedere più addentro e più a fondo. Di questa « tradizionale amicizia » sono note e le ragioni e le cause.

La frequente assenza di un sano realismo politico nelle vecchie classi dirigenti italiane, l'atteggiamento delle nostre correnti liberali in eterna adorazione davanti al liberalismo inglese dei Macaulay e dei Gladstone — spesso curiosamente interpretato — furono gli elementi che più contribuirono a creare la grande illusione. Accettata come un dogma di politica estera da parecchie generazioni di Italiani, questa formula riassumeva romanticamente una situazione in cui, come sempre, l'amicizia era tutta dalla nostra parte e l'interesse dalla parte inglese. (« L'Inghilterra — diceva Stanley — riceve un abito nuovo e ricambia con un bottone ».)

Aiutava un certo sentimentalismo di marca popolaresca e una reciproca e beata incomprensione.

Cosi, per lungo tempo, sulla fede dei grandi scrittori liberali inglesi — che non ebbero mai una vera influenza sulla politica del loro Paese — gli Italiani continuarono a credere in una Inghilterra ideale, una Inghilterra che non fu mai: generosa e pacifica, amica disinteressata dei deboli, arca santa della libertà e della giustizia internazionale.

Dando all'Italia una nuova e originale coscienza storica, liberandola dalle soprastrutture ideologiche d'importazione straniera (sopra tutto francesi e inglesi), inculcandole di senso di una missione mondiale, il Fascismo doveva inevitabilmente far crollare anche questo mito. Ci si sarebbe arrivati, presto o tardi, anche senza il 18 novembre, anche senza Eden e l'arcivescovo di Canterbury.

Oggi, raggiunta la nostra piena indipendenza di giudizio e superata la posizione polemica iniziale — d'altronde ampiamente giustificata dall'episodio delle sanzioni — possiamo decisamente muovere alla... scoperta politica dell'Inghilterra.

Il momento è favorevole.

La guerra, che il popolo inglese ha combattuto bravamente, da sportivo in grande « forma », non ha cambiato l'Inghilterra. Il quadro è intatto. La facciata è sempre quella. Soltanto, il Paese — come gli uomini — è terribilmente invecchiato. E, invecchiando, mostra accentuati i tratti essenziali e distintivi del carattere inglese. Capire il carattere inglese vuol dire capire l'Inghilterra, vuol dire anticipare gli sviluppi della politica inglese e prevederne, in qualche modo, le conseguenze prossime e future. « L'Impero britannico non è che l'espressione visibile del carattere nazionale », annota giustamente lo Stoye in Das Britische Weltreich, uno dei migliori libri sull'Inghilterra usciti negli ultimi tempi.

In questa nostra Europa continentale, sempre impregnata dello spirito materialistico e liberale del secolo decimonono, sono ancora troppo misconosciuti gli elementi che costituiscono la base politica delle Nazioni: il popolo e la terra, il sangue e il suolo.

II.

Elementi etnici, posizione geografica, idea puritana hanno contribuito a plasmare attraverso i secoli questi Inglesi dai connotati fisici e spirituali inconfondibili. Nella grande famiglia umana essi rappresentano un tipo speciale, immerso in una singolare atmosfera, la cui vita si svolge secondo un rito esatto e inesorabile formato nel tempo da cento cause e in cento circostanze diverse.

Espresso dall'oscuro miscuglio di razze venute dal Baltico a stabilirsi sulle grandi isole, il carattere nazionale si formò rapidamente in pochi secoli dopo il Mille, quando, chiuso con l'affermarsi della dominazione normanna il periodo delle invasioni e delle guerre contro lo straniero, la Britannia si compone in unita etica e politica. Esso si può riassumere in qualche tratto essenziale: una netta preponderanza di realismo utilitario e di praticità per cui le teorie, gli ideali, i sentimenti sono sempre sottoposti all'interesse e alla ragione (self control); un imperioso bisogno di cooperazione e un notevole senso della organizzazione sociale da cui derivano l'istinto della disciplina collettiva, il concetto « rituale » della vita, la nota idea di « rispettabilità » e lo spirito di coesione (team spirit); una profonda convinzione della superiorità inglese su tutti gli altri popoli della terra (English superiority).

Incapace di grandi idee generali e ripugnando profondamente dalle costruzioni teoriche ed astratte (che gli riescono per lo più incomprensibili), unito alla natura da intimi e misteriosi legami, fornito di un formidabile istinto e privo di intelligenza, l'Inglese sembra essersi arrestato a un tipo di civiltà tutta esteriore, pratica ed empirica. Egli si muove entro un quadro ristretto, dominato dall'avidità materiale e dall'interesse immediato. Perseguendo brutalmente questo suo personale interesse, l'Inglese adotta la politica del giorno per giorno, e gli atteggiamenti spesso contradittorì ed assurdi che questo empirismo provoca confermano la sua estrema mancanza di logica, l'incapacità di elevarsi a un superiore concetto di giustizia, la sua tendenza al compromesso e il suo disdegno per le soluzioni generali e per le conclusioni.

È noto che l'Inghilterra non ha una costituzione scritta e che l'Impero stesso è senza legge fondamentale, senza figura giuridicamente precisa. Le norme che reggono la vita sociale e politica inglese sono nate volta per volta, secondo le necessità del momento. Perfino l'istituzione parlamentare si è sviluppata a casaccio, lungo i tempi e le varie vicende (ed è questa la ragione per cui il è sviluppata a casaccio, lungo i tempi e le varie vicende (ed è questa la ragione per cui il parlamentarismo rimane un fenomeno tipicamente inglese ed ha dato sul Continente risultati negativi). La stessa figura del Primo Ministro appare in Inghilterra per uno di quegli infiniti casi che hanno generato tutto il complesso delle sue istituzioni. Inesistente fino al 1714, il Premier compare per la prima volta sotto il regno di Giorgio I di compare per la prima volta sotto il regno di Giorgio I di Hannover che, non sapendo l'inglese, rinunziò a presiedere le riunioni dei suoi ministri.

Il carattere nazionale inglese è dunque completamente sottomesso all'istinto e alla natura. In una sua lucida analisi, il Keyeserling definisce gli Inglesi Tiermenschen, uomini-animali, che in politica sono guidati dal « fiuto sicuro del cane da eaccia ». Allo stadio inferiore, l'Inglese è l'uomo-cavallo, con una figura cavallina corrispondente.

In arte, tranne che per la letteratura dove gli scrittori inglesi moderni mostrano però una curiosa tendenza al genere epilettico, l'inferiorità di John Bull è proverbiale. L'ultima Inghilterra non ha musica (das Land ohne Musik, la definì un grande Tedesco), non ha pittura, il suo più grande scultore è uno straniero e la sua architettura è la risata di tutto l'Occidente.

William Ralph Inge, il noto Decano di S. Paolo a Londra, ha lungamente insistito sulla «pigrizia spirituale» inglese (dull and stupid, egli scrive) e il Reiner è giunto, dopo una ventennale esperienza alla stessa conclusione: not too clever! In Inghilterra l'intelligenza è considerata una qualità negativa, poco decente, morbida ed equivoca. Lo studio non è tenuto in nessuna considerazione e i propositi intellettuali non sono materia di conversazione. Un artista non sarà mai un gentleman.

We are the stupidest nation of all, dirà mister Smit o mister Brown, non senza un punta di civetteria, allo straniero che osserva l'incredibile disordine e l'assenza di logica nel sistema politico e sociale britannico. Ciò che non impedisce a John Bull di avere un portentoso concetto della sua superiorità. « Tranne una piccola minoranza, gli Inglesi sono convinti d'essere, d'avere e di produrre tutto quel che vi è di meglio al mondo ».

Vicende storiche e concezioni religiose hanno radicato nel loro spirito durante lunghi secoli d'isolamento materiale e spirituale questa stolida, placida, sorridente convinzione di superiorità che è pur sempre uno degli aspetti più divertenti del carattere nazionale inglese. Quando le Agenzie Cook cominciarono a far viaggiare i padroni del mondo, la loro facoltà di giudizio era compromessa per sempre: il sentimento della English superiority li accompagnerà dovunque e rimarrà l'unità di misura del senso critico inglese. (Anche gli Scozzesi hanno il senso della superiorità nazionale. Ma — dice il Renier — mentre gli Inglesi si considerano superiori al resto del mondo, gli Scozzesi si considerano superiori soltanto agli Inglesi).

Questo lato caratteristico della personalità di John Bull ha origini assai lontane nel tempo: esse risalgono forse a quell'anno 1066 che vide la disfatta di Aroldo e l'invasione normanna. Da allora — e cioè da 971 anni — nessun soldato nemico ha calpestato il suolo della Gran Bretagna. Un così lungo periodo di sicurezza personale doveva naturalmente generare l'idea della superiorità inglese alla quale Cromwell, nella prima metà del '600, apporta un motivo religioso e un senso mistico facendone una forza operante ed attiva di espansione politica.

Intimamente convinto della missione divina del popolo inglese, il Lord Protettore adotta l'imperialismo come un necessità per diffondere il verbo protestante e puritano. Egli pensa di essere uno strumento nelle mani di Dio, destinato a iniziare una nuova èra nel mondo. Il popolo inglese essendo il popolo eletto, esso è naturalmente chiamato ad esercitare la signoria della terra. Questo spiega la ferocia di cui diede prova contro i cattolici irlandesi e la sua estrema energia nella guerra contro la Spagna dominata dai gesuiti. Lo straordinario successo della sua politica esercitò una decisiva influenza sul carattere inglese affermando per sempre la convinzione di superiorità puritana.

Come gli Inglesi accordino questo fondo religioso del loro carattere con la brutalità del temperamento e l'avidità materiale è noto: l'abilità inglese a perseguire il proprio personale interesse sotto il manto dei pretesti morali e delle giustificazioni ideali è una delle forze dell'imperialismo britannico.
« Non si troverà mai un Inglese dalla parte del torto. Egli fa tutto per principio. Ti fa la guerra per un principio patriottico, ti spoglia per un principio commerciale, ti sopraffa per un principio umanitario. Egli difende il suo Re per un principio monarchico e lo decapita per un principio repubblicano. La sua parola è sempre duty, dovere, ed egli non dimentica mai che una Nazione che lascia entrare in conflitto il proprio dovere con il proprio interesse è perduta ».
Così scrive Bernard Shaw di questa specialissima virtù inglese.

Virtù che gli altri popoli si ostinano a chiamare ipocrisia.

III.

Da quel che siamo venuto esponendo è chiaro che l'Impero Britannico non è una costruzione del pensiero e dell'intelligenza. Soltanto l'ignoranza di John Bull e la docile compiacenza degli storici ufficiali possono sostenere che il caotico agglomerato britannico, « cette sèculaire et imperiale maison de commerce » dalle caratteristiche tipicamente borghesi, ripeta, in certo qual modo, le gesta e la gloria dell'antico Impero Romano, la più perfetta, organica e mirabile costruzione politica di tutti i tempi, termine fisso di grandezza e di civiltà per tutti i popoli della terra.

Tra il civis romanus di Augusto e il businessman vittoriano la differenza è netta, sostanziale e decisiva.

Sappiamo che il voler generalizzare, a proposito di psicologia delle Nazioni, è spesso pericoloso. Ma, come fa notare giustamente lo Stoye, in questo caso soccorre di più la profonda e secolare sapienza dei popoli che non l'uomo di scienza, privo di un metro preciso per misurare l'uomo politico. E degli Inglesi è notissimo il detto popolare : « Un Inglese, un idiota; due Inglesi, un « match » ; tre Inglesi, l'Impero Britannico ». A proposito dell'empirismo britannico, ecco l'acuto giudizio di uno dei più noti scrittori politici francesi:
« Nessuna soluzione generale. Poichè la politica inglese ripiega sempre sul particolare. La politica francese, al contrario, si muove sempre su un piano generale, se non universale. Ed è questo l'eterno ostacolo a una collaborazione franco-britannica ».
Ciò che si potrebbe ripetere, e a maggior ragione, anche per quel che riguarda l'Italia e l'Inghilterra. Espressione tipica del carattere nazionale italiano, il Fascismo italiano, il Fascismo assurge sempre, anche nelle cose di minore importanza, a un superiore concetto di giustizia, di moralità e di diritto di cui sarebbe vano cercare l'equivalente nella politica inglese.

Così, se dal punto di vista italiano qualsiasi ritorno alla « tradizionale amicizia » è da escludersi decisamente, il carattere nazionale inglese favorisce invece singolarmente l'accordo particolare e incidentale, il compromesso, il gentlemen's agreement. E questo sembra essere, finalmente, la conclusione del nostro lungo discorso sulla natura degli Inglesi.