(Pubblicato in « Corrispondenze Repubblicane », 14 gennaio 1944)
di Anonimo
La dichiarazione programmatica per la nuova struttura delle imprese ha senza dubbio un carattere rivoluzionario, ma non rappresenta una improvvisazione. Essa rientra, infatti, nello spirito della Carta del lavoro, che già nel 1926 prevedeva la necessità dell'intervento dello Stato nella produzione economica « quando manca o sia insufficiente l'iniziativa privata e quando siano in gioco interessi politici dello Stato » e indicava nel controllo e nella gestione diretta le forme nelle guaii l'intervento poteva attuarsi.
Ma la dichiarazione ha anche dietro di sé una ventennale esperienza, la quale ha dimostrato sul piano politico sociale che lo Stato non può, nell'attuale momento storico, limitarsi a una funzione puramente mediatrice fra le classi, poiché la maggior forza sostanziale delle classi capitalistiche rende vana ogni parità giuridica stabilita attraverso un meccanismo sindacale tra le categorie; è sul piano politico-economico che questa maggior forza delle classi capitalistiche riesce a dominare e a volgere a proprio vantaggio tutta l'azione dello Stato, sostituendosi nelle sue forme supercapitalistiche, come un vero e proprio superpotere dello Stato stesso.
È perciò necessario che lo Stato intervenga nel vivo della lotta, eliminando il prepotere del capitale e dando al lavoro una forza e una funzione effettive.
Questo fine lo Stato può assolvere solo fino a un certo punto con il controllo dell'attività produttiva privata, ma quando questa investe settori-chiave per la continuità della stessa vitalità politica ed economica dello Stato, è necessario che ad essa si sostituisca una gestione diretta da parte della collettività.
Ispirandosi alla necessità soprapreannunciata, la dichiarazione dafferma tre fondamentali direttive:
1. - La possibilità di sostituire la proprietà pubblica alla proprietà privata del capitale in tutte quelle imprese che, per il genere della loro attività, trascendono l'ambito privatistico.
2. - L'immissione del lavoro nella gestione delle imprese.
3. - La ripartizione degli utili fra il lavoro e il capitale.
La prima direttiva, pur nella sostanza rivoluzionaria dello spirito che l'anima, non dimentica i fondamentali principi che sono la base del meccanismo giuridico dello Stato italiano, né la necessaria progressività nel procedere a una cosi radicale e delicata trasformazione della struttura economica e sociale dello Stato; non dimentica, cioè, che la proprietà privata rimane la base dell'ordinamento economico italiano, che, come è riconosciuto nella dichiarazione settima della Carta del lavoro, considera l'iniziativa privata come lo strumento più efficace e più utile degli interessi della nazione nel campo produttivo. Ma tiene anche presente che l'iniziativa privata non può andare disgiunta dalla considerazione degli interessi generali della nazione, la quale, come la stessa Carta del lavoro afferma nella dichiarazione dodicesima, è un organismo avente fine, vita, mezzi di azione superiore, per potenza e durata, a quelli degli individui, divisi o raggruppati, che la compongono, e che perciò lo Stato, in quanto espressione della vita e dei superiori fini nazionali, può e deve intervenire a sostituire l'iniziativa privata ogni qualvolta questa si riveli insufficiente se gli interessi particolari tradiscano quelli della collettività.
La seconda direttiva si ispira anch'essa al principio enunciato dalla Carta del lavoro, secondo cui il prestatore d'opera tecnico, impiegato e operaio, è un collaboratore attivo dell'impresa economica (dichiarazione settima).
Tale principio non può avere effettiva applicazione se il lavoratore non viene condotto, attraverso i suoi rappresentanti diretti, a vivere la vita dell'impresa, a conoscere i particolari della sua gestione, a rendersi conto dei problemi che da questa sorgono. Solo allora il lavoratore non rappresenterà più un elemento antagonista od ostile, preoccupato unicamente di far valere i propri interessi classistici, ma sarà in grado di valutare i propri bisogni alla stregua delle necessità e delle possibilità della produzione. Solo in tal modo potranno aversi determinazioni salariali rispondenti a quel delicato equilibrio di direttive a cui si riferisce la dichiarazione dodicesima della Carta del lavoro, in quanto sarà possibile affiancare a una sufficiente valutazione delle esigenze normali della vita e del rendimento del lavoro una veritiera valutazione della possibilità della produzione. E solo in tal modo sarà possibile un'organica e completa disciplina dell'attività produttiva.
La terza direttiva della ripartizione degli utili è fogica conseguenza del principio di eliminazione di ogni prerogativa del capitale e della partecipazione del lavoro alla vita dell'impresa. Con essa il lavoratore viene stimolato al massimo sforzo di potenziamento della vita dell'impresa, anche se modesta può risultare la quota di partecipazione. Questa invero, mentre può essere salvaguardata dalla stessa partecipazione dei lavoratori alla vita dell'impresa con l'impedire ogni evasione sotto forme varie di parte degli utili effettivi, può venire altresi potenziata a favore del singolo lavoratore con forme varie di capitalizzazione e di investimento.
Cosi, dopo soli quattro mesi di Governo, in condizioni estremamente difficili e gravi, la Repubblica Sociale Italiana realizza i postulati del fascismo e getta le basi della nuova economia, destinata a migliorare le condizioni del popolo e ad accrescere la potenza produttiva della nazione.