Saturday 10 March 2012

Stato e Chiesa

(Pubblicato in « Corrispondenze Repubblicane », 14 luglio 1944)

di Anonimo

La formula della legge d'applicazione dei Patti lateranensi in cui si dichiarava, riprendendo l'articolo 1 dello Statuto albertino, essere la religione cattolica apostolica romana religione ufficiale dello Stato, non fu mai vuota affermazione. Si riconosceva con essa la cattolicità del nostro popolo credente e professante, profondamente dotato di spirito religioso, disciplinatamente rispettoso della gerarchia ecclesiastica, fedele osservante dei riti. Il cattolicesimo era ed è, in Italia, una forza viva come forse in nessun'altra nazione. Per questo noi abbiamo, se altri mai, il diritto di chiamarci figli primogeniti della Chiesa.

La politica fascista, prima e dopo il Concordato, si imperniò proprio su questa constatazione; e volle fare dello Stato italiano uno Stato cattolico non soltanto nelle forme esteriori, ma anche e soprattutto nell'intima essenza dello spirito. Si venne a creare cosi un affiancamento costante dello Stato alla Chiesa, di cui non è possibile ignorare la realtà.

I grandi avversari del cattolicesimo, quel comunismo materialista e quella massoneria atea che tante e tante encicliche avevano condannato con parole dure, furono anche gli avversari del fascismo, e la lotta venne condotta con criteri e spirito comuni. La formazione morale e l'educazione religiosa vennero dallo Stato fascista affidate alla Chiesa cattolica, recando ad essa esplicitamente funzione di magistero. Persino il problema sociale venne affrontato con tali identità di vedute rispetto a quello cristiano che si poté parlare di un Toniolo come di un precursore del corporativismo e si poté citare la Rerum novarum come un testo introduttivo alla Carta del lavoro. Il regime concordatario, insomma, con le sue garanzie giuridiche, con la tutela della dignità del clero e con il riconoscimento dei diritti della Chiesa, non non era che una fra le tante espressioni di un più vasto orientamento politico per cui il fascismo spiritualista si affiancava alla Chiesa cattolica.

Di questa collaborante fraternità di spiriti e azione s'ebbero riconoscimenti continui, che vanno dalle dichiarazioni pontificie del 1929 all'atteggiamento del clero nella lotta antisanzionista del 1935.

Si sanava cosi un dissidio che turbò per molto tempo la coscienza del popolo italiano e che fu di danno tanto all'Italia quanto alla Chiesa di Roma.

Oggi l'atteggiamento di molti tra gli esponenti del clero sembra riproporre il dissidio, se pur su basi diverse da quelle di allora. Si tratta forse di fenomeni individuali, ma ormai essi hanno assunto sufficiente ampiezza e portata perché si debba tenerne conto almeno come fatto psicologico. E allora viene naturale di chiedersi quali siano stati i motivi di certe palesi o latenti ostilità ecclesiastiche nello Stato fascista, a chi debba riportarsene l'origine e la causa. Se un distacco si è potuto individuare, vuole dire che un distacco fra i due contraenti lateranensi, almeno in piccola parte, esiste. E giova specificare di chi sia stata l'opera. La risposta è semplice. Non dello Stato fascista, fedele sempre ai principi affermati nelle leggi e nelle dichiarazioni del suo capo, esecutore puntuale e zelante delle clausole concordatarie, ligio ai presupposti sociali e politici che coincidono con quelli più volte espressi autorevolmente dal cattolicesimo.

A certo clero non è forse inopportuno ricordare alcune cose. Anzitutto le questioni di principio che rendono naturale un'alleanza fra la dottrina della Chiesa e quella del fascismo, l'una e l'altra spiritualiste, l'una e l'altra profondamente umane, l'una e l'altra pensose del miglioramento e dell'elevazione della massa. E poi anche il debito di riconoscenza verso l'unico regime che, in una ventennale politica univoca, abbia sempre riconosciuto alla Chiesa tutto quanto alla dignità e alla missione della Chiesa si confaceva. Infine il suo stesso interesse: di fronte al fascismo cattolico stanno oggi le forze dell'anti-Roma e dell'antireligione. Un'alleanza con esse non può essere che temporanea e caduca. Coloro che credono possibile il compromesso con le nazioni anglosassoni dimenticano quanto in esse contino le forze antiromane della massoneria e del giudaismo e quanto dispregiativo sia ancora in Inghilterra e in America il termine di « papista »; coloro che si sono accostati al bolscevismo fingono di non ricordare la lotta contro il clero e la Chiesa condotta con tanta asprezza e con si sanguinosi metodi in Russia e in Spagna e di non vedere come la proclamata attuale tolleranza religiosa di Stalin sia soltanto una mossa diplomatica in un abile gioco di conquista.

Sono, queste, considerazioni di cui dovrebbero tenere conto sacerdoti e fedeli nel risolvere nel foro della loro coscienza i due grandi problemi che hanno sempre costituito il punto di contraddizione del cattolicesimo e più lo sono oggi: la giustificazione o almeno la cessazione della guerra e la conciliazione del patriottismo con l'universalismo religioso.

Se è vero che la Chiesa ha sempre predicato la pace e ha sempre considerato il conflitto armato come un deprecabile evento, è altresì vero - né bisogna citare la storia per rendersene conto - che essa ha saputo distinguere tra guerre ingiuste e giuste; che ha notato come esistano paci più sanguinose di certe guerre perché sono paci iugulatorie; che ha sempre riconosciuto ai popoli ildiritto di tutelare le loro aspirazioni alla vita e la loro dignità nazionale.

E nella guerra, quando la Patria è in pericolo, anche il clero può e deve prendere posizione in nome della Patria appunto. I sacerdoti non possono dimenticare che in loro, al di sotto della veste talare, sta un cuore di cittadino. Il sacerdozio è universale, ma non antinazionale. Il clero è fatto di uomini necessariamente legati alla loro gente e alla loro terra. Dimenticarsi della Patria è anche per un ecclesiastico rinunciare alla parte essenziale della sua personalità umana.

Ma ora la parola Patria si presta a troppi equivoci. Perciò noi precisiamo: questa Patria, quella che è fedele ai patti e che difende la sua esistenza. I motivi per cui il clero dovrebbe essere al nostro fianco sono quelli già detti: perché noi combattiamo contro tutti i suoi secolari e irriducibili nemici; perché noi soli rappresentiamo la tradizione romana e cattolica d'Italia e tentiamo di salvarne l'avvenire.

Se questo non bastasse, il clero dovrebbe ricordare almeno che la sua è sempre stata funzione di ordine e di pacificazione. Ora molti dei suoi componenti sembrano esplicare la funzione opposta: si fanno, consciamente o meno, fautori dell'anarchia, del disordine, dell'opposizione alle leggi, del crimine. Cioè vanno contro all'insegnamento che la Chiesa, dalla frase evangelica « date a Cesare », ha sempre professato. Queste considerazioni non tolgono che la realtà appaia più di una volta diversa da come logicamente dovrebbe essere. Si assiste a quegli sbandamenti morali cui accennava l'episcopato veneto nella sua « notificazione »; sbandamento dei fedeli, sì, ma anche degli stessi pastori, che trova le sue origini in certi atteggiamenti non chiari, in silenzi e parole equivoci, in attività eccessive e soprattutto in prese di posizione da parte di quegli organi politici che, pur non avendo nulla a che fare col corpo mistico della Chiesa, fanno capo tuttavia alla santa Sede.

Bruciano ancora, nel nostro cuore di italiani credenti, alcune parole dette dal santo Padre al ventiduesimo reggimento canadese e più di recente a un gruppo di oltre quattromila soldati invasori. Sappiamo che esse non rientrano nel magistero del Pastore dei popoli e non hanno valore definitivo. Sappiamo quindi che esse non obbligano i fedeli. Ma temiamo che possano ingenerare un ulteriore sbandamento negli spiriti e far confondere con lo spirituale, con i principi della Chiesa, con il dovere dei sacerdoti e dei fedeli, quello che non è se non l'atteggiamento politico contingente di una specifica diplomazia, che risente talora di preconcetti e forse di nostalgie temporalistiche. Temiamo che il gregge non diretto dai Pastore verso l'ovile sicuro si disperda e sia facile preda dei lupi.