Friday 9 March 2012

Orientamenti per il domani: Insidia dell'oro

(Pubblicato in « Gerarchia », 10 ottobre 1940)

di Roberto Pavese

Se la vita umana si misura a decenni, la storia — o meglio, quel periodo di storia che esprime una civiltà — ha per unità di misura il millennio. Ne deriva che anche ciò che ha carattere contingente e periodico nella storia, come il ritmo di sviluppo e di decadenza, di vita e di morte delle civiltà, è considerato, in ragione della sua durata secolare di fronte al breve giro della vita umana, espressione stabile e genuina di una determinata èra storica.

Così l'oro, che, sebbene sia da tempo immemorabile il sogno e la speranza degli uomini, è tuttavia il segno del decadere delle civiltà, è considerato ancor oggi dai più come un elemento tipico e necessario della civiltà stessa.

Se esaminiamo l'evoluzione del culto dell'oro attraverso la storia ne potremo ricavare non pochi insegnamenti. Il culto del « Vitello d'oro » fu particolarmente in auge in quel regno d'Israele dal quale, col Vecchio Testamento, si vorrebbe far iniziare la storia dell'umanità. D'altra parte se — ancor dopo il mònito di Mosè — Cristo vide necessario di venire a redimere il mondo creato dalla civiltà ebraica, è segno che essa era volta ormai essenzialmente al male e che rappresentava, con tutti i suoi caratteri e simboli, una decadenza, e non uno sviluppo.

La storia — quella scritta — essendo, in fondo, la storia dell'oro, è storia di una lunga decadenza. Se vogliamo risalire oltre codesta decadenza, per toccare il primitivo sviluppo, cioè la fase eroica della storia, dobbiamo, di fatto, avventurarci nella preistoria, nella leggenda, quando il vil metallo, strumento di Satana, non aveva ancora l'anima dell'uomo.

Ho avuto occasione di rilevare altrove come la storia, essendo crìtica e discorsiva, essendo cioè un processo riflesso e non immediato, teoretico e non pratico, si scrive quando non si fa più; quando comincia ormai a ristagnare la corrente creatrice. I periodi veramente costruttivi del mondo e delle civiltà sono irrìflessi, ateoretici, istintivi, guidati dalla fede, e non dalla ragione; quindi preistorici, mitici, trascendenti rispetto alla fase critica e successiva.

Per valutare la portata ed assegnare i limiti al processo storico che sta per aprirsi mediante la nostra Rivoluzione — al quale, davvero troppo modestamente, chi era abituato all'unità di misura di altre recenti rivoluzioni, come la francese, assegnò la durata di un secolo —, bisogna tener presente che, ammesso che tutta la storia da noi conosciuta (sempre più o meno caratterizzata dal culto dell'oro) rappresenti una decadenza, è proprio da oggi che si inizia il vero sviluppo della storia. Sviluppo che prende le mosse dall'abbattimento del Vitello d'oro e dall'affamamento del re Mida; cioè si attuerà mediante la sostituzione della valuta lavoro alla valuta aurea e l'assedio, fino alla capitolazione, della vecchia economia borghese da parte della nuova economia del lavoro. È da aspettarsi che l'esperimento della fame, in mezzo a montagne d'oro, provochi negli ostinati adoratori del vil metallo un salutare risveglio ed una pronta abiura al loro credo economico e politico.

È il caso di dire che l'Era cristiana si apre, veramente, con la « Marcia su Roma ». I millenovecentoventidue anni che la precedettero sono l'introduzione del libro di quella storia, di quella vera storia, che oggi si sta facendo e che un giorno, speriamo lontano, si scrìverà: quando ci sarà tempo di sedersi.

Per quanto riguarda il concetto di giustizia sociale, ciò che il Fascismo ha fatto, e ancora, più ciò che si propone di fare, corrisponde esattamente allo spirito ed alla lettera del verbo cristiano. Il dispregio della ricchezza, del lusso, degli agi, il senso della solidarietà umana, che non vien meno neppure dinanzi al nemico, l'atteggiamento mistico di rinuncia e di sacrificio di fronte all'Idea, che son caratteri della concezione fascista della vita, sono anche motivi squisitamente cristiani. Tra Fascismo e Cristianesimo non può esservi collisione, perché hanno le stesse mete morali.

Valutare in modo adeguato l'immensa portata dell'Idea fascista, nel suo fine di giustizia sociale e politica, attraverso il superamento del mito dell'oro, e quindi del capitale e della ricchezza, non si può se non si comincia a rendersi conto dell'incommensurabile ostacolo che l'oro appunto e la ricchezza, con tutto il economico che vi è connesso, hanno sempre rappresentato per l'attuazione di una vera giustizia nel mondo. Si può ben dire che l'oro, come mezzo di scambio, sia stato inventato appositamente per creare e perpetuare nel mondo lo stato di ingiustizia e di sopraffazione. Cerchiamo dunque di vedere le cose un po' più da vicino.

Vi fu un'epoca, che potremmo chiamare eroica, dell'Impero britannico — se fosse eroismo quello degli animali da preda —, quando quel popolo di autentici pirati e filibustieri era ancora uso a battersi senza interposta persona; vi fu un tempo in cui ricavando dovizia di merci e di metalli preziosi dal baratto degli schiavi, frutto delle proprie razzie extracontinentali, l'inglese si accorse che non vi era affatto bisogno di lavorare per vivere, perché si poteva benissimo vivere ed arricchirsi col lavoro degli altri. Gli Ebrei ed i ladri in genere sono dello stesso parere: solo che i primi, più furbi, sanno manovrare in margine al codice agendo in grande stile e facendosi, con l'oro, scudo alla legge, mentre i secondi, che lavorano al minuto e senza troppa malizia, incappano, di regola, nel rigore della legge. Ma via via che dall'età eroica si passò all'età borghese, dal battagliare in proprio a quello mercenario, alla forza del braccio si dovette sempre meglio supplire, giudaicamente, con l'astuzia della mente, soprattutto quando, cessato, per forza di cose, il proficuo commercio degli schiavi, si dovette rimediare inventando un trucco più o meno elegante per piegare altrimenti individui e popoli al proprio volere, gabellando loro per libertà quella che non era che una forma più raffinata di schiavitù, dalle catene d'oro, anziché di ferro.

Poste le mani su quanto di oro o di equivalenti vi era nel mondo, il trucco per vivere alle spalle dei gonzi fu presto trovato: la valuta aurea come base di scambio, senza di che il lavoro non sarebbe neppur servito a procacciarsi il pane. Se noi poniamo, si son detti i vecchi mercanti di schiavi, il nostro oro tra il lavoro e il pane, mediante il dominio o il monopolio degli scambi, ecco che ricattando lavoro e produzione possiamo cambiare in catena d'oro la vecchia catena di ferro del galeotto. In un modo o nell'altro il mondo sarà sempre nostro servo.

Una più o meno elegante tassazione dunque del sudore dei popoli, una decima, che spesso diventava una mezzadria e peggio, tra padrone e colono. Per l'Impero britannico la distinzione tra colonie e Nazioni sovrane aveva carattere più geografico che sostanziale: la differenza stava solo nel metodo di dominio; quella docilità che nelle colonie si otteneva, all'occorrenza, col ferro dei mercenari, per le Nazioni « libere » era ottenuta con l'oro della corruzione ebreo-massonica, con gli intrighi e con i ricatti dell'alta Banca.

Che in tempi di corsari e in luoghi che non sapevano ancora la libertà e la legge internazionale, quando valori e terre erano del primo arrivato; le carovane e le diligenze alla mercé dei briganti e i diritti dell'uomo e dei gruppi sociali erano garantiti solo mediante il pagamento di taglie ad organizzazioni della malavita; che in tali situazioni storiche certi sistemi di rapacità e di violenza potessero esistere con successo, è anche, fino ad un certo punto, concepibile, soprattutto quando coloro che subivano le sopraffazioni erano razze inferiori, o popoli semplici, ignoranti e servili. Ma che in pieno secolo ventesimo, dopo centocinquant'anni di adorazione del feticcio della libertà e di esaltazione dei diritti dell'uomo; dopo Rousseau, Proudhon e Marx, si sia potuto si a lungo accettare passivamente, anzi consapevolmente appoggiare col mimetismo economico, il tirannico dominio che l'Inghilterra medievale ed antieuropea ha continuato per forza d'inerzia ad esercitare sull'Europa e sul mondo, non poteva essere segno che di un'irrimediabile decadenza del mondo moderno che, sotto l'etichetta democratica, era ormai ridotto nella stessa soggezione dei popoli colonizzati. Insegni la Francia, culla della democrazia.

Chi fu il primo a troncare decisamente tale obbrobriosa decadenza? Chi fu ad accorgersi della mostruosità storica del sopravvivere di un colossale organismo che si reggeva solo sull'ignoranza e la viltà dei popoli e dell'inconsistenza logica di un Impero che, ormai ridotto senza condottieri e senza cervelli, teneva malamente in piedi il proprio prestigio solo con un simulacro di superstite potenza? Chi fu il primo a strappare le pesanti, per quanto invisibili, catene che le istituzioni massoniche rappresentavano per le Nazioni cosiddette sovrane? Mussolini. — Chi fu il primo a far barcollare il decrepito edificio del prestigio britannico, sfidando apertamente il vecchio mondo coalizzato contro di noi all'epoca delle sanzioni? Mussolini. — Mussolini ha capito ed ha voluto. Prima di lui o non si è capito, o non si è voluto abbastanza: si potrà essere stati talvolta intelligenti, ma sempre deboli, indecisi, decadenti.

Qual'è il deus ex machina dell'egemonia britannica? L'abilità di evirare gli spiriti e le volontà, di corrompere con l'oro gli uomini migliori dei vari popoli.

Mentre i popoli più o meno barbari delle colonie venivano addomesticati, ammansiti, snervati dall'alcool e dall'oppio loro generosamente fornito da Albione, verso i popoli delle Nazioni cosiddette libere e sovrane si agiva più raffinatamente con la droga di una cultura fabbricata ad hoc negli alambicchi delle logge massoniche — che era, in effetti, una cultura di bacilli patogeni per la società e per lo Stato —, per essere propinata agli intellettuali, ed aggiogarli con più facilità al carro plutocratico, cioè imborghesirli. Il borghese è lo scemo che, abbacinato dallo specchietto di una ricchezza sempre promessa e mai largita, tira con volonterosa rassegnazione il carro del dominatore. Un metodo analogo era usato verso le classi lavoratrici « evolute e coscienti », abbagliandole con lo specchietto del « sol dell'avvenire». E a codesti metodi può assimilarsi il più recente, micidialissimo trucco della «protezione disinteressata» dell'Inghilterra verso gli Stati neutrali e le Potenze minori in genere.

Nel facile successo di simili trucchi, in fondo grossolani, la donna europea ha la sua non piccola parte di responsabilità. È su di essa che la piccola psicologia pratica di codesti mistificatori di mestiere, ha fatto leva per lo svolgimento delle sue oblique macchinazioni. Se la donna, da Eva in poi, cede facilmente alle lusinghe di Satana, l'uomo dal canto suo è del tutto disarmato di fronte alle lusinghe della donna. Se Satana istilla nel cuore muliebre l'amor del lusso e della ricchezza, l'uomo si fa in quattro, anche a costo di miserabili compromessi con la propria coscienza, per soddisfare i capricci e la vanità della donna che ama.

Per questa debolezza congenita della donna europea ta e non di essa sola — di fronte alla suggestione borghese, si è resa più facile l'attuazione del piano imperiale demoplutocratico di dominio sul mondo, attraverso quella progressiva devirilizzazione dei cittadini, per cui l'erede del civis romanus si è ridotto, nel giro di poche generazioni, al miserabile ruolo dell'uomo borghese.

La donna moderna che, fin dall'adolescenza confida alle amiche il proprio programma di vita: di giungere cioè, come che sia, al matrimonio e di cercare il suo tipo più che in vista dell'amore, in vista della possibilità di «addomesticare» senza fatica il proprio uomo e di renderlo docile e inoffensivo come un cagnolino a guinzaglio; la donna moderna, dicevo, è stata la più preziosa alleata dell'imperialismo britannico. Per questo suo spirito borghese che la penetra fino alle ossa, la donna moderna apparteneva di diritto alla massoneria: costituiva quella massoneria spicciola, capillare che non meno di quella delle logge ha appestato l'atmosfera della storia, portando gli uomini fino all'asfissia morale. Non per nulla il Maresciallo Pétain ha additato nell'edonismo — all'esasperazione del quale tanta parte ha avuto la nota frivolità e vanità della donna francese — la causa precipua della rovina della Francia. Per nostra fortuna codesta indegnità civica della donna moderna non si è manifestata presso tutti i popoli europei con gli stessi caratteri di gravità. Certo si è che dove oggi si rivela più pesante il castigo di Dio della guerra è proprio in quei Paesi in cui meno esemplare era la condotta della donna. Tuttavia anche in Italia vi sono strati sociali nei quali la coscienza della donna richiede di essere severamente bonificata. La bonifica antiborghese, che sarà uno dei principali obiettivi del Regime nel dopoguerra, dovrà avere il suo primo capitolo nell'adeguazione della coscienza della donna alle impellenti esigenze della nostra politica imperiale, se è vero che è proprio qui la vera radice familiare dello spirito borghese.

Non per nulla l'oro fu detto strumento di Satana. Tutto ciò che di vizio e di bassezza c'è nel mondo: ozio, vanità, rapacità, speculazione, sfruttamento, usura, corruzione, ingiustizia, crudeltà, lusso, lussuria, è opera dell'oro. Nemico naturale della legge e dell'ordine, l'oro tutto sovverte, tutto avvelena, popoli e coscienze: crea sull'infinita serie delle miserie materiali e morali, individuali e collettive, la sfacciata opulenza di un'oligarchia di delinquenti, i quali nell'oro appunto e nella stupida adorazione e speranza del mondo per ciò che è la radice di tutti i suoi mali, han sempre trovato l'arma di difesa e di offesa, di immunità e di sfruttamento. Noi dobbiamo creare un sistema economico dove la speculazione, nonchè moralmente illecita, si presenti materialmente impossibile. Dobbiamo creare un'atmosfera economica estremamente rarefatta per tutta quella fauna di parassiti del lavoro e dell'intelligenza che, dal giocatore di borsa, al mediatore delle merci e del lavoro, all'azionista delle società anonime, al venditore di fumo, ai profittatori e strozzini di tutte le specie, non fanno che succhiare inglesemente e giudaicamente la produzione e anemizzare il consumo. Abolito l'oro e ridotta la moneta alla più semplice e primordiale funzione di scambio tra produzione e consumo, ecco che il lavoro è automaticamente protetto ed immunizzato dall'insidia di quello sfruttamento: ecco che con un semplicissimo atto chirurgico si guarisce e si moralizza tutto il sistema economico. Abolire l'oro e la moneta agganciata all'oro significa strappare il ferro del mestiere dalle mani rapaci dei businessmen di tutte le latitudini; significa rendere l'atmosfera irrespirabile per i topi di quella fogna pestifera che è l'alta finanza internazionale, i quali sarebbero per ciò solo costretti a sloggiare, come le cimici da una casa pulita.

Bisogna dare un'impronta di maggior serietà alla vita e di severità alla condotta; bisogna orientare con tutti i mezzi adatti la donna al dispregio della ricchezza, del lusso, dei gioielli, di tutto ciò che è fronzolo ed orpello esteriore; insegnarle a guardare più alla sostanza che all'apparenza; educarla ad un superiore senso di dignità personale che la faccia rifuggire come da un'offesa dall'idea che si debba valutarla in base all'eleganza delle sue vesti ed al peso dei suoi gioielli. È ora che certo esibizionismo di ricchezza, certe manie di caricarsi come selvaggi di cianfrusaglie più o meno lucide e scintillanti, sia considerata per quel che veramente è: un segno palese di inferiorità non solo morale, ma anche mentale. Morale, perchè rivela superbia e malanimo, nel desiderio di umiliare gli altri, di suscitare l'invidia degli altri; mentale, perchè non capisce quanto sia stupido di credere che il valore umano e sociale sia qualcosa come quello di manichino porta-pelliccia o porta-gioielli.

Bisogna creare e consolidare un'atmosfera sociale tale che la ricchezza, e specialmente l'ostentazione della medesima, vengano riguardate non più con invidia, ma con disprezzo, che postulato fondamentale della nuova economia diventi il concetto che la proprietà è legittima solo a patto di essere mezzo e non fine a se stessa: la proprietà che degenera in ricchezza è profondamente immorale e spregevole, perchè essendo il frutto di una menomazione . . .

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