(Pubblicato in « Gerarchia », novembre 1942)
di Mario Appelius
Roma e marcia contro Mosca
Sono due marcie parallele che in realtà formano una marcia unica.
Sul piano strategico la Marcia su Roma era la premessa indispensabile per potere svolgere la marcia contro Mosca. Di mano in mano che la storia contemporanea si sviluppa, il grande pensiero mussoliniano diventa più chiaro per il pubblico. Si fanno precise ed evidenti molte cose che nel 1919 era difficile intuire e non opportuno nemmeno dire. Il grande programma storico del Duce lievitava allora nel cervello del Condottiero il quale, solo con se stesso e col suo sogno, lo trasferiva, a tappe, nell'azione. Mussolini non aveva confidenti intimi e non poteva averne. Su tre grandi binarii correva il suo pensiero. I tre lunari erano, allora come ora: Italia - Europa - Umanità.
Il pensiero rivoluzionario del Duce si è formato nel fermento di una vita di battaglia la quale durante il periodo dell'elaborazione — cioè del sogno — si svolse in condizioni economiche dure ed in condizioni politiche difficili, a contatto immediato coi grandi problemi sociali dell'intero continente europeo. L'umanità era malcontenta della sistemazione capitalistica del mondo la quale soffocava nazioni, popoli, individui. Questo formidabile malcontento umano tumultuava nello spirito di Mussolini il quale, scaturito direttamente dal popolo, era carne di popolo ed era anima di popolo. L'Italia non era solo malcontenta del suo statu quo come popolo, lo era anche come Nazione, per le sue misere quanto ingiuste condizioni di cenerentola dell'Europa. Questo dramma nazionale italiano fermentava nello spirito del Condottiero insieme al dramma sociale dell'Italia e dell'Europa.
La guerra del 1914 si presentò agli occhi del mondo come uno scoppio fatale della caldaia internazionale. La propaganda inglese si trovò in quel momento in mano di alcuni grandi filibustieri i quali ebbero l'intelligenza di intuire lo stato d'animo del mondo ed ebbero la furberia di uniformare a quello stato d'animo la propaganda ufficiale dell'Impero Britannico. Londra promise quindi ai vari popoli il raggiungimento delle loro legittime aspirazioni nazionali e dichiarò alle moltitudini che supremo obbiettivo della guerra era la riforma universale della società umana, su basi sociali più eque, più morbide, più oneste. V'era in quel momento il mito della lealtà inglese. L'umanità ebbe la dabbenaggine di credere a questa lealtà per accreditare la quale l'ipocrisia inglese aveva lavorato un secolo, dall'avvento al trono della Regina Vittoria in poi.
La guerra era ancora in corso, che il grande cervello del Duce intuì la tragica beffa che l'Inghilterra stava giocando al mondo. Bisognava in ogni modo vincere la partita italiana contro gli Asburgo! Il Direttore del Popolo d'Italia guardò. Trento e Trieste e non disturbò il popolo che era intento a realizzare quell'importante passo in avanti del Risorgimento. Mussolini vigilava però attentamente tutto il resto. Mani inglesi favorirono a Mosca il rovesciamento degli Zar ed in seguito provvidero, nel gabinetto privato dell'ambasciatore Buchanan, ad esautorare anche Kerenski il quale, allucinato dalla sua medesima rettorica, poteva giuocare brutti scherzi a Lloyd George ed ai grandi interessi finanziarii anglosassoni che manovravano il professore Wilson. La perfidia inglese capì che il bolscevismo poteva rendere immensi servizi all'Impero britannico, come spauracchio ideologico per trovare consensi internazionali al tradimento sociale che Londra si proponeva di effettuare sul tavolo della pace contro tutte le moltitudini e come strumento di battaglia per tagliare le gambe in ogni Paese ai popoli che urlassero troppo forte contro il tradimento politico del Trattato di pace. A coloro che a Londra ed a Washington prospettavano il pericolo che il bolscevismo potesse dilagare fino nei feudi economici e politici della Gran Bretagna, i dirigenti dell'Inghilterra opponevano la garanzia d'Israele. Le sinagoghe furono mallevadrici della docilità sostanziale della docilità sostanziale del bolscevismo di fronte agli interessi vitali del grande capitalismo anglosassone.
Il genio del Duce vide chiaro nel gigantesco intrigo inglese. Lo dimostra in modo inoppugnabile l'atteggiamento favorevole alla Germania assunto immediatamente da Mussolini alla riunione di Londra del 1924. Tutto è formidabilmente logico nell'azione di Mussolini dal 1917 al 1924. Egli appoggia a spada tratta Vittorio Veneto e Fiume, in quanto rappresentano le giuste strade per ridurre al minimo possibile il tradimento inglese contro l'Italia sul piano nazionale. Simultaneamente Mussolini concepisce la Marcia su Roma come mezzo tattico per impedire che Londra e Parigi possano adoperare il bolscevismo contro l'Italia ed imposta la Marcia contro Mosca per impedire che Londra e Washington possano adoperare il bolscevismo contro l'Europa. Arrivato ad avere in mano il timone dell'Italia, arrivato cioè ad essere una delle forze operanti dell'Europa, Mussolini spezza subito le sue prime lancie — non senza meraviglia di alcuni italiani dell'epoca — a favore della riabilitazione e della risurrezione della Germania. Quelle lancie iniziavano la marcia contro Mosca sul piano europeo. Il binomio Italia-Europa prende subito forma nel pensiero rivoluzionario e politico di Mussolini, in quanto egli sente che non vi può essere una veramente grande Italia senza una grande Europa e viceversa.
Fenomeno anti-britannico
La Marcia su Roma fu un fenomeno anti-bolscevico ed un fatto anti-inglese. Non sarebbe stato accorto inalberare subito sulle barricate la bandiera antì-britannica e non fu infatti issata, ma il pennone rivoluzionario sul quale sventolava la bandiera anti-bolscevica del Fascismo era un pennone anti-inglese o per essere più precisi « anti-britannico ». La vita dell'Inghilterra non è infatti fatalmente antagonista con la vita collettiva dell'Europa e verrà forse un giorno in cui l'Inghilterra si rivolgerà all'Europa per essere protetta contro i suoi vari nemici. Viceversa, assolutamente anti-europeo è l'Impero britannico, in quanto è costituito da interessi contrari agli interessi continentali europei e da ricchezze e posizioni rubate alla comunità europea. La Marcia su Roma era anti-bolscevica in quanto proclamava la antitesi ideale tra Roma e Mosca sul piano civile e sul piano storico, ma era sostanzialmente anche antì-britannica, in quanto colpiva nella massoneria, nel parlamentarismo, nel giudaismo capitalistico, nella caotica gazzarra degli innumerevoli partiti politici, nella III Internazionale e nella II Internazionale, gli strumenti di guerra, di corruzione e di intrigo che Londra aveva stabilito in tutte le Nazioni, per poterle tutte maneggiare e tutte combattere in caso di necessità, per vie interne, senza bisogno di creare un fronte ufficiale di guerra.
Non era certo facile la Marcia su Roma. Bisognava infatti attaccare attraverso la lotta aperta contro il bolscevismo non solamente la centrale dirigente bolscevica italiana (la quale non costituiva un avversario molto temibile data la bassa statura degli uomini che la componevano), ma anche il vago e tendenziale filo-bolscevismo delle masse italiane di allora le quali, nauseate del tradimento nazionale di Versaglia ed irritate del tradimento sociale del dopoguerra, erano spinte in buona fede dalla loro rivolta intema a buttarsi nell'avventura del massimo estremismo, per vedere che diavolo ne sarebbe venuto fuori! Bisognava quindi combattere una illusione di parte del popolo ed era duro per Mussolini che era « popolo » pigliare di fronte la propria carne. Era necessario però farlo, per impedire che il popolo si facesse tradire da se stesso! Mentre la Rivoluzione attaccava ufficialmente e frontalmente il bolscevismo, bisognava colpire a morte una quantità di altre forze che fingevano, magari, d'essere anti-bolsceviche, ma che in realtà non erano né prò né contro il bolscevismo, in quanto semplici strumenti in mano dell'Inghilterra, eseguivano ciò che Londra ordinava, senza rendersi ben conto di ciò che facevano. Difficile assai era la partita impegnata dal Duce su tanti fronti simultanei e non avrebbe potuto giocarla né tanto meno vincerla se egli non fosse stato generosamente e poderosamente aiutato dal grande istinto politico e sociale del popolo minuto il quale ebbe più fiducia nella sicura italianità di Mussolini e nella sua genuina appartenenza al popolo, che nelle sirene internazionali di Mosca o nelle lusinghe di altri ambienti nostrani. Non è il caso di tracciare qui la tecnica della Marcia su Roma perché è un fatto storico sul quale ormai esiste una abbondante e documentata letteratura. E' viceversa opportuno precisare il carattere fondamentalmente anti-britannico, anti-nordamericano ed anti-ebraico di questo fenomeno italiano il quale, muovendo frontalmente guerra al bolscevismo nel nome sacro ed eterno di Roma, rovesciava, però, durante la battaglia, a destra e a sinistra, una quantità di pilastri, di puntelli, di istituti, di tradizioni, di interessi che potevano sembrare anti-bolscevichi mentre in realtà dipendevano da quelle medesime centrali inglesi che hanno coltivato nelle serre politiche anglo-sassoni la possibilità della paradossale alleanza del grande capitale col comunismo. Il filo-bolscevismo contingente made in England che in questo momento ostentano, con altrettanta impudenza che teatralità, la massoneria, le sinagoghe, la chiesa anglicana, la II Intemazionale socialista, il laburismo, il partito conservatore inglese, la così detta democrazia nordamericana, Rockfeller ed il re d'Inghilterra, il presidente Vargas ed il generale Smuts, documenta con quanta saggezza strategica il Fascismo rovesciò strada facendo durante la Marcia su Roma tutti questi idoli internazionali che, se fossero rimasti in piedi nelle città e nelle istituzioni del Regno d'Italia, avrebbero inesorabilmente soffocato la Rivoluzione italiana appena essa, dalle piazze e dalle strade, si fosse trasferita, nazionalmente e socialmente, sul piano del potere esecutivo, per realizzare i grandi scopi nazionali e sociali per i quali era stata fatta dal popolo italiano e dal Condottiero che il popolo aveva chiamato a raccolta nei Fasci di combattimento. Col trionfo interno della Marcia su Roma il popolo italiano conquistò l'indipendenza politica, economica e sociale sul piano internazionale indipendenza che fino allora non era mai esistita e che senza la Marcia su Roma non avrebbe potuto mai esistere in Italia, perché troppo potenti e troppo fluidi erano i poteri occulti che l'imperialismo politico inglese e l'imperialismo finanzario anglo-sassone avevano stabilito in Italia dal 1870 in poi. La immediata risolutezza con cui il Fascismo offri la mano della Rivoluzione alla gloriosa e benemerita Monarchia sabauda, la immediata risolutezza con cui il Fascismo andò incontro al Vaticano per realizzare l'indispensabile riconciliazione dell'Italia col cattolicesimo romano cosi intimamente legato alla storia millenaria del nostro popolo, la immediata risolutezza con cui i cannoni fascisti di Corfù impostarono il problema politico del primato italiano nel Mediterraneo, la immediata risolutezza con cui Mussolini dinanzi al volto attonito di Bonar Law ed allo sguardo franciosamente ostile di Poincaré, impostò il fondamentale problema rivoluzionario della revisione del Trattato di Versaglia documentarono subito a chi voleva capire, doveva capire e poteva capire che la Marcia su Roma non era il punto di arrivo di una ambizione politica ma era il punto di partenza di un grande fatto storico, italiano ed europeo.
In realtà, la Marcia su Roma inizia il nuovo ciclo storico del mondo moderno. La rivoluzione del mondo moderno che era nata anagraficamente a Milano in piazza San Sepolcro e che s'era concretata sul piano politico italiano il 23 marzo con la fondazione dei primi Fasci di combattimento diventa, attraverso la Marcia su Roma, un fatto politico internazionale. Pochi il 28 ottobre 1922 capirono ciò che stava realmente accadendo! Solo il Duce sapeva con esattezza ciò che succedeva. Era difficile infatti prevedere in quel momento che la Marcia su Roma stabiliva la premessa politica della futura fondazione dell'Asse, impostava la premessa rivoluzionaria e psicologica della Rivoluzione nazionalsocialista germanica, stabiliva la premessa internazionale della guerra d'Etiopia, gettava la base storica sulla quale sarebbe sorto col tempo il grande edificio del Tripartito. Quando i nostri posteri scriveranno la storia della nuova epoca, gli storici dedicheranno un capitolo alle origini di questo ciclo, le quali sono costituite dalla Guerra Mondiale, dal Trattato di Versaglia (coi Trattati collaterali di Trianon e di Neuilly), dal tradimento inglese contro tutti i popoli del mondo e dal tradimento di Wilson contro se stesso. Il secondo capitolo sarà costituito fatalmente dalla Marcia su Roma, la quale fu il primo passo concreto — rivoluzionario e politico — col quale la rivolta mondiale dell'umanità si mise in movimento verso il suo immenso destino.
Vi furono dei morti durante la Marcia. Quando la rivolta del mondo contro la egemonia della razza inglese avrà vinto, quegli umili-grandi morti della Marcia su Roma dovranno essere onorati in Italia come in Germania, in Finlandia come in Giappone, in Ungheria come in India, in Romania come in Birmania o nell'Iraq, quali « i primi martiri » della indipendenza di tutti i popoli dalla dominazione anglosassone. Tale fu infatti la loro funzione. Tale è la loro importanza. La storia moderna di molte nazioni sarebbe risultata infatti ben diversa se tra il 1918 ed il 1924 non ci fossero stati in Italia uomini di tutte le età e condizioni sociali disposti, generosamente, a seguire, anche a prezzo della loro vita, Benito Mussolini Quando egli, proiettato dal proprio genio nelle profondità future della storia, muoveva da Milano e da Napoli, da Oltretorrente e da Sarzana i primi passi della Rivoluzione moderna verso la prima grande tappa: Roma! Di speciale venerazione noi Italiani dobbiamo circondare i Caduti della Marcia, perché essi stabiliscono col sigillo del sangue la origine italiana della Rivoluzione contemporanea e nello stesso tempo documentano il diritto del popolo italiano accanto a Mussolini al grandissimo titolo di onore di essere, l'uno e l'altro, i fondatori storici della rivolta del mondo contemporaneo contro la tirannide capitalistica mondiale, stabilita dagli anglo-sassoni fra il 1850 ed il 1918 sui cinque continenti.
O Roma o Mosca
La Marcia su Roma dopo il 1924 continuò il suo fatale andare in « marcia contro Mosca ». O Roma o Mosca! disse subito il grande intuito dell'umanità. Sul piano puramente nazionale questo vasto grido di battaglia che abbracciava il mondo intero, potè sembrare allora troppo ampio e troppo lontano a quegli Italiani che avevano visto nel Duce l'artefice della grandezza nazionale e che non guardavano verso le steppe di Tolstoi e di Trotzky, ma verso la Dalmazia, Malta, Tunisi, la Corsica, Addis Abeba, Gibutì, magari il Tchad e la Nigeria. Lo spirito veggente del Duce fissò invece in Mosca la seconda tappa della Marcia. Grande europeo, Mussolini sentiva che il vero nemico dell'Italia e dell'Europa era li, proprio in quella lontana città della steppa dove una immensa barbarie continentale, anti-europea ed anticristiana aveva il suo epicentro politico, tradizionale e razziale. La Roma fascista prese nettamente posizione contro Mosca sui baluardi cristiani della civiltà romana e sui baluardi politici della difesa europea. Il bolscevismo non era il solo nemico dell'Europa. Forse non era nemmeno il più grande pericolo dell'Europa, perché i popoli europei (come lo dimostrano il Fascismo, il Nazionalsocialismo, il Falangismo, la Guardia di Ferro, la rivolta dell'Ungheria contro Bela Kun, la guerra della Finlandia contro la Russia) posseggono nella medesima ripugnanza della loro antichissima civiltà contro la barbarie una formidabile molla che automaticamente scatta al momento del pericolo. L'Europa aveva altri nemici più potenti e più pericolosi del bolscevismo che si chiamavano il latente imperialismo russo, l'imperialismo britannico e l'imperialismo nordamericano. Mussolini sentiva, però, nella sua veramente straordinaria sensibilità di grande Condottiero, che il nemico numero 1 restava sostanzialmente Mosca, non perché fosse la sede della III Internazionale, ma perché la vecchia città del Kremlino era il luogo fatale nel quale si sarebbero incontrati, al momento della lotta decisiva, tutti i nemici dell'Europa e della grandezza italiana: il bolscevismo, l'imperialismo russo, il britannismo, l'americanesimo, Israele, la massoneria, il socialismo, il parlamentarismo, la plutocrazia, la social-democrazia, la chiesa anglicana, cioè tutte le forze conservatrici o sovversive.
L'Europa moderna combatte in questo momento in Mosca non solamente fl tradizionale pericolo russo ed il nuovo pericolo bolscevico, ma anche la unica possibilità strategica che hanno tutti i nemici dell'Europa di fare blocco e leva contro il continente europeo. Come la Marcia su Roma fu fatta da tutte le regioni italiane, dal Piemonte alla Sicilia, dalla Sardegna alle Puglie, perché tutte le popolazioni dell'Italia erano egualmente minacciate dalle forze anti-nazionali ed internazionali ostili alla grandezza italiana, così la marcia contro Mosca — continuazione storica e strategica della Marcia su Roma — è eseguita da tutte le popolazioni dell'Europa perché tutte sono identicamente e globalmente minacciate dalla coalizione anti-europea del bolscevismo, del britannismo e dell'americanismo.
Il Duce, grande Condottiero della Marcia s u Roma è logicamente insieme ad Adolfo Hitler uno dei due grandi condottieri della marcia contro Mosca. Non poteva essere altrimenti. I due Uomini scelti dal destino per realizzare, nell'interesse della civiltà universale, il Risorgimento storico dell'Europa sono giunti sulla plancia di comando della marcia contro Mosca, non solamente attraverso le due marcie nazionali su Roma e Berlino — perché ciò non sarebbe stato storicamente sufficiente — ma attraverso l'alleanza della Romanità e del Germanesimo. Queste due grandi forze lungamente si combatterono, spronate dalla rivalità di un primato che non poteva esistere perché fatalmente sarebbe stato contrario agli interessi fondamentali dell'Europa. Era una rivalità artificiale e lo dimostrava il fatto che ogni qualvolta un pericolo mortale minacciava il continente, la Romanità ed il Germanesimo fatalmente si univano contro i nemici comuni, fossero essi i Mongoli o gli Unni od i Califfi conquistatori. Questa volta la Romanità ed il Germanesimo sono uniti definitivamente, non solamente per combattere i comuni nemici, ma per costruire insieme ed insieme presidiare e difendere una Europa stabile, prospera, potente, autonoma, capace di andare avanti vigorosamente attraverso i secoli e di essere uno dei grandi pilastri del mondo moderno.
I postulati
Nel ventennale della Marcia su Roma il popolo italiano sintetizza il suo stato d'animo nei seguenti postulati — italiani e fascisti — i quali debbono costituire d'ora innanzi altrettante leggi imperative della vita nazionale:
1) Orgogliosa coscienza di essere la grande terra fatale, benedetta da Dio, nella quale ancora una volta il genio italico ha indicato agli uomini di tutte le razze e di tutte le contrade, la giusta via, sulla quale la civiltà può compiere senza pericolo il suo eterno andare.
2) Austera coscienza delle alte responsabilità spirituali, politiche, militari, economiche e sociali che incombono in chi, come noi ed i germanici, abbia la missione di dirigere l'Europa e di condurla avanti sulle grandi strade della storia.
3) Programmatica lealtà verso la Germania e verso il Germanesimo coi quali dobbiamo fare insieme, la mano nella mano, la marcia contro Mosca e poi continuare, fraternamente, le marcie della rinnovata grandezza europea.
4) Inflessibile decisione di fare quanto è necessario, costi quel che costi, duri quel che duri, per vincere questa guerra, dal cui vittorioso risultato dipendono l'intero avvenire nazionale dell'Italia e tutte le aspirazioni sociali dell'umanità contemporanea.
5) Sacro impegno con noi stessi, come individui e come popolo, di correggere i nostri difetti razziali che non sono molti e di potenziare le nostre qualità razziali che sono invece molte ed importantissime, in modo che nella nuova Europa e nel nuovo ordine internazionale, l'Italia possa svolgere, in maestosa magnificenza, l'altissimo compito di comando, di magistero e di esempio che il Destino nuovamente ad essa affida.
Il Duce il quale altro non è che una sintesi individuale di tutto quanto di grande, di nobile, di costruttivo, di volitivo, di universale può scaturire dalla razza italica, ci ha dato la formula che ci ha permesso di realizzare la Marcia su Roma, che ci permette di eseguire la marcia contro Mosca, che ci permetterà di compiere vittoriosamente tutte le altre marcie gloriose per le quali il Destino di Roma fatalmente ci chiama. Questa formula è Credere, Obbedire, Combattere.
Credere in noi stessi, nella nostra grandezza, nella nostra capacità razziale di potere tutto ciò che fortissimamente vogliamo e vorremo.
Obbedire, con disciplina romana, per evitare inutili consumi di energia e di intelligenza, per ottenere quindi col minimo sforzo il massimo risultato.
Combattere, cioè concepire e sentire l'esistenza individuale e collettiva, con spirito militare e guerriero, mettendoci bene in testa che la grandezza politica, la prosperità economica e.d il progresso sociale sono dure a conquistare quando non si hanno, che dure a difendersi quando si posseggono.
Il ventennale non è un traguardo. E' una tappa di transito. Il lungo cammino virilmente e vittoriosamente percorso dal 1922 al 1942 garantisce il lungo cammino che percorreremo negli anni futuri. Sulla bandiera di combattimento dell'Italia fascista splendono le medesime tre parole che hanno guidato il Duce durante la sua ciclopica azione di Condottiero: Italia - Europa - Umanità.