(Pubblicato in « Il Popolo d'Italia », 16 ottobre 1935)
di Scrittore fascista
L'opinione pubblica britannica è montata contro l'Italia da una propaganda frenetica, che per i vari settori si vale di eccitanti e reagenti diversi.
I laburisti, mobilitati contro « il pericolo fascista », sono stati spinti a rinnegare in pieno la loro politica di pacifismo a oltranza. n campo dei conservatori è tenuto in allarme per la difesa dell'impero.
Questa formula dell'« impero in pericolo», che vorrebbe legittimare una politica di forza sul piano inclinato delle sanzioni, non ha fondamento alcuno nella realtà storica. L'Italia non minaccia l'impero britannico, e l'impero britannico non è minimamente in pericolo. E ciò che intendiamo dimostrare con dati di fatto inoppugnabili.
l. - L'Italia fascista ha seguito fedelmente una politica di solidarietà e di wllaborazione con Francia e Inghilterra. Questa politica trovò le prime basi nel patto di Locarno, che reca, fra le altre, la firma di Mussolini, e che assicurava la garanzia anglo-italiana per l'equilibrio sul Reno. Restava aperta la divergenza franco-italiana, che risaliva a Versailles e che aveva reali motivazioni nelle nostre necessità coloniali, non risolte con la pace e non tenute in calcolo nella ripartizione dei mandati. Questa vertenza attraversò una fase acuta nella primavera del 1933. Il capo del Governo italiano, sempre fermo nelle sue direttive di collaborazione europea, propose un Patto a quattro, che avrebbe effettivamente assicurato la tranquillità e la ripresa in Europa. I rappresentanti britannici si. trovarono in quella contingenza ancora una volta a fianco dell'Italia. Il Patto a quattro fu ratificato· a Roma e a Londra e se non poté entrare in. funzione, come il superiore interesse europeo esigeva, non fu per colpa dell'Italia, né, per verità, dell'Inghilterra. La rivalità franco-italiana riprese con la gara degli armamenti navali. La Francia deliberò l'impostazione dei due Dunkerque. L'Italia, per necessità di equilibrio, dopo avere invano sostenuto quella stessa politica di disarmo che era parallelamente propugnata dal Governo britannico, fu costretta, dopo lunga attesa, a controbilanciare la nuova situazione sui mari. Ma.la politica del. Governo di Roma non cambiò nullameno le proprie direttive. Estraniatasi la Germania in uqa posizione di chiuso arroccamento, la pace europea non poteva più oltre essere garantita se non dall'accordo fra le tre potenze occidentali, accordo che pregiudizialmente esigeva il superamento delle divergenze franco-italiane. L'intesa a tre imponeva un riavvicinamento risolutivo tra Francia e Italia. Il Patto di Roma, concluso il 7 gennaio di quest'anno, fu effettivamente inteso, dalle due parti, come pregiudiziale per un successivo accordo a tre, di cui si gettarono le basi a Londra il 3 febbraio, e che fu realizzato nell'incontro di Stresa. In ciascuna fase di questa vicenda, l'Italia mai considerò una contrapposizione alla politica britannica, e mai intese che divergenze potessero determinarsi fra gli interessi nostri e quelli della Gran Bretagna.
2. - L'Italia si orientò verso l'Etiopia per necessità di sicurezza ed anche per non presentare sul tappeto il problema della revisione dei mandati. I nostri diritti su territori etiopici erano garantiti da accordi italo-franco-inglesi e italo-britannici. Lo sbocco in Etiopia poteva pertanto realizzarsi. su basi già concretate. L'intesa occidentale sarebbe stata rafforzata con la totale soddisfazione delle necessità italiane. Il calice amaro di una revisione dei mandati a favore dell'Italia era allontanato. Non aver valutato nel suo giusto senso l'orientamento italiano fu errore gravissimo. Esso non si contrapponeva agli interessi britannici e francesi, e poteva inquadrarsi in pieno nella politica di Stresa, cementandola saldamente.
3. - La struttura dell'impero britannico poggia sulla flotta e sulle basi navali. Nessuna di queste forze basilari è minimamente minacciata dall'espansione italiana in Etiopia, la quale, per sua natura, è limitata, circoscritta, interna e non navale. Le nostre basi di scalo sul Mar Rosso sono e resteranno quelle di cui cinquant'anni or sono prendemmo possesso in pieno accordo con la Gran Bretagna. Massaua e Assab sono semplici scali, Mogadiscio e Chisimaìo non facili approdi. Cassala, porta del Sudan verso l'Eritrea, fu conquistata dagli italiani e « donata » all'Inghilterra. Gli interessi inglesi sul Lago Tana, sul Nilo Azzurro e sui suoi affluenti, sono e saranno rispettati dall'Italia. I nostri confini nell'Africa Orientale sono e rimarranno lontani centinaia di. chilometri dal Nilo Bianco e dalla linea imperiale Cairo-Sud Africa. L'Italia segue nell'Africa Orientale una politica di sicurezza, di legittima difesa e di lavoro. Imperialismo è pretendere più di quanto sia strettamente necessario. Il popolo italiano non chiede se non l'onore e l'onere di portare la civiltà del lavoro in territori ben delimitati, col pieno rispetto dei diritti altrui.
4. - Anche e soprattutto per quanto riguarda l'Egitto, l'Italia non rappresenta alcuna minaccia. I confini orientali libici furono delimitati d'accordo con l'Inghilterra. Una esperienza di oltre venti anni, in pace e in guerra, ha dimostrato che nessun pericolo può determinarsi dalla Libia verso l'Egitto. Contro le minacce senussite in senso inverso, l'Italia ha provveduto con una linea difensiva di fil di ferro spinato, che è la linea di sicurezza del nostro lavoro in Cirenaica.
Che dunque l'impero sia in pericolo, ed in pericolo perché coloni italiani risalgono verso l'interno dell'impervio barbarico acrocoro etiopico, è argomentazione che non può essere minimamente sostenuta.