Sunday, 4 March 2012
Discorso al Consiglio nazionale delle Corporazioni, 22 aprile 1930
di Benito Mussolini
Camerati! Signori!
Prima di tracciare le linee di questo discorso ho voluto rileggere sulla Gazzetta Ufficiale il testo della legge 20 marzo 1930, n. 206, che istituisce il Consiglio nazionale delle Corporazioni. L'ho voluto rileggere per definire nella maniera più sintetica possibile l'istituto che ho il piacere e l'onore di inaugurare in questo giorno: Natale di Roma e Festa del Lavoro.
La definizione può essere questa: il Consiglio nazionale delle Corporazioni è, nell'economia italiana,.quello che lo Stato Maggiore è negli Eserciti: il cervello pensante che prepara e coordina. La similitudine militare non vi dispiacerà, poiché quella che l'economia italiana deve combattere è veramente una rude, incessante guerra che richiede uno Stato Maggiore, dei quadri, delle truppe che siano, per il loro cómpito, all'altezza della situazione.
L'economia italiana è qui rappresentata nelle sette Sezioni specificate nell'articolo 4 della legge, che certamente ognuno di noi conosce a memoria, anche perché è stata, durante due anni, dibattutissima. Ma questo Stato Maggiore ristretto si allarga nell'assemblea generale, quando all'ordine del giorno ci siano questioni, appunto, di ordine generale.
È perfettamente logico che siano chiamati a partecipare all'assemblea generale i dirigenti del P.N.F. il quale, avendo fatto la Rivoluzione, non può essere mai straniato dagli istituti che la Rivoluzione stessa realizza in ogni campo; taluni direttori dei Ministeri interessati, utilissima innovazione per approfondire e rendere costanti i contatti tra le forze vive della Nazione e gli strumenti esecutivi delle amministrazioni dello Stato; il presidente delle Associazioni dei Mutilati e dei Combattenti, non solo per i problemi specifici interessanti quelle due categorie, ma per un riconoscimento morale dei loro sacrifici in guerra e della loro funzione in pace; e, finalmente, dieci persone che chiamerò esperti o piuttosto « periti », affermazione questa di notevole rilievo in quanto il Regime fascista non vuole esiliare la dottrina e gli uomini di pensiero o rinchiuderli nei loro studi o nei loro laboratori, ma desidera avere da essi un apporto concreto per le risoluzioni dei problemi economici, problemi che dopo le grandi guerre, dalle Puniche in poi, hanno sempre gravemente tormentato i popoli.
Le attribuzioni del Consiglio nazionale delle Corporazioni sono chiaramente e analiticamente fissate negli articoli 10 e 12. Sopra tutto quest'ultimo articolo caratterizza la legge e le dà il suo particolare sapore. Senza questo articolo il Consiglio sarebbe un organo semplicemente consultivo; con questo articolo la legge immette un fattore nuovo nella vita economica e sociale italiana. I primi due paragrafi dell'ari. 12 sono, importanti, ma non eccezionalmente. Il paragrafo terzo, in-vece, è la chiave di volta di tutta la legge, che solo per quelle tre righe merita l'appellativo di rivoluzionaria. Le cautele che seguono nell'art. 12 sono la conferma che non si tratta di un salto nel vuoto, come i soliti misoneisti dell'afascismo hanno tentato di far credere, sibbene di un passo innanzi, misurato ma deciso.
Nell'art. 12 vi è tutta la corporazione, così come l'intende e la vuole lo Stato fascista. È nella corporazione che il sindacalismo fascista trova infatti la sua mèta. Il sindacalismo, di ogni scuola, ha un decorso che potrebbe dirsi comune, salvo i metodi: s'incomincia con l'educazione dei singoli alla vita associativa; si continua con la stipulazione dei contratti collettivi; si attua la solidarietà assistenziale o mutualistica; si perfeziona l'abilità professionale. Ma mentre il sindacalismo socialista, per la strada della lotta di classe, sfocia sul terreno politico, avente a programma finale la soppressione della proprietà privata e dell'iniziativa individuale, il. sindacalismo fascista, attraverso la collaborazione di classe, sbocca nella corporazione, che tale collaborazione deve rendere sistematica e armonica, salvaguardando la proprietà, ma elevandola a funzione sociale, rispettando la iniziativa individuale, ma nell'ambito della vita e dell'economia della Nazione.
Il sindacalismo non può essere fine a se stesso: o si esaurisce nel socialismo politico o nella corporazione fascista. È solo nella corporazione che si realizza l'unità economica nei suoi diversi elementi: capitale, lavoro, tecnica; è solo attraverso la corporazione, cioè attraverso la collaborazione di tutte le forze convergenti a un solo fine, che la vitalità del sindacalismo è assicurata. È solo, cioè, con un aumento della produzione, e quindi della ricchezza, che il contratto collettivo può garantire condizioni sempre migliori alle categorie lavoratrici; in altri termini, sindacalismo e corporazione sono interdipendenti e si condizionano a vicenda; senza sindacalismo non è pensabile la corporazione; ma senza corporazione il sindacalismo stesso viene, dopo le prime fasi, a esaurirsi in un'azione di dettaglio, estranea al processo produttivo; spettatrice non attrice; statica e non dinamica.
È ciò che accade in tutti i Paesi dell'occidente, dove il sindacalismo, non potendo arrivare alla cosiddetta socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio, come in Italia alla corporazione, segna il passo, o impegna battaglie che si concludono regolarmente in disastri. Gli è che il sindacalismo giunge a un punto in cui deve o tramutarsi in qualche altra cosa o ridursi all'ordinaria amministrazione. È per quest'ordine di ragionamenti che io attribuisco la massima importanza all'art. 12 della legge: è per questo che io affermo l'originalità e la forza di questo istituto, nel quale la corporazione trova la sua espressione non soltanto economica, ma politica e morale.
Ciò precisato, voglio aggiungere subito che non bisogna attendersi di punto in bianco eventi portentosi e miracoli inauditi dal funzionamento, che oggi praticamente incomincia, del Consiglio nazionale delle Corporazioni. L'azione che esso deve armonizzare e, se necessario, stimolare, si svolge in un momento interessante dell'economia mondiale. Ho detto interessante, nel senso che deve richiamare l'attenzione del Governo e dei ceti dirigenti. Il fenomeno non è italiano, ma universale e quindi anche italiano. È una situazione di disagio, - più o meno acuto -, sulle cui cause è perfettamente inutile di insistere, poiché sono note a ogni mediocre osservatore della realtà economica attuale.
Episodi clamorosi e drammatici, come le giornate nere dell'ottobre scorso alla Borsa di Nuova York, la flessione dei prezzi all'ingrosso, le cifre dei disoccupati che salgono a un milione 675.000 in Inghilterra, con un aumento di mezzo milione nel corso di un anno, che sommano a circa due milioni e 350.000 in Germania, e a un numero di milioni non bene precisato ma certamente alto negli Stati Uniti, sono elementi di giudizio e di confronto alla portata anche dei semplici lettori di giornali.
La situazione agricola, poi, è specialmente grave in Germania, in Francia, in Spagna, in Inghilterra, negli Stati Uniti e in altri minori Paesi. Non è senza significato che il nuovo Cancelliere del Reich, Briining, abbia issato lo stendardo rurale e annunziato misure anche draconiane per risollevare l'economia agricola tedesca.
A lato di queste ombre, le luci sono rappresentate dall'ormai completato riassetto delle monete in tutta Europa, dalla sistemazione delle riparazioni che, almeno per un certo periodo di tempo regolerà i rapporti di credito e debito fra Germania e Alleati, e da sintomi di ripresa del mercato americano.
Per quanto ci riguarda, è ormai assodato che l'attività economica italiana è stata nel 1929 superiore a quella di tutti gli anni precedenti. Quasi tutti i prodotti agricoli hanno toccato il massimo; così produzioni da record sono state, nell'industria, la produzione dell'acciaio, quella di molti manufatti, la produzione della seta artificiale, talune produzioni chimiche. L'importazione di carbon fossile, di oli minerali, la produzione di energia idroelettrica hanno raggiunto punte non mai viste in passato.
La bilancia commerciale del 1929 ha segnato un miglioramento di circa 900 milioni sul 1928, quindi c'è stato un miglioramento nei conti internazionali del dare e dell'avere o bilancia dei pagamenti che dir si voglia. Ciò nonostante, il disagio permane. Esso è in relazione col problema che si pone per. l'economia italiana e che può esprimersi in questa formula, tanto per l'industria quanto per l'agricoltura: adeguare ai prezzi discendenti i costi di produzione. Agire sui costi di produzione per ridurli sino ai limiti del possibile, in modo che i prezzi abbiano un margine di profitto sui costi.
Il problema ha molti aspetti. Per risolverlo non bastano soltanto l'energia, la logica, lo spirito d'iniziativa e sovente il sacrificio pecuniario dei singoli, occorre l'intervento dello Stato con una serie di misure appropriate e tempestive.
Talune di queste misure sono già state adottate. Vi ricordo le più recenti.
La riduzione dal 7 al 6 1/2 del tasso dello sconto, prima tappa per alleggerire il costo del denaro; la libertà di commercio dei cambi, con cui si è data la definitiva risposta ai residuali disfattisti, nonché torbidi profeti di sciagure, che sino dall'11 marzo farneticarono di modificazioni alla quota di stabilizzazione ormai fissata per legge da ben 28 mesi: la lira senza più danni o impacci se ne va sola e sicura per il mondo e non ha nulla da temere; la proroga per i prestiti all'estero e per le agevolazioni fiscali per le fusioni di società; la fine dei centonovantacinque grotteschi Stati doganali interni che creavano 195 compartimenti stagni, i quali impedivano quel libero passaggio delle persone e delle merci, che dovrebbe avvenire senza impacci, almeno nell'interno dello Stato.
La riforma daziaria non ha avuto soltanto lo scopo di ridurre il costo della vita, ma quello ben più importante di creare l'unità economica interna della Nazione e di costringere ad una più severa politica i Comuni, i quali, - ora - non possono più aumentare troppo comodamente le entrate allargando come facevano all'infinito la loro frontiera doganale. Questo « grottesco » doganale, che si perpetuava nella vita economica italiana soltanto per un fenomeno comprensibile, ma antifascista, di poltroneria morale, è scomparso e la sua scomparsa è segnata nelle partite attive del Regime fascista.
Stabilito che il 1930 deve segnare il crollo di tutte le bardature residue dell'economia di guerra, verrà la volta dei calmieri, i quali sono perfettamente inutili in periodi di prezzi discendenti; così al 30 giugno anche il vincolismo degli alloggi avrà fine in tutta Italia, e voglio credere che le eventuali « licenze » dei proprietari non siano così numerose da costringermi ad adottare vincolismi d'altro genere. Altre misure d'aiuti e di alleviamento saranno adottate nei prossimi mesi.
L'agricoltura sarà sempre la branca dell'economia più aiutata, non solo per le ragioni di ordine generale che ispirano la politica del Regime, ma per il fatto che centinaia e centinaia di milioni di piccolo risparmio rurale si sono volatilizzati in quest'ultimo quinquennio per il crollo di una miriade di banche e banchette, spesso improvvisate, e per il fatto che se di « crisi » si pipò parlare, ciò si riferisce prevalentemente all'agricoltura, dove il processo di adeguamento tra prezzi e costi è più arduo da raggiungere, dato il più lento ritmo próduttivo dell'economia rurale.
Ma la misura che deve coronare tutte quelle già ricordate e quelle in preparazione è il pagamento effettivo del debito pubblico consolidato, la « manomorta » della finanza italiana. Ben un quarto delle entrate totali dello Stato sono devolute al pagamento degli interessi, ma è ancora più grave la situazione dei portatori, i quali non possono riscuotere la loro cambiale perché consolidata, né realizzarla se non correndo il rischio di svenderla.
Per garantire la riforma monetaria fu necessario bloccare; oggi è urgente sbloccare, rimettere in circolazione questa ricchezza che stagna. Bisogna insomma pagare sin dalle prime scadenze dei buoni novennali: cominciare a pagare effettivamente, tangibilmente il debito pubblico.
Camerati, signori, questa è la politica che il Governo fascista intende attuare e attuerà per facilitare l'ulteriore progresso dell'economia italiana, per agevolare il vostro stesso cómpito. Il regime corporativo è in atto, non solo da oggi, e ha superato le prove di questi ultimi anni. Ha dimostrato la sua utilità e la sua fecondità, specie nei tempi duri che abbiamo attraversato.
Mettetevi al lavoro, in questo nuovo istituto, nuovo nell'Italia e nel mondo, con alto senso di responsabilità, con visione non unilaterale ma globale dei problemi che saranno sottoposti al vostro esame, con spirito di schietta, moderna, fascistica collaborazione, e il Consiglio Nazionale delle Corporazioni risponderà agli obbiettivi per cui fu creato: aumentare la potenza e il benessere del popolo italiano.