Saturday, 3 March 2012

Discorso alla Camera, 10 dicembre 1925

L'articolo 13 della legge sui rapporti collettivi di lavoro

di Benito Mussolini

Credo che anche in questa circostanza il mio discorso sarà un fatto, cioè un peso che io getto sulla bilancia dopo una lunga e severa meditazione. Questo articolo 13 è veramente quello che si potrebbe definire prendendo un termine caro al mio amico Paolo Orano, il punto cruciale di questa legge.

Ma prima di procedere innanzi nella mia argomentazione, che sarà dalle premesse alle conclusioni rigorosamente logica, io voglio definire ancora una volta il carattere del nostro sindacalismo.

Il nostro differisce dal sindacalismo rosso per una ragione fondamentale, ed è questa: che non mira a colpire il diritto di proprietà. Quando il datore di lavoro si trova di fronte al sindacato rosso, ha di fronte un sindacato che fa la lotta per l'aumento del salario in maniera contingente, mentre il suo fine mediato, lontano, è il capovolgimento della situazione, cioè l'abolizione del diritto di proprietà.

Ci sarebbe molto da discutere su questa proposizione « diritto di proprietà »; ma non è questo il caso. Comunque il nostro sindacalismo è sindacalismo selettivo, è un sindacalismo che vuol migliorare le condizioni delle categorie e delle classi che sotto i suoi gagliardetti si raccolgono e non ha finalismi: non ne può, non ne deve avere.

Il nostro sindacalismo è collaborazionista in questi tempi del processo produttivo: è collaborazionista nel primo tempo, quando si tratta di produrre la ricchezza, è collaborazionista in un secondo tempo, quando si tratta di potenziare questa ricchezza; può non essere collaborazionista nel terzo tempo, quando si tratta della ripartizione dei profitti conseguiti. Ma anche allora, se la buona fede delle due parti esiste, si verifica il collaborazionismo, cioè la transazione che ristabilisce quell'equilibrio che per un momento era stato turbato.

Del resto nessun sindacalismo è finalista, nemmeno in quei paesi lontani dove si crede che si sia realizzato il paradiso degli operai. Fu domandato ad un operaio della Nuova Zelanda quale fosse il suo programma ed egli rispose: il mio programma è semplice, dieci scellini al giorno! Sono piuttosto i partiti e le loro ideologie che hanno appiccicato a questo movimento delle finalità che evidentemente lo trascendono.

Questa legge, che è veramente fondamentale, considera due economie, l'economia industriale e l'economia agraria.

E, in questa considerazione, le due economie procedono su due linee parallele. Ad un certo punto l'economia agraria arriva sino alla magistratura obbligatoria, cioè all'obbligo. L'economia industriale si ferma invece al piano della semplice facoltà.

Io penso che una legge così fatta rimane mutilata; penso, che, o si fa un passo innanzi con l'economia industriale, o si fa un passo indietro con l'economia rurale. Insomma, o la facoltà o l'obbligo per entrambe. Anche perché io penso che non ci sia una netta separazione fra le due economie, se è vero, come è vero, che l'agricoltura si industrializza, se è vero che dai prodotti della terra traggono la materia prima talune delle più grandi industrie del nostro Paese, le tessili e le chimiche.

Perfino quelle caste vaccine, di cui parlava ieri sera il mio amico Barbiellini, nel suo discorso rorido di profumi agresti, perfino quelle dànno luogo ad una industria di grande portata, l'industria del caseificio. Così la vigna dà luogo all'industria enologica, e successivamente.

Io credo che si debba invece arrivare ad una concezione unitaria dell'economia nazionale. È certamente una iattura il grano che resta, o che restava, non mietuto nei campi, ma talvolta uno sciopero che interrompe la produzione in momento delicato in cui si disfrena la concorrenza internazionale può dar luogo a conseguenze ancora maggiori.

Bisogna avere il coraggio di inoltrarsi anche in questo che si vuol far credere un campo inesplorato e pieno di imprevisti. Non ci sono i leoni, e del resto i leoni sono delle sedicenti belve!

Il secolo liberale non ha riconosciuto il diritto di coalizione e di sciopero, se non molto tardi. LInghilterra lo ha riconosciuto nel 1825, la Francia nel 1864, il Belgio nel 1866, l'Italia nel 1900. Ma appena riconosciuto il diritto di coalizione e di sciopero, si è subito intravista la necessità di regolare questo che è un atto di guerra fra le classi. E tutta la legislazione si è posta su questo terreno.

Anche negli Stati Uniti ed in parecchi Stati della Confederazione esistono delle forme di arbitrato volontario o forzoso. Non si giunge in qualcuna di queste legislazioni all'arbitrato obbligatorio, ma si impone l'inchiesta obbligatoria, il che poi determina, sotto una forma indiretta, una soluzione obbligatoria ispirata al disposto della sentenza.

Esiste nella legislazione federale degli Stati Uniti, fin dal 1888, una legge per la quale il Presidente degli Stati Uniti può nominare due Commissioni che insieme al Commissario generale del lavoro esaminano la controversia, la quale per essere di competenza degli Stati Uniti naturalmente deve essere di natura interstatale.

Ma più innanzi si è andati nella Nuova Zelanda, con la legge votata nel 1894, secondo la quale lo sciopero e la serrata sono proibiti. Ogni controversia è portata dinanzi al tribunale di conciliazione di prima istanza e alle corti di arbitrato nella seconda, e queste corti giudicano senza appello.

Tutti gli Stati dell'Australia hanno seguito l'arbitrato obbligatorio. Nel 1910 il Kansas, uno Stato della Confederazione degli Stati Uniti, accettò l'identica legislazione, su richiesta degli industriali, i quali avendo avuto 705 scioperi in tre anni, ne avevano evidentemente abbastanza.

Importante è anche la legge romena del 1920 che proibisce qualsiasi sospensione di lavoro che abbia origine diversa dalle condizioni stesse del lavoro. Distingue le industrie in due categorie: quelle di utilità pubblica e le private. Per le prime vige l'arbitrato obbligatorio, per le seconde è prescritto il tentativo di conciliazione obbligatoria.

Si comprende perfettamente che la legislazione di molti paesi si sia industriata di ridurre il numero degli scioperi e di cercare di concluderli nella maniera più soddisfacente e nel termine di tempo più breve possibile.

Secondo taluni calcoli, nei cinque anni che vanno dal 1920 al 1925, si sono perdute 200 milioni di giornate di lavoro nel continente europeo e negli Stati Uniti. La ricchezza dispersa in seguito a ciò è valutata a 400 milioni di sterline.

In tempi in cui lo sciopero aveva assunto la forma di una vera mania, un operaio autentico, membro del Comitato centrale, certo Alan, dichiarava che gli scioperi non rappresentavano che un gaspillage di ricchezza per gli operai ed i padroni; ma più innanzi andava la lega dei muratori di Portsmouth, la quale pretendeva che dal vocabolario della lingua inglese fosse soppressa la parola sciopero, cioè « strike ».

C'è una legislazione in questa materia che interessa in particolar modo dal punto di vista della nostra posizione politica ed è la legislazione russa, la legislazione dei Soviety, per intenderci.

Apro una piccola parentesi.

Accade talvolta che si rimproveri al Fascismo di modificare la legge, di torturare la legge, e di avere qualche volta delle incertezze nell'applicazione della medesima.

Ora bisogna distinguere le leggi: vi sono le leggi di natura morale che sono veramente immutabili: credo che il Decalogo, quello di Mosè, per intenderci, sia definitivo in materia; ma vi sono le leggi che interessano l'economia, che interessano la vita dei popoli, che interessano i rapporti degli individui, dei gruppi e delle collettività tra i popoli che non possono essere né eterne, né 'immutabili, né perfette.

Pensate che i Soviety nel solo anno 1922, per regolare la materia delle controversie collettive, hanno preso questa serie di provvedimenti che io vi infliggo, perché vi convinciate della verità del mio asserto: regolamento del 18 gennaio 1922 sugli organi delle controversie; circolare della commissione centrale delle controversie del 24 maggio 1922 sulla competenza delle commissioni del lavoro; decreto del consiglio dei commissari del popolo del 18 luglio 1922; circolare del commissariato del lavoro sulla competenza della commissione di controversie; circolare del consiglio centrale panrusso dei sindacati, del 21 agosto 1922; istruzione del commissariato del lavoro del 29 agosto 1922; ordine speciale del consiglio supremo dell'economia nazionale del 2 settembre 1922; decreto del commissariato del lavoro del 7 settembre 1922; circolare del commissariato del lavoro del 13 settembre 1922; circolare del commissariato del lavoro del 20 settembre 1922 sulle organizzazioni degli organi locali del commissariato del lavoro; circolare del commissariato del lavoro 28 settembre 1922 sui metodi di conciliazione delle controversie; decreto del consiglio dei commissari del popolo del 4 ottobre 1922 sugli organi delle controversie nei trasporti; decreto del commissariato del lavoro del 13 ottobre 1922 sulle commissioni paritarie... Vi faccio grazia del resto!

Sono 28, fra decreti, disposizioni e circolari, emanati in un anno solo, per questa sola materia!

Distinguiamo in quella che è la legislazione della Repubblica russa due grandi periodi: il primo periodo va dal 1917 al 1921; è un periodo nel quale si è imposta alla nazione russa la camicia di forza del comunismo militare e militante.

Gli operai sono dei soldati e quindi sottoposti alla disciplina dei soldati ed hanno un salario fissato dal Governo così come i soldati hanno una cinquina fissata dal Governo, hanno cioè non dei contratti collettivi, ma un regolamento vero e proprio di disciplina. Tutti anche in questo primo periodo del comunismo militare e militante avevano anche l'obbligo di lavorare e quindi la assenza dalle officine era considerata come una diserzione vera e propria. Sorgono le commissioni paritarie nel seno delle intraprese perché evidentemente dei conflitti di interpretazione si manifestavano.

Quando è che la legislazione russa prende un atteggiamento definito in materia?

È al quinto congresso panrusso dei sindacati professionali che si tenne a Mosca dal 17 al 22 settembre 1922. Si stabilì che i conflitti futuri - diceva l'ordine del giorno - devono essere portati anzitutto avanti le commissioni paritetiche; se avanti queste commissioni l'accordo non è realizzato, dovranno essere portati avanti agli organi ufficiali dei conflitti (camere di conciliazione e tribunali di arbitrato).

Conformandosi, poi, a questa risoluzione del quinto congresso dei sindacati, il nuovo codice del lavoro russo, entrato in vigore il 15 novembre 1922, elenca come organi di conciliazione: le commissioni paritetiche, le camere di conciliazione e i tribunali di arbitrato.

In Russia esiste - o esisteva, perché anche là si cammina molto rapidamente - una doppia giurisdizione; da una parte commissione paritetica, camera di conciliazione e tribunale di arbitrato, e dall'altra parte le sezioni del commissariato del lavoro. La prima giurisdizione esamina le questioni di interesse, la seconda giurisdizione quelle di diritto, cioè la seconda giurisdizione giudica sulle questioni che possono sorgere dalla più o meno esatta interpretazione della legislazione sociale dello Stato russo, la prima giurisdizione - invece - si occupa delle controversie, che possono sorgere in tema di contratti collettivi del lavoro.

E queste controversie sono sorte quando nel 1921 Lenin introdusse la « nep » cioè la nuova economia politica, con la quale demoliva tutto quello che era stato la superstruttura e la bardatura del comunismo militare e dava un respiro nuovo alla economia del popolo russo. L'arbitrato è facoltativo o obbligatorio in Russia? Questo è un punto molto interessante, ed è singolare quel che sto per dirvi in questo momento. In Russia l'arbitrato non è obbligatorio. Difatti, nella seconda assemblea tenutasi nel febbraio del 1922, il principio dell'arbitrato obbligatorio fu respinto, ma sapete perché? È molto importante che io ve lo dica: fu respinto prima di tutto perché era necessario attirare il capitale privato, in seguito perché poteva essere pericoloso rendere lo Stato responsabile del risultato di ogni controversia.

Tuttavia l'arbitrato obbligatorio nelle controversie che sorgono fra capitale e lavoro in Russia - perché dovete sapere che in Russia c'è capitale e lavoro, cioè vi sono dei salariatori e dei salariati - tuttavia - dicevo - viene imposto in questi casi: quando in una impresa le due parti non riescono a raggiungere l'accordo a proposito del super-arbitro; allorquando le controversie scoppiano nella piccola industria o nelle industrie a domicilio e quando non vi sia in esse contratto collettivo; finalmente, quando le controversie siano di una natura così grave, da causare un danno agli interessi economici dello Stato.

A questo punto qualcuno di voi mi dirà: « Ma allora noi andiamo più innanzi di loro. Essi si fermano all'arbitrato facoltativo, noi andiamo all'arbitrato obbligatorio, alla magistratura del lavoro anche nelle industrie ». Ma voi avete visto la ragione che ha consigliato i Soviety a mollare su questo punto del loro programma. Lo hanno fatto per non spaventare il capitale privato perché se il capitale privato che era già stato scotiatissimo e bruciatissimo durante il periodo del comunismo militante, avesse avuto prospettive ancora dure ed incerte non sarebbe andato in Russia e la nuova politica economica instaurata con molta intelligenza e con molto senso di realtà da Lenin si sarebbe conclusa con un clamoroso fallimento.

Quali atteggiamenti prendono le parti su questo argomento nel mondo? In genere l'arbitrato obbligatorio incontra delle opposizioni tanto da una parte quanto dall'altra, tanto dalla parte dei padroni quanto da quella degli operai.

Ma vediamo un poco i risultati che la politica di conciliazione ha ottenuto là dove è stata applicata. Negli Stati Uniti nel periodo compreso tra il 4 marzo 1913 e il 30 giugno 1923 (cioè si esamina qui un periodo di tempo di dieci anni) vi furono 5300 conflitti collettivi e ben 4186 furono regolati dai differenti organismi di conciliazione e di arbitrato che funzionano in quel paese.

In Inghilterra, dove esistono magistrature non così precise come quella che stiamo creando ma esistono forme d'intervento dello Stato nelle controversie del lavoro, i ricorsi alla conciliazione in conformità della legge 1895 sono andati gradualmente aumentando. In Francia la conciliazione è facoltativa in virtù della legge del 1892.

Su 18.245 scioperi che furono dichiarati dal 1893 al 1914, il 21 per cento furono sottoposti volontariamente dagli interessati alla procedura prevista dalla legge. Su questi, 1727 scioperi finirono grazie alle disposizioni legali.

Interessanti anche sono i dati che si riferiscono all'applicazione della legge romena. Prima della legge ci furono 753 scioperi, nel 1920; nel successivo anno gli scioperi diminuirono a 87; il numero delle controversie che attraverso la legge furono sistemate fu di 123 nel 1920; 635 nel 1921; 1122 pel 1922.

Un uomo di Stato romeno così commenta i risultati di questa legge:
« Si può concludere che la legge del 1920 contribuì in moltissima parte a diminuire le giornate perdute nelle controversie del lavoro, il che ha avuto una felice ripercussione nella produzione nazionale per il paese non ancora sviluppato dal punto di vista industriale. Un milione e mezzo di giornate di lavoro perdute sono state invece economizzate ed è stato questo un grande vantaggio per la vita operaia e per la economia generale della Romania ».
I risultati dunque sono soddisfacenti ovunque e permettono di andare verso l'avvenire con sufficiente tranquillità. 

Vi è qualcheduno che teme che gli operai domani faranno la corsa alla magistratura. 

Ed io sono d'opinione piuttosto contraria. Credo che creandosi la esistenza di questa magistratura, si farà tutto il possibile in sede di conciliazione amichevole per evitare il suo responso. 

Basterà del resto che una o l'altra parte abbia una volta tanto un giudizio sfavorevole perché sia resa subito più guardinga nel futuro. Ma poi vi prego di considerare una cosa, onorevoli colleghi, che in questo articolo 13 la magistratura del lavoro non si evita in nessun modo. È veramente il caso di paragonarla al diavolo che scacciato dalla porta rientra dalla finestra. Si dice nell'ultimo capoverso di questo articolo 13: « Per adire la magistratura del lavoro nelle controversie che riguardano l'industria occorre il consenso di ambedue le parti ». 

Che cosa va ad accadere? Che se una delle due parti si pronunzia per il ricorso alla magistratura, immediatamente la seconda parte si affretterà ad imitarla perché nessuno vorrà mettersi in posizione di far credere che ha torto semplicemente perché non adisce la magistratura. Se così stanno le cose è molto meglio dare a questo problema una soluzione totalitaria, di osare, anche perché questo Governo ha dimostrato di avere il coraggio di andare innanzi, di fermarsi, di retrocedere. Nella politica qualche volta bisogna anche incassare come sul ring. 

L'essenziale è di non andare knock-out e non ci andremo. 

Gli esitanti devono anche considerare che discutendo di questo ordinamento bisogna tener conto del regime e del Governo. Le corporazioni sono fasciste in quanto vogliono portare il nome di fasciste e agire all'ombra del littorio; devono controllare la loro azione e non fare nulla che possa diminuire la efficienza produttiva della Nazione o creare difficoltà al Governo. 

Oltre quindi all'opera di controllo che le corporazioni fasciste faranno a se stesse, c'è anche l'opera di controllo sovrana del Governo. Che cosa si è fatto durante questi tre anni di pratica sindacale? Io non sono il segretario delle corporazioni, ma non c'è stata grande questione sindacale nell'industria e nel commercio - quando si trattava della legge sull'impiego privato - nella navigazione - quando si trattava del contratto dei marittimi -, dico, non c'è stata nessuna questione di interessi sindacali di grande portata che io non abbia esaminata e qualche volta risolta. 

Così stando le cose, io credo che la Confederazione dell'industria possa fare il passo innanzi e lo farà anche perché credo fermamente che i vantaggi saranno di gran lunga superiori agli inconvenienti. 

Onorevoli colleghi, prima di finire voglio dirvi e spiegarvi perché io sono arrivato a questa conclusione. Sono arrivato a questa conclusione partendo da un punto di vista che è fondamentale tutte le volte che io intraprendo ad esaminare la situazione italiana. 

Io considero la Nazione italiana in istato permanente di guerra. 

Già dissi e ripeto che i prossimi cinque o dieci anni sono decisivi per il destino della nostra gente.
 
Sono decisivi perché la lotta internazionale si è scatenata e si scatenerà sempre di più e non è permesso a noi che siamo venuti un poco in ritardo sulla scena del mondo di disperdere le nostre energie. 

Come durante la guerra combattuta al fronte non si ammettevano controversie nelle officine e vi erano degli organismi di conciliazione che le superavano ed i risultati furono soddisfacenti perché non ci furono mai sospensioni di lavoro, così oggi attraverso queste organizzazioni noi realizziamo il massimo della efficienza produttiva della Nazione. 

Vi dicevo che i prossimi dieci anni saranno decisivi e lo ripeto. Bisogna intendersi: le Nazioni come gli individui possono vivere o vegetare. 

Credo che noi, in ogni caso, potremmo vegetare anche se per avventura dovessimo diventare colonia di paesi che sarebbero arrivati al traguardo prima di noi e ai quali noi probabilmente dovremmo mandare il nostro di più di materiale umano. Questo io chiamo vegetare. 

Vivere invece per me è un'altra cosa. Vivere per me è la lotta, il rischio, la tenacia. 

Vivere per me è il non rassegnarsi al destino, nemmeno a quello che ormai è diventato luogo comune, la cosiddetta deficienza di materie prime. Si può vincere anche questa deficienza con altre materie prime. 

Comunque, vi prego di considerare, valutando il voto che dovrete dare a questo articolo, che questa legge nasce in una determinata atmosfera politica e morale; è il prodotto di un determinato regime. Non ci sono pericoli sino a quando questo regime sia imbattibile e sino a quando questa atmosfera morale in cui la nazione respira non sia modificata. 

Ma questo regime politico e questa atmosfera sono nel calcolo delle previsioni umane immodificabili. 

Su questa certezza è basata la nostra fiducia in questa legge.