di Benito Mussolini
La mia risposta agli onorevoli camerati interroganti giunge un poco in ritardo per le seguenti ragioni: anzitutto ho voluto leggere nel testo stenografico i discorsi pronunciati al Consiglio nazionale austriaco. In secondo luogo, attraverso un colloquio col nostro ministro a Vienna, ho voluto notizie suppletive sull'ambiente, i precedenti e le ripercussioni dei discorsi. In terzo, e non ultimo luogo, ho voluto che un sufficiente intervallo di tempo togliesse all'incidente l'alone di una eccessiva drammaticità. Annibale non è alle porte. E nemmeno monsignor Seipel! (Viva ilarità).
L'Italia è, oggi, un grande Stato politicamente unitario, unicamente omogeneo, moralmente compatto, splendidamente ordinato come nessun altro in Europa. (Applausi). L'Italia è oggi un grande popolo di oltre cinquanta milioni di uminini dei quali quasi quarantadue vivono nella penisola. Questi uomini temprati dal Fascismo hanno i nervi saldi e la parola breve e sanno tener duro. L'Austria è quello che è.
Mi sono domandato persino se valesse la pena di rispondere, e certo, se nella discussione non fosse intervenuto il Cancelliere, cioè il Capo del Governo austriaco, uomo per molti aspetti eminente, io avrei lasciato perdere e non avrei rilevato l'esercitazione verbale antitaliana e antifascista del Consiglio nazionale austriaco. (Approvazioni).
Parlerò, dunque, con la massima calma, ma senza equivoci, cioè nettamente, more nostro. Aggiungo subito che questa è l'ultima volta in cui parlerò su questo tema. Alla prossima farò parlare i fatti.
È un capitolo di storia che io scrivo, non per gli italiani, che tale storia conoscono, ma per il mondo che la ignora, l'ha dimenticata. Io intendo dimostrare, e dimostrerò, che la manifestazione austriaca non è giustificata, ed in ciò stesso è provocatoria. Non è minimamente giustificata dalla politica generale seguita dall'Italia dal 1918 al 1928 nei confronti della Repubblica austriaca, non è giustificata dalla politica che il Governo fascista ha svolto nella provincia di Bolzano la quale, essendo una delle novantadue provincie del Regno, è trattata dal Governo fascista alla stregua di tutte le altre, con la stessa parità di diritti, con la stessa parità di doveri.
Se oggi io ricordo le molte prove di amicizia fornite dall'Italia all'Austria, dall'armistizio ad oggi, non lo faccio per rimproverare all'Austria la sua ingratitudine. Noi siamo abbastanza signori per conoscere il sommo pregio della discrezione. Lo faccio perché il mondo sia documentato una volta per sempre. (Approvazioni).
La nostra amicizia verso l'Austria si è svolta, durante dieci anni, su tre direttrici. La prima ha avuto manifestazioni di carattere, diremo così, sociale ed umanitario. In seguito si è aperto il non ancora concluso periodo degli aiuti finanziari resi possibili dalle rinuncie dell'Italia. C'è stato, poi, un intermezzo di natura squisitamente politica durante il quale l'appoggio disinteressato dell'Italia ha giovato grandemente all'Austria.
È su quest'ultimo punto che intendo soffermarmi. In base all'art. 49 del Trattato di San Germano doveva essere indetto un plebiscito nella zona di Klagenfurt. Tale plebiscito si svolse nell'ottobre del 1920, sotto la presidenza di un Principe italiano, don Livio Borghese. A un certo momento le minacce di elementi più o meno regolari jugoslavi divennero pressanti. L'Austria chiese aiuto all'Italia, come è documentato dal seguente telegramma spedito dal marchese della Torretta:
« Questo Ministero degli Esteri (austriaco) mi comunica di urgenza che da informazioni precise gli risulta che nuovi battaglioni di fanteria e altra artiglieria sono stati inviati da jugoslavi in prossimità di Assling. In tali condizioni, il Governo austriaco insiste vivamente perché ritiro nostre truppe sia ritardato ».Il che fu fatto. L'esito del plebiscito fu favorevole all'Austria. In data 14 ottobre 1920, il marchese della Torretta così telegrafava:
« Signor Renner (allora cancelliere) nel comunicargli esito plebiscito mi prega di far pervenire regio governo espressione di riconoscenza per l'appoggio prestato, che ha tutelato la libertà di voto, ecc. ».Un anno dopo venne sul tappeto la questione del Burgenland. Dopo l'accordo di Venezia, il cancelliere Schober così telegrafava all'on. Ministro degli Esteri del tempo:
« Lasciando il suolo d'Italia, mi è grato ripetere a V. E. i miei sinceri ringraziamenti, ecc. ecc. ».L'avvento del Regime fascista non ha modificato questa linea di condotte, di disinteressata amicizia verso l'Austria. La cronistoria di questi sei anni sarebbe troppo lunga. Dirò soltanto che non più tardi di due settimane fa il ministro austriaco a Roma mi veniva a ringraziare ancora una volta, in nome di monsignor Seipel, dell'atteggiamento estremamente favorevole tenuto dall'Italia in due questioni che interessano particolarmente l'Austria: il controllo militare, il nostro prestito di ricostruzione. Può darsi che nelle more necessarie al perfezionamento del nuovo prestito austriaco l'Italia faccia attendere la sua indispensabile definitiva adesione.
Dopo dieci anni di questa politica, che si è talora concretata in accordi veri e propri, ci troviamo di fronte ad una manifestazione che gli onorevoli interroganti hanno definito come un « intollerabile intervento nella legislazione interna del nostro Stato ». Difatti una questione internazionale per la piccola minoranza allogena dell'Alto Adige non esiste. Essa minoranza è, intanto, assolutamente trascurabile di fronte a una massa compatta di quarantadue milioni di italiani del Regno. Ed è trascurabile anche di fronte ai molti milioni di tedeschi passati ad altri Stati. Se tale questione esistesse, si troverebbe in qualche trattato di pace o convenzione diplomatica. Nessuna traccia di ciò. Tutti gli sforzi per creare ciò che non esiste, sono quindi perfettamente inutili ed assurdi. È dar di cozzo nel macigno.
Gli oratori austriaci affermano che esistono delle promesse, delle assicurazioni da parte di Governi antecedenti al Governo fascista. Non lo escludo. Ma può anche darsi che coloro che le fecero, si siano pentiti in seguito, di fronte alla tracotante interpretazione di certe promesse. (Vive approvazioni).
Comunque, il Governo fascista, se pure ha dimostrato di rispettare e seguire scrupolosamente i trattati, non si ritiene minimamente impegnato da assicurazioni più o meno vaghe e verbali di uomini rappresentanti sistemi e governi che la Rivoluzione fascista ha inesorabilmente superato. (Vivissimi, prolungati applausi).
Comprendendo che sul terreno diplomatico non è possibile entrare, e lo stesso mores. Seipel vi si è rifiutato, si tenta di portare la questione sul terreno politico sentimentale e si parla di sistemi di tirannia, di fratelli torturati, di gente sgozzata dalla barbara dittatura fascista. Tutto ciò, prima di essere falso, è superlativamente ridicolo. Noi non siamo gli allievi dell'Austria (vivissime, prolungate acclamazioni), che durante un secolo popolò di carnefici le contrade di mezza Europa (vivissime approvazioni), riempi di martiri le prigioni, rizzò ininterrottamente le forche. (Vivissimi applausi).
Le atrocità fasciste sono una invenzione di cattive fantasie. Di due allogeni soli, mandati al confino, uno fu quasi immediatamente liberato; l'altro ha avuto una riduzione di pena, e sarebbe stato liberato, se non ci fosse stata una campagna all'estero. Uno Stato che si rispetti non tollera simili interventi stranieri. (Applausi). Il democratico repubblicano Fuller, governatore del Massachusetts degli Stati Uniti d'America ci ha fornito in proposito un clamoroso esempio. (Applausi).
Gli individui di cui parlo non furono mandati al confino perché tedeschi, ma perché antifascisti cioè controrivoluzionari. I documenti della barbarie fascista a ciò si riducono. Nient'altro. Lo stesso Kolb ha parlato vagamente di una « pressione » senza specificare. Ma anche questa pressione contro la lingua, il costume, le tradizioni locali, non esiste. Sta di fatto che a tutt'oggi, dopo sei anni di Regime fascista, si stampano ben quindici giornali in lingua tedesca nella provincia di Bolzano, giornali politici, economici, religiosi, letterari, scolastici. Poiché la nostra grande longanimità è stata male interpretata, do l'ultimo avvertimento: continuando la campagna aniitaliana di oltre Brennero, il destino di tutte queste pubblicazioni in lingua straniera sarà segnato: verranno soppresse. (Vivissimi applausi).
Per quanto concerne le « pressioni » sugli allogeni è opportuno sapere e far sapere che ben trecentosettantasei sono ancora gli impiegati alloglotti nella città di Bolzano e seicentosessantaquattro nella provincia. Poiché tutto ciò non viene apprezzato, tutti questi elementi saranno posti prossimamente al bivio: o trasferimento in altre provincie del Regno od esonerati e sostituiti. (Vivissimi applausi).
Affermo con tranquilla coscienza che nessun atto di persecuzione è stato compiuto contro gli alloglotti della provincia di Bolzano, anche perché quella popolazione, prevalentemente rurale, è calma, disciplinata, accetta il Regime, non ascolta le vociferazioni d'oltre Brennero, e chiede soltanto di essere lasciata tranquilla. Il recente assolutamente spontaneo telegramma di cinquanta albergatori della provincia di Bolzano diretto ai giornali viennesi per smentire le menzogne, è la prova di quanto affermo. Così come i telegrammi da Bressanone, da Brunico, e il voto delle Camicie Nere allogene della Legione altoatesina.
Gli elementi alloglotti dell'Alto Adige non possono sentirsi estranei all'organismo italiano, perché hanno parità di diritti con tutti gli altri cittadini nella grande organizzazione sindacale corporativa dello Stato. Dagli albergatori ai commercianti, dagli artigiani ai contadini, tutti partecipano alla vita delle grandi organizzazioni nazionali.
Il Regime fascista è andato verso queste popolazioni con animo fraterno. Un fatto tipico lo dimostra: i mutilati ed invalidi di guerra dell'ex-Esercito austriaco sono membri della nostra stessa organizzazione nazionale ed hanno pensione di guerra uguale a quella dei mutilati ed invalidi appartenenti all'Esercito italiano. Lo stesso trattamento di parità lo abbiamo applicato agli orfani di guerra ex-austriaci.
Non è questo un atto profondamente cristiano? O cristiano-sociale d'oltre Brennero? È questa la barbarie fascista? O consiste nel fallo di avere, secondo i principi della nostra Rivoluzione, soppresso anche nella provincia di Bolzano i consigli comunali, come è avvenuto nelle altre novantuna provincie del Regno? O nel fatto di aver portato duecento bambini poveri di famiglie tedesche a fortificare la loro salute sulle sponde del Tirreno?
Che non esista una pressione del Governo fascista lo dimostrano in maniera luminosa le cifre seguenti: gli asili infantili italiani sono cinquantacinque e sono frequentati da circa tremilacinquecento bambini. Le scuole elementari italiane hanno settecentottanta classi, frequentate da circa quindicimiladuecento bambini. Le scuole medie e superiori italiane; che sono dodici pubbliche e sette private, sono frequentate da milleottoceniocinquanta scolari. Ma v'è una cifra ancora più significativa. I corsi di italiano per uomini adulti sono ben centonovantatre con oltre tremilaottocentotrentacinque frequentatori, i quali con una volontà simpatica e lodevole sentono il bisogno, essendo ormai diventati irrevocabilmente cittadini italiani, di imparare la lingua della loro nuova Patria. Si può affermare che le nuove generazioni della provincia di Bolzano comprendono e parlano italiano.
A questo punto taluno può chiedere: Se mancano ragioni d'ordine internazionale 'e motivi d'ordine particolare, come si spiega questa improvvisa manifestazione del Consiglio nazionale austriaco e del Cancelliere Seipel? Anzitutto non è improvvisa, ma è il momento culminante di una campagna che dura da anni, dalla fine della guerra, e si è accentuata da quando fu creata la provincia di Bolzano. La verità è che il germanesimo grida perché sente che davanti alla volontà fredda e al sistematismo tenace dell'Italia fascista la partita è perduta. (Applausi).
Già voci germaniche di autorevoli scrittori e giornalisti giungono pubblicamente a questa constatazione. Un popolo che aumenta e che cresce, satura facilmente le sue Zone di frontiera.
Qui, conviene di proclamare che l'Italia non è andata a prendere, bensì a portare un contributo possente di civiltà nella provincia di Bolzano. L'Italia vi ha intrapreso lavori giganteschi, vi ha profuso milioni a centinaia. È l'Italia che sta procedendo alla elettrificazione della Bolzano-Brennero con grande vantaggio del traffico internazionale. Per l'energia elettrica necessaria sono in costruzione due impianti: l'uno di quaranta, l'altro di duecentosettanta, dico duecentosetianta mila cavalli, dei quali centonovantacinque mila potranno essere utilizzati dall'industria privata; spesa totale: trecento milioni, operai impiegati cinquemila. È curioso che durante i lavori furono trovate monete romane dei primi secoli dell'Impero. È in Regime fascista che è stato costruito il colossale stabilimento della Montecatini presso Merano, i cui prodotti azotati giungono sino alle Indie e al Giappone. È l'Italia fascista che ha iniziato la bonifica della Val d'Adige e vi ha portato i primi nuclei di coloni delle vecchie provincie. È il Regime fascista che, non più tardi di due mesi fa, ha erogato undici milioni alle casse rurali della provincia, salvando migliaia di contadini tedeschi dalla miseria. È il Regime fascista che ha, con opportuni anticipi, salvato la Cassa di risparmio di Merano. Altri milioni vengono spesi per i boschi, per le strade, per i fiumi.
Questa intensa e civile attività dell'Italia ha la sua maggiore manifestazione a Bolzano, dove si stanno cosiruendo il palazzo del Governo, imponenti gruppi di case per i dipendenti dello Stato, un padiglione dell'ospedale civile, la nuova stazione, un asilo infantile, la caserma dei carabinieri, la Casa dei Balilla, un edificio scolastico e il monumento della Vittoria, che sarà inaugurato con la più grande solennità il 24 maggio. (Applausi).
La portata ideale e materiale di questa formidabile attività del Regime nella nuova provincia, è stata compresa oltre Brennero. Gli elementi estremi del pangermanesimo levano grida disperate, per galvanizzare una questione già finita. Si sente, oltre Brennero, che tra pochi anni nella provincia di Bolzano, i residui elementi di discendenza tedesca saranno fieri di essere cittadini della grande Patria fascista e solo saranno riconoscibili dalle desinenze dei nomi, se li avranno conservati. (Approvazioni).
Ciò accade perché è nell'ordine logico e fatale delle cose, ordine segnato dalle vette delle montagne, dal corso dei fiumi, dai vaticini di Dante e di Mazzini, dal sacrificio dei martiri antichi e recenti, dal sangue versato durante tre anni di guerra durissima da intere generazioni di italiani. (Vivissimi applausi).
Converrà, forse, ora, di ribattere talune delle molte insulsaggini stampate oltre Brennero in questi giorni? Che cosa importa a noi dei ludi cartacei che avranno luogo in altri Paesi? Il Fascismo non è un articolo di esportazione. Se l'Europa vuole sempre più gravemente infettarsi dei mali da cui noi siamo guariti, questo ci renderà più vigilanti nel difenderci dal più diffuso contagio con ogni arma. Società delle Nazioni? Ginevra? Vane speranze! Se il Consesso ginevrino si inoltrasse nel labirinto delle cosiddette minoranze, non ne uscirebbe più. (Vive approvazioni).
Gli stessi accusatori di oggi potrebbero essere trascinati, e giustamente, sul banco degli accusati. (Vivi applausi).
Ed allora? È tempo di dire, e sarà forse l'ultima volta, che ogni manifestazione d'oltre Brennero è inutile e dannosa. È tempo di dichiarare che i discorsi insolenti, le insinuazioni odiose, le .ingiurie volgari, non hanno che un risultato, quello di accelerare il « giro » della vite fascista (vivissime approvazioni), e l'altro di spalancare un abisso tra popoli vicini.
Ora, per quanto è in nostro potere, noi vogliamo essere amici del mondo germanico, del quale riconosciamo le qualità ed apprezziamo l'apporto dato alla civiltà umana, ma a condizione che la nostra sicurezza, cioè la sicurezza di quarantadue milioni di italiani, non sia posta mai nemmeno vagamente in questione. Che della nostra sicurezza si tratti e non già di questioni scolastiche è dimostrato da quanto accade oltre Brennero dopo la oramai famosa seduta del Consiglio nazionale. La campagna antitaliana continua in pieno. Per lunedì, 5, è indetto un comizio ad Innsbruck per proteslare contro le insolenze fasciste e la oppressione dei tedeschi. Il comizio è indetto dai socialisti, il che mostra che la questione dei tedeschi dell'Alto Adige non è che un pretesto per fare dell'antifascismo. Altro grande comizio indetto per il 6 a Vienna è stato faticosamente rinviato al 14. Un giornale tirolese scrive che « Non solo la oppressione dei tedeschi soggetti all'Italia, ma anche l'esistenza del confine al Brennero contraddice al naturale equilibrio dell'Europa centrale ». Più grave ancora è un discorso tenutosi l'altra sera al Consiglio comunale di Innsbruck, col quale si ammoniscono le future generazioni tedesche a « lottare perché il nord e sud Tirolo, da Kufstein a Salorno, sia nuovamente riunito insieme ».
Questa, al disopra delle tortuosità politiche, è brutale sincerità che stimiamo. Ma con altrettanta sincerità, noi, oggi, facciamo sapere ai tirolesi, agli austriaci, al mondo, che sul Brennero c'è in piedi, coi suoi vivi e coi suoi morti, tutta l'Italia!
(Vivissimi, prolungati, entusiastici applausi. Il Presidente, i ministri e tutti i deputati si alzano. Grida di: « Viva il Duce! ». Grande, prolungata, reiterata ovazione).