Saturday, 3 March 2012

Discorso di Bologna, 31 ottobre 1926

Al congresso delle scienze prima del quarto attentato

di Benito Mussolini

Signori!

Mi piace che il fremito formidabile di questa giornata bolognese, che io non dimenticherò mai, si plachi un poco in quest'aula. E trovo perfettamente logico che la mia giornata, che ha avuto inizio in una grande rassegna delle forze giovanili armate della Patria, si chiuda in questa riunione, destinata al Congresso della Società per il progresso delle scienze.

Quando mi fu porto l'invito, io era un poco esitante nell'accettarlo, perché mi sono domandato: Che cosa ho dato io personalmente alla scienza? Un bel nulla.

Che cosa ho dato, come Capo del Governo? Ancora molto poco.

Molto poco. La ricerca scientifica, in Italia, da dieci anni attraversa un periodo di stasi. Bisogna avere il coraggio di confessare che siamo in ritardo. La guerra anche qui ha determinato uno stato di sosta e di crisi. La guerra ci ha impoveriti. Invece la ricerca scientifica moderna richiede un impiego ingentissimo di mezzi. Non per niente io ho ordinato ad un chimico di fare uno studio che mi informi sullo stato dei laboratori dei gabinetti scientifici universitari, perché è mio avviso che esso sia, se non deplorevole, certamente arretrato. Basta pensare allo stato di certe cliniche moderne. Basta pensare che per la vetusta e gloriosa Padova ho dovuto fare uno stanziamento di fondi subitaneo per impedire che i chirurghi di tutto il mondo si trovassero a presenziare ad una operazione in una baracca di legno, per comprendere che il problema è veramente grave.

Debbo dirvi ancora, o signori, che io non ho mai varcato le soglie del tempio, abbastanza complicato, della scienza. Mi sono limitato al vestibolo.

Ho pensato spesso che l'origine delle ricerche scientifiche, sia, come opinava Aristotile, che a mio sommesso avviso, è il più grande scienziato dell'antichità, la curiosità dello spirito umano. « La filosofia - egli diceva - nacque dalla curiosità ». E notate che allora la scienza non aveva mezzi. Si procedeva per analogie; non solo, ma va ricordata una scuola filosofica greca, quella dei sofisti, che impugnava e irrideva a qualsiasi esperienza, negando la esistenza del fenomeno stesso. Ora, qualche volta mi sono posto dinanzi al fatto scienza, per vedere la mia posizione personale, la posizione del mio spirito di fronte a questo fatto: prima di tutto per definirlo. La mia definizione non dico che sia quella esatta, e potete anche respingerla, se la trovate inesatta, oppure insufficiente: credo che sia l'indagine e il controllo dei fenomeni che cadono sot la nostra sensibilità e sotto quella degli strumenti che noi possiamo adoperare. Naturalmente, un fenomeno che si ripete infinite volte può dar luogo alla legge, ma qualcuno si domanda se la legge più rigida, la legge di gravità, per esempio, non possa soffrire di eccezioni.

Dove può arrivare la scienza? Molto in là. Il secolo diciannovesimo ha fatto fare un balzo enorme alla scienza. Oggi la scienza è la nostra vita: dal telefono alla radio, dai cibi che mangiamo ai mezzi con i quali aumentiamo la fecondità della terra, la scienza è diventata una parte integrante, non solo del nostro spirito, ma della nostra attività. Io, come ministro della Guerra, della Marina, dell'Aviazione, ho molto bisogno della scienza. Bisogna che la scienza mi dica se ci sono dei gas ultravenefici, e soprattutto bisogna che mi dica che cosa si deve fare per gli altri gas. Voi avete visto quale sviluppo ha avuto la chimica nell'ultima guerra. Come ministro dell'Aviazione, la scienza mi pone di fronte a molti problemi, che sono legati per le leggi non tanto misteriose ai fenomeni fondamentali della vita fisica. Ho bisogno che la medicina, la chirurgia mettano a partito tutta quella che è stata la medicina e la chirurgia di guerra, di questo vasto materiale di esperienza guerresca.

Non c'è dubbio che la scienza tende al massimo fine; non vi è dubbio che la scienza, dopo aver studiato i fenomeni, cerca affannosamente di spiegarne il perché. Il mio sommesso avviso è questo: non ritengo che la scienza possa arrivare a spiegare il perché dei fenomeni, e quindi rimarrà sempre una zona di mistero, una parete chiusa. Lo spirito umano deve scrivere su questa parete una sola parola: « Dio ». Quindi a mio avviso, non può esistere un conflitto fra scienza e fede. Queste sono polemiche di venti o trenta anni fa; ma io credo che noi, di queste generazioni, siamo già al di là di queste cose. La scienza ha il suo campo, quello dell'esperienza; la fede ha l'altro campo, quello dello spirito. Qualcuno diceva: che cosa vale tutta la filosofia di questo mondo se non m'insegna a soffrire un male? Vi è una zona riservata, più che alla ricerca, alla meditazione dei supremi fini della vita. Quindi, la scienza parte dall'esperienza, ma sbocca fatalmente nella filosofia e, a mio avviso, solo la filosofia può illuminare la scienza e portarla sul terreno dell'idea universale.

Scusate la digressione. Dichiaro aperto il Congresso in nome di Sua Maestà il Re.