Agli allievi della Scuola di Mistica Fascista al Castello Sforzesco (La via trionfale da Augusto a Costantino)
di Alfredo Ildefonso Schuster
NEL BIMILLENARIO DI AUGUSTO
Comìncio questa mia dettatura con un ricordo di trentacinque anni fà.
Da giovanetto, sulla trabeazione d’una nobile casa romana sul Colle Esquilino, lessi un’iscrizione di cui conservo vivo il concetto, se non le precise parole:
La divina mente — era detto — ha scelto per l’Urbe il più idoneo luogo, perchè dai suoi sette colli essa estendesse il suo dominio su tutto quanto il mondo. La frase è di qualche autore classico, che non ho avuto agio di riscontrare. E’ notevole tuttavia, che la filosofia della storia abbia sospinto lo scrittore Romano sino ad una Divina Mens. Ebbene, noi oggi, dopo l’esperimento di ben 2000 anni dalla nascita di Augusto, e soprattutto, dopo la luce Evangelica che da Roma, mediante l’Opera del Pontificato, ha irradiato sul mondo, noi possiamo constatare, come lo scrittore classico della bella iscrizione del Colle Esquilino fosse perfettamente nel vero.
Quest’anno, per geniale iniziativa del Duce, Roma celebra il II millenario di Augusto. Questo rinnovato millenario ha un significato religioso assai profondo, non solo per l’Italia, ma per tutto il mondo civile, in quanto l’opera di Augusto nell’inaugurazione dell’impero universale, deve dirsi veramente provvidenziale.
Negli arcani consigli della Divina Mens, — come direbbe l’Epigrafista dell’Esquilino — o meglio, della Divina Provvidenza, come diciamo noi Cristiani, era disposto che runiversalità dell’Impero Romano fosse la condizione, o il clima storico più propizio, per la divina fondazione di un altro impero spirituale di verità e di bontà, che in Roma stessa doveva succedere ed allargare quello di Augusto. In grazia della Cattolica Chiesa, l’Impero Romano ancor oggi dopo due millenni dalla sua costituzione, non è finito, giacché la Divina Mens gli ha assicurato nel tempo e nello spazio i confini dell'eternità. Ecco il preciso e religioso significato del tìtolo classico di « Città Eterna » attribuito all’Urbe!
I VATI DELL’IMPERO
La teoria dei ricorsi storici ha qualche cosa di pericoloso, perchè pretendendo di ridurre la storia, che è vita, a delle tesi, che significano dei sistemi scolastici, si corre rischio di falsare i colori, affinchè un quadro rassomigli ad un’altro. Se non fosse cosí, io volentieri paragonerei la situazione di Roma alla morte di Giulio Cesare, alle condizioni disastrose d’Italia dopo Caporetto, coll’indebolimento dell’autorità statale di fronte ai partiti cozzanti fra di loro.
Ma come allora la Divina Mens inviò Ottaviano, cosí anche in Italia sorse l'Uomo provvidenziale di genio, il quale salvò lo Stato, fondò l’Impero e diede alle coscienze italiane la più perfetta unità nazionale in grazia della Pace Religiosa.
La società contemporanea ad Augusto ebbe come una vaga sensazione, che si maturava un periodo decisivo per le sorti, non soltanto di Roma, ma del mondo. Gli storici di quel tempo riferiscono di arcani vaticinii, che prevedevano una generale restaurazione dei valori spirituali, per opera d’un maestro che doveva giungere dal remoto Oriente.
Anzi, la vergine Musa di Virgilio dedicava la sua cetra a salutare addirittura una prole che doveva discendere dal cielo, e che doveva restaurare per Roma l’antica età dell’oro. Ottaviano finalmente viene acclamato: Imperator o Duce dell’esercito Romano.
Scelgo precisamente questa parola, e non pronunzio l’altra di padrone dell’Orbe, perchè falserebbe il concetto dell’Impero.
Infatti, sei secoli più tardi, un Papa, — S. Gregorio Magno — che però fu l’ultimo dei grandi ed autentici Romani, ricordava ancora ad un monarca bizantino: Questa è la differenza che corre tra l’imperatore Romano ed i Re dei barbari; che, mentre questi ultimi signoreggiano su d’una orda di schiavi, l’imperatore Romano comanda invece a dei liberi cittadini!
Per questo motivo Ottaviano Augusto, conservando intatte le antiche forme repubblicane, che oramai per lo Stato romano rappresentavano nulla più che una forma di funzionamento burocratico che non valeva la pena di abrogare, prese per sè il titolo di Duce, o di imperatore, col quale l’esercito vittorioso soleva salutare l’artefice di qualche insigne vittoria. Quella di Ottaviano aveva questo di speciale, d’aver restituito al mondo Romano l’unità e la pace.
L’ARA DELLA PACE
L’Ara pacis Augustae, quale ora viene restaurata presso i portici dell’antica via Flaminia, per me ha un significato analogo a quell’ara dedicata al Dio Ignoto che si ritrova anche sul Palatino o a quell’altra di cui discorse pure S. Paolo all’Areopago di Atene.
Augusto dovè come intravedere confusamente, ma indubbiamente, la Divina Mens ordinatrice di tutto quel succedersi di avvenimenti; e non sapendone ancora chiaramente il nome, in suo onore intitolò l’Ara alla Pace, da lui conseguita.
Ma qualche anno dopo, Dio rivelò ad Augusto anche il nome della Divinità ignota alla quale egli aveva dedicato la sua splendida ara; e fu quando l’Imperatore ordinò la pianta generale di tutto l’Impero, — Orbis Romanus pictus, — da esporre in Roma in un tempio, e quando sanci il censimento universale di tutti i sudditi dell’Impero.
Come narra il S. Vangelo, fu appunto in quella occasione che la Vergine Maria col suo sposo Giuseppe da Nazaret andarono a Betlemme a fare la loro dichiarazione di anagrafe, facendosi autenticamente riconoscere siccome discendenti e successori dalla regia stirpe di David. Appunto in quei giorni consegui il suo compimento il voto Virgiliano d’una celeste progenie, quando alla cetra del virgineo Vate Mantovano risposero di notte tempo anche quelle degli Angeli, che sulla grotta di Betlemme dove era nato l’uomo Dio, cantavano: Gloria a Dio nel più alto dei cieli; Pace in terra e benevolenza all’umanità.
II voto espresso dall’Ara Pacis Augustae, era finalmente compiuto. Pace e grazia universale, non già ad un solo popolo, ma all’umanità universale. Questa grazia e questa pace discendono dal cielo con Gesù Cristo e prendono possesso di Roma e dell’Ara eretta da Augusto.
SIMBOLO DI PACE
Narra una vecchia leggenda romana, che in quella notte del 25 dicembre (7-6), in cui nacque Gesù Cristo, in Trastevere sgorgò una copiosa sorgente di olio, che raccolta in un ruscello, scòrse sino al Tevere. Era un novello presagio di abbondanza e di pace. Sta di fatto, che più tardi l’imperatore Alessandro Severo volle che quel luogo, detto ancor oggi: Fons Olei, conservasse il suo carattere sacro, e come precisamente ci attesta Lanpridio scacciandone i tavernieri, permise che i Cristiani vi erigessero im luogo di preghiera.
NEL CLIMA SPIRITUALE DELL’IMPERO
Sono stati soprattutto gli antichi scrittori cristiani, Tertulliano, S. Leone Magno, San Agostino ecc., i quali hanno rilevato il Iato provvidenziale dell’unìlìcazione deirimpero per opera di Augusto, riconoscendovi siccome la condizione più propizia all’opera universale ed unificatrice della Chiesa Cattolica. « Perchè la Luce della Verità che doveva diffondersi nell’Orbe per la salvezza dei popoli, dal capo più efficacemente irradiasse su tutte le membra », fu scelta Roma per capntale dell’Apostolica Sede. Infatti, qual mai nazione non è rappresentata in Roma? In qual mai luogo del mondo non penetra la civiltà Romana?
Cosí appimto pensava di Roma quattro secoli dopo Augusto im altro papa, un autentico Romano, Leone Magno; quello precisamente che, a salvare l’Italia e l’Impero dagli Unni, ebbe il coraggio, solo ed inerme come era, di recarsi ad affrontare Attila ai piedi delle Alpi, per persuaderlo a tornarsene indietro. E ci riuscì col prestigio dell’Apostolica Sede e del successore di S. Pietro.
L’UNIVERSALISMO IMPERIALE ED IL CRISTIANESIMO
Ancor oggi la Chiesa nella liturgia Natalizia canta annualmente l’elogio di Ottaviano Augusto e dell’Ara Paeis quando, la vigilia di Natale, nel Martirologio annuncia che Gesù Cristo, figlio dì Dio — eccoci di bel nuovo alla Divina Mens — l’anno 749-750 della Fondazione dì Roma — nacque a Betlehem tato orbe in pace composito; dopo cioè che Augusto, vinta la battaglia di Azio, chiuse definitivamente le porte enee del tempio di Giano quadrifronte.
Come la nascita dì Gesù Cristo consacrò gli esordi del nuovo Impero assegnandogli il suo fatidico compito per la salvezza del mondo, — ecco il senso del: novus nascitur ordo di Virgilio Marone, — cosi il Sacrifìcio del Calvario consacrò l’Impero di Tiberio Cesare, erede e successore di Ottaviano.
Ben so che la leggenda ha stranamente deformato la storia di questo Augusto, attribuendogli meriti e colpe che non sono tutte sue.
Dal punto di vista politico, Tiberio non fece altro che sviluppare logicamente la idea di Augusto. L’urùtà del comando, egli pensava, è garanzia di solidità dell’Impero dì Roma; se il decrepito Senato, irrigidito entro vecchi schani, è di ostacolo a questo programma, senza punto provocare una rivoluzione costituzionale, si trasporti pure la residenza dell’Imperatore lontano dal Senato. Ecco precisamente lo scopo del ritiro di Capri; ecco il costante pensiero imperiale, quale tre secoli più tardi, per necessità politica e militare, creerà Costantinopoli, la novella Roma del Bosforo.
L’idea imiversalistica ha marciato, dal momento che anche il Como d’Oro è precisamente: Roma; null’altro che: rimperiale Roma. Infatti, durante tutto il Medio Evo, i Basilei di Bisanzio sì considereranno gli Imperatori Romani, i legittimi successori di Augusto.
In argomento di politica religiosa, anche Tiberio rivela delle occulte preoccupazioni mistiche, al pari di Ottaviano. La sua Corte, dicono gli storici, era frequentata da Orientali, da astrologi siri e da politicanti greci.
TIBERIO INNANZI AL CRISTO
Anzi, un’antica tradizione Cristiana affermata nel III secolo da Tertulliano nel suo Apologetico, — e che quindi difficilmente può essere da noi rigettata in blocco, giacche, prima di noi, lo avrebbero fatto i pagani, più vicini agli avvenimenti narrati, — riferisce che Ponzio Filato, il Governatore Romano della Giudea, inviò a Tiberio Cesare il rapporto ufficiale di quanto era accaduto a Gerusalemme a riguardo di Gesù Cristo, la cui innocenza ed il cui carattere divino avevano conseguito da lui stesso un autentico riconoscimento. « Non invento in eo causam. Mundus sum a sanguine Iusti hujus ».
Tiberio, narra lApologista Cartaginese, rimase cosi commosso e compreso di venerazione verso la divina figura di Gesù Cristo, che si propose senz’altro di farlo riconoscere dal Senato per ima divinità, alla quale bisognava perciò concedere un onorifico seggio nel Pantheon dei Numi tutelari dell’Impero.
Ne fece la proposta al Senato, dando egli, pel primo, voto favorevole. Il Senato, perchè la proposta non partiva da lui, la bocciò. Cesare persistè nel suo disegno; anzi minacciò delle pene a chi avesse accusato i Cristiani. Tanto riferisce Tertulliano nell’Apologetico, sfidando le autorità Romane a smentirlo.
Fu quindi per semplice gelosìa del Senato, che non venne accolta la proposta imperiale; ma non per questo Tiberio rinunciò al suo disegno religioso. Come non riconoscere in questa iniziativa dell’Imperatore la mano conduttrice di quella Divina Mena di cui discorrevamo poc’anzi, la quale, dopo l’unità politica concessa all’Orbe in grazia della Pace Augustea, si disponeva a con cedergli altresi l’unìtà, spirituale, fondata sulle basi soprannaturali d’una religione che non fosse il risultato temporaneo della filosofia o della poesia, ma derivasse direttamente da Dio mediante un’autentica rivelazione? Ecco il: novus nascitur ordo divinato dal Poeta Mantovano!
Pel momento, adimque, i tempi di Tiberio non vennero ritenuti maturi per un riconoscimento ufficiale della Divinità di Gesù Cristo. Ma è interessante l’inciso di Tertulliano: Caesar in sententia mansit. L’Imperatore persistè nella sua decisione; anzi, per ricatto contro i Senatori, minacciò perfino di processare coloro che dessero fastidi ai Cristiani per motivo religioso.
Infatti, anche dopo la morte del secondo Imperatore, di tanto in tanto il progetto di Tiberio Cesare viene esumato: così fece, per esempio, Eliogabalo, quando tentò di unificare nel suo tempio Palatino il culto ufficiale di Roma imperiale in im’unica triade Divina: Elio, Mitra e Cristo, che però costituissero un unico Nume, a mo’ della Cattolica Triade.
IL TRIONFO DEL CRISTO NEI CARMI SIBILLINI
Eliogabalo rappresentò per la storia un fenomeno eminentemente patologico, mentre il suo successore Alessandro Severo — in grazia soprattutto dell’intelligente Mammea sua madre, e del giureconsulto Ulpiano — spinse tanto avanti l’idea cristiana che, dopo d’aver accolto Gesù Cristo nel proprio Larario sul colle Palatino, riprese il disegno di Tiberio e coltivò seriamente il pensiero di elevare im tempio in onore di Cristo.
Chi ci riferisce la notizia è uno storico pagano: Lampridio. « Severo volle erigere im tempio in onore di Cristo, accogliendolo fra gli Dei; ma ne fu trattenuto da coloro che, dopo aver consultato i Libri Sacri, avevano trovato che, ove questo fosse seguito, tutti si sarebbero fatti cristiani, lasciando in abbandono gli altri templi ».
(Lamprid. Alex. XLIII). L’evento ha dimostrato che gli arcani carmi Sibillini predicevano il vero!
Anche questa volta, adunque, il progetto imperiale venne bocciato dal Governo, a nome dei Carmi della Sibilla: « verace sempre, ma non creduta mai », come la Cassandra. Non per questo i Cesari deporraimo il loro voto.
Pel momento, prendiamo atto d’una cosa. I libri sacri che Roma attribuiva alle vecchie Sibille, e che venivano consultati nelle circostanze più eccezionali della vita nazionale, contenevano adunque il vaticinio d’una religione veramente universale, cosi come era l’Impero, e questa religione nel III secolo era comimemente identificata col Cristianesimo. Qual’era il genuino testo degli oracoli sibillini? La loro interpretazione era legìttima? Non sappiamo nulla, ma comprendiamo che maturavano i tempi e che gli spiriti più eletti ormai intuivano, che il pensiero cristiano aveva guadagnato nell’impero tanto terreno, da prevedersi prossimo un orientamento generale delle coscienze verso il Vangelo dì Cristo. Erano i tempi che dovevano creare Costantino, e non Costantino moderare i tempi. Quel vasto movimento rappresentava la decisiva vittoria dello spirito sulla materia, il trionfo del Cristianesimo sull’idolatria, la potenza del concetto universale imperialistico, perseguito, sia pur inconsciamente dai Cesari, sulla sorpassata mentalità dei repubblicani della prima ora, che pensavano l’impero come un immenso latifondo costituente il patrimonio demaniale dell’Urbe.
L’APPARIZIONE DI CRISTO A COSTANTINO IMPERATORE
La ristrettezza del tempo mi costringe a saltare a piè pari parecchi decenni di storia, per venire subito alla definitiva e completa realizzazione dell’antico sogno augusteo circa l’unità perfetta dell’Impero.
Siamo al 310, e sull’eredità di Augusto regnano ben cinque imperatori. Lo Stato minaccia, adunque, di ritornare all’anarchia che, dopo l’assassinio di Giulio Cesare, precedè la battaglia di Azio ed il trionfo di Ottaviano. Ma interviene al momento opportimo la Provvidenza Divina, e Gesù Cristo, apparendo a Costantino Magno sulle Alpi, — la narrazione della visione venne fatta dallo stesso Sovrano al Vescovo Eusebio — gli mostra il suo monogramma e gli promette sicuramente la vittoria, se avesse fregiato col suo nome il labaro imperiale. In hoc vinces.
La conversione di Costantino al Cristianesimo, psicologicamente, non si spiega. Non c’era stata alcuna preparazione religiosa, e dal punto di vista strategico, una sinùle mutazione religiosa durante una guerra, rappresenta un fatale errore. L’unica possibile spiegazione, è quindi il miracolo della visione.
Costantino accetta il divino monito ed eseguisce l’ordine, riportando ad saxa rubra, sul Tevere, quasi alle porte di Roma, una splendida vittoria sull’esercito del tiranno Massenzio il quale, novello Faraone, precipita coi suoi carri e cavalli nel fiume, che gli fa da sepolcro.
Questa volta finalmente, anche il Senato si arrende a riconoscere ufficialmente il culto di quella: divina Mente, che per ben tre secoli indarno aveva voluto respingere sulla via trionfale di Roma. Questa volta, il nome Divino di Cristo è portato in trionfo nel Foro, sul labaro gemmato di Costantino. La vittoria era attribuita a lui, a Gesù, « Instinctu Divinitatis », che l’aveva messa.
Nel 313, Costantino da Milano, emanava finalmente l’editto che proclamava la libertà della Chiesa Cattolica, restituiva il patrimonio già confiscato ai Martiri ed orientava apertamente il restaurato Impero verso il Salvatore Gesù.
« L’ISTINTO DELLA DIVINITÀ » NEL TRIONDO DI COSTANTINO
Come Ottaviano, dopo la battaglia di Azio, aveva consacrato la vittoria dedicandole l’Ara pacis augustae, cosi fece il Senato Romano quando sulla Summa Sacra via decretò a Costantino l’onore dell’Arco Trionfale: Arcum triumphis insignem, come dice l’epigrafe dedicatoria. Ormai U trionfo di Cristo nell’Impero Romano era indiscusso; cosi che il Cesare trionfatore fece elevare nel Foro la sua statua col labaro in mano e con una iscrizione, che testificava ai Romani come nel nome Sacro del Nazareno egli avesse restituito all’Urbe l’Impero dell’Orbe.
Anche i Padri Coscritti — gli eredi di coloro che sin dal tempi di Tiberio Cesare avevano bocciato la proposta dell’Imperatore, — troppo tardi si convinsero che ormai, dopo 300 anni, l’impero di Augusto stava per terminare la sua missione storica, e che il Cristo trionfatore, per opera concorde di Costantino e del Papa Silvestro, stava istituendo Roma erede d’im Impero novello, assai più potente ed universale che non fosse quello militare inaugurato da Ottaviano.
Dante lo riconosce esplicitamente quando, facendo la filosofia della storia insegna, che tutto avvenne perchè Dio voleva preparare in Roma la sede d’una monarchia spirituale ed universale in grazia della Cattedra: U’ siede il Suceessor del Maggior Piero. Questo presagio fu confusamente compreso dal Senato dell’Evo Costantiniano, il quale nell’iscrizione onoraria incisa sull’Arco di Costantino, confessò che la splendida vittoria ad Saxa Rubra era stata riportata: Justinctu Divinitatis.
ARA PACIS NOVA
E come non riavvicinare qui questo istinto della Divinità che guida la marcia su Roma, colla Divina Mens la quale con provvida cura, attraverso tre secoli di storia, ha tracciato il cammino trionfale del rinnovato Impero cristiano di Costantino?
Qualche tempo appresso, invece dell’Ara Pacis Augustiae all’innominato Dio, Costantino volle elevare im tempio, che fosse ad un tempo trofeo di fede e simbolo di riconoscenza al Dio delle vittorie. Questa volta però, questa Divina Mente ebbe un nome personale, che anche oggi è inciso a caratteri di bronzo dorato sulla fronte della Basilica Costantiniana in Laterano: A Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore.
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Le condizioni di Roma dopo gli Idi di marzo possono paragonarsi alle disastrose condizioni dell'Italia dopo Caporetto. Ma come la "Divina Mens" inviò Ottaviano; cosí anche in Italia sorse l'Uomo provvidenziale, l'Uomo di genio, il quale salvò lo Stato, e fondò l'Impero, e diede alla coscienza degli italiani la piú perfetta unità nazionale in mezzo alla pace religiosa. Quando Cesare Augusto arriva ad estendere al mondo intero il suo dominio e a proclamarsi imperatore con una pace universale, egli stesso è profondamente meravigliato del prodigio e l'attribuisce a qualcheduno dei potenti Numi di Roma pagana; non sa quale sia, epperò fa edificare a questo ignoto nume che l'ha avvalorato e portato al trionfo una superba ara, l'Ara della Vittoria che il Duce ha disposto venga il piú presto possibile rimessa in luce e restaurata.
Se l'imperatore Augusto avesse letto gli annali del governatore Quirino della Giudea avrebbe trovato il nome di quel potente Nume che l'aveva condotto al trionfo: Gesú Cristo! L'aveva fatto imperatore universale perché voleva servirsi di quell'impero siccome di condizione sociale favorevolissima per fondare il suo Impero spirituale nel mondo: la Santa Chiesa.
Come narra Tertulliano, quando il governatore della Giudea mandò a Roma la relazione della vita e della morte di Gesú Cristo, Tiberio Cesare voleva iscrivere Gesú Cristo tra le Divinità, tanto si era commosso e meravigliato al leggere quella relazione! Ne fece proposta al Senato; ma questo, purtroppo, bocciò la proposta. Tiberio, adirato del rifiuto del Senato, ebbe a dire: "Eppure Egli crescerà e crescerà tanto da reggere il mondo intero!" L'imperatore Eliogabalo tentò ancora di iscrivere Gesú Cristo tra gli Dei: ma ancora il Senato vi si rifiutò. Altri tentativi di altri imperatori, per esempio Alessandro Severo, per iscrivere Gesú Cristo tra gli Dei, andarono sempre falliti per l'ostinazione del Senato. Finalmente arriviamo a Costantino, il quale per la visione miracolosa avuta sulle Alpi e piú ancora per la miracolosa vittoria, si converte al Cristianesimo, firma in Milano la pace religiosa e cosí si appresta a restaurare novellamente l'Impero.
Ma la storia ha dei meravigliosi ricorsi. Dopo 16 secoli, ecco un'altra marcia su Roma ed ecco un altro editto di pace religiosa, di quella pace che è stata firmata nel Trattato del Laterano, e che dando a Dio l'Italia, ha dato all'Italia Dio. E Dio onnipotente e provvido, in onore del quale nel dicembre del 1931, per questa stessa Scuola, Arnaldo Mussolini pronunciò quel famoso discorso che egli volle considerare il suo testamento spirituale e religioso, Dio ha voluto dare anche al Duce un premio che riavvicina la sua figura
storica agli spiriti magni di Costantino e di Augusto, recingendo, per
opera di Benito Mussolini, Roma e il Re di un nuovo rigoglioso lauro
imperiale. E mentre Pio XI invia fino ai confini del mondo i missionari,
le legioni italiane, occupano l'Etiopia per assicurare a quel popolo il
duplice vantaggio della civiltà imperiale e della fede cattolica nella
comune cittadinanza spirituale di quella Roma onde Cristo è Romano.
[...]