All'Assemblea quinquennale del Regime
di Benito Mussolini
Eccellenze! Camerati! Signori!
Questa prima assemblea quinquennale del Regime è un fatto nuovo nella storia d'Italia e del mondo. Quinquennale perché si terrà ad intervalli di un lustro, di modo che la prossima avrà luogo nel 1934, anno XII; assemblea del Regime perché raccoglie tutte le forze vive ed operanti della società nazionale, tutti gli uomini che stanno con responsabilità e funzioni definite al vertice delle gerarchle e convergono nella loro azione ad un solo fine.
Il fatto che tale assemblea sia regolarmente convocata alla vigilia di una elezione a carattere plebiscitario, non deve trarre in inganno. Questa non è un'assemblea elettorale. È piuttosto il Gran Rapporto dello Stato Maggiore della Nazione.
Il mio discorso sarà sintetico all'estremo e non avrà nulla di assolutamente o relativamente nuovo per voi, protagonisti della storia che si fa. Più che all'episodio imminente esso considera il passato e guarda al futuro. Ma questo sarà più ampiamente prospettato nel discorso della Corona il 20 aprile. Il carattere totalitario della lista e del Regime, dispensa completamente da quei motivi polemici — spesso di cattivo genere — che in tempi di ludi cartacei deliziavano e avvilivano la vecchia Italia ante 1922.
La nuova legge elettorale che è la logica e legittima conseguenza della profonda trasformazione costituzionale dello Stato e della creazione dei nuovi istituti corporativi, ha funzionato egregiamente. La nuova Camera sorge attraverso una duplice selezione ed una consacrazione di popolo e questo popolo è distinto dal punto di vista della sua capacità. Tutte le forze hanno avuto modo di farsi rappresentare, anche quelle che un tempo - in regime di contrastanti partiti - venivano regolarmente ignorate. Scomparso tutto il tristo corteo di inganni, di pastette, di violenze, che accompagnavano fatalmente le cosidette battaglie elettorali di una volta. La stessa elezione viene elevata di colpo: si vota per una idea, per un Regime, non per gli uomini.
Ciò stabilito mi sia permesso aggiungere - per quell'obbligo di schietta sincerità che mi assiste sempre - che l'esperimento corporativo non poteva essere totale in questa occasione.
Essendo interesse del Regime di ricondurre alla Camera almeno 200 deputati uscenti, la ripartizione corporativa ne ha sofferto e ciò spiega come talune organizzazioni abbiano avuto un numero di posti superiore alla loro consistenza ed altre invece minore. Ma questo inconveniente verrà ulteriormente ridotto e forse eliminato del tutto nel 1934. Tuttavia i deputati nuovi sono 200 circa. È perfettamente umano che taluno dei 600 esclusi proclami ai quattro orizzonti che la lista non è perfetta. Che non tutti i componenti di essa sono perfetti; Anzi, nessuno. Me compreso. Coloro che covavano la speranza della medaglietta fatidica e non hanno poi veduto apparire tale aureo dischetto, sono in uno stato di animo di delusione. Passerà. Il mondo non è tutto a Montecitorio.
Voglio però dichiarare a giusta tutela politica e morale dei candidati e a mortificazione dei pochi vociferatori delusi, che il Gran Consìglio ha tenuto conto delle designazioni partite dalle organizzazioni, ha fatto poche aggiunte e ancora minori esclusioni e che tutti i candidati sono stati sottoposti ad un severo collaudo. Prima di tutto dal punto di vista della loro fede fascista.
Può interessare la ripartizione della nuova Camera dal punto di vista dell'anzianità fascista. Su 400 candidati ve ne sono 55 che sono del 1919; i tesserati del 1920 sono 54; quelli del 1921, 65; quelli del 1922, 60; quelli del 1923, 59; quelli del 1924 sono 36; quelli del 1925, 30.
Su altre osservazioni minori è inutile soffermarsi: basterà dire a coloro che non si ritengono sufficientemente rappresentati, o come categoria o come territorio, che tutto ciò è anacronistico, dal momento che si tratta di un collegio unico nazionale e di una elezione a tipo plebiscitario. Leviamoci ora, da queste vacue, solitarie recriminazioni dove stagna il pettegolezzo dei « lettori della vita » altrui e, in rapida sintesi, facciamo il quadro dell'azione del Regime nel settennio trascorso.
Ecco: io ho dinanzi al mio spirito la nostra Italia nella sua configurazione geografica, nella sua storia, nella sua gente: mare, montagne, fiumi, città, campagne, popolo. Seguitemi, e cominciamo dal mare. Il mare era negletto: il Regime vi ha risospinto gli Italiani. La marina mercantile decadeva: il Regime l'ha risollevata. Durante questi anni sono scesi in mare colossi potenti. I porti erano impoveriti: il Regime li ha attrezzati e vi ha creato le zone franche. Il lavoro vi era discontinuo, per via degli scioperi: oggi la disciplina delle maestranze è perfetta. Al mare, fonte di salute e di vita, il Regime manda ogni anno centinaia di migliaia di figli del popolo. La passione degli italiani per il mare rifiorisce. Vi riconoscono un elemento della potenza nazionale.
Dal mare eternamente mobile passiamo alle montagne che salvaguardano la nostra più grande pianura e costituiscono la spina dorsale della penisola. Una politica della montagna è in atto. I culmini glabri si ricoprono di alberi che la Milizia forestale pianta e protegge: due parchi, uno nel cuore delle Alpi e un altro nel cuore degli Appennini, salvano e conservano la superstite fauna. La politica del Regime è diretta a mantenere la popolazione della montagna, ai fini pacifici e a quelli militari.
Tra il mare e le montagne, si stendono valli e piani: la terra nostra è bellissima, ma angusta : 30 milioni di ettari per 42 milioni di uomini. Un imperativo assoluto si impone: bisogna dare la massima fecondità a ogni zolla di terra. Il Fascismo rivendica in pieno il suo preminente carattere contadino. Di qui la politica rurale del Regime nei suoi diversi aspetti: il credito agrario, la bonifica integrale, l'elevazione morale e politica delle genti dei campi e dei villaggi. Solo col Fascismo i contadini sono entrati di pieno diritto nella storia della Patria. Volgete gli occhi sull'Agro romano e avrete la testimonianza della profonda trasformazione agraria in via di esecuzione.
In tutte le città d'Italia il Regime ha lasciato tracce della sua attività. Talune di esse furono elevate alla dignità di capiluoghi di provincia. Tutte ebbero provvidenze di carattere edilizio, igienico, scolastico, amministrativo. Roma ebbe, come di ragione, un ordinamento particolare.
Una Nazione esiste in quanto è un popolo. Un popolo ascende in quanto sia numeroso, laborioso e ordinato. La potenza è la risultante di questo fondamentale trinomio. Bisogna cominciare dall'inizio di ogni vita. A ciò provvede una creazione tipica del Regime: l'Opera nazionale per la Maternità e l'Infanzia: nel 1928, 79 milioni sono stati impiegati a tale scopo.
Le generazioni che si affacciano devono trovare delle scuole. Migliaia di edifici scolastici sono stati costruiti: aiuti imponenti furono concessi a molte Università. Il Regime ha realizzato una riforma scolastica che ha dato un nuovo stile all'insegnamento, ripristinando la necessaria disciplina e quella dignità che gli studi avevano perduto col prevalere sulle tradizionali correnti umanistiche di altre tendenze a fini immediati. L'istruzione pubblica ha compiuto un formidabile sbalzo innanzi: le scuole elementari sono cresciute di numero e trovano il loro complemento nel corso triennale di avviamento al lavoro. Le scuole medie si sono arricchite del liceo scientifico e dell'istituto magistrale. Il Consiglio nazionale delle Ricerche e l'Accademia d'Italia costituiscono il coronamento dell'edificio della coltura italiana.
Tutto il sistema scolastico italiano è oggi pervaso dallo spirito della guerra vittoriosa e da quello della rivoluzione fascista. Accanto alle scuole, e quasi ad integrazione delle scuole, la gioventù è raccolta nei Balilla e negli Avanguardisti, speranza ed orgoglio della Patria.
Il popolo che lavora è inquadrato nelle istituzioni del Regime, attraverso il sindacalismo e il corporativismo tutta la Nazione è organizzata. Il sistema che si basa sul riconoscimento giuridico dei Sindacati professionali, sul contratto collettivo, sul divieto di sciopero e di serrata, stilla Carta del Lavoro, documento fondamentale di cui si valuterà la portata sempre maggiore, sulla Magistratura del Lavoro, si é già appalesato vitale. Il lavoro e il capitale hanno cessato di considerare i loro antagonismi come un'insuperabile fatalità della storia: i contrasti inevitabili trovano il loro sbocco pacifico attraverso a una sempre più consapevole collaborazione di classe. Sono stati stipulati centinaia di patti nazionali concernenti milioni di operai. La legislazione sociale del Regime fascista è la più avanzata del mondo: va dalla legge sulle otto ore all'assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi.
Le classi dei datori di lavoro sono anch'esse all'avanguardia; sopra tutto in Italia, gli industriali si sono liberati dalla mentalità classista e mentre la disciplina delle masse operaie è assoluta, il senso di civismo e di solidarietà umana nelle classi industriali italiane costituisce un loro titolo d'onore.
La formidabile esperienza italiana, che si riassume nella «Organizzazione giuridica di tutte le forze concorrenti alla produzione», è oggetto di studio e viene già indicata a modello in parecchi Paesi del mondo, che soffrono delle dispersioni e dei conflitti della lotta di classe. Niente socialismo di Stato, e niente qualsiasi altro socialismo, come qualche orecchiuto ed orecchiante osservatore può ritenere, perché il Regime rispetta e fa rispettare la proprietà privata; riconosce e fa riconoscere l'iniziativa privata, e si rifiuta agli esperimenti socializzatori che volgono altrove alla catastrofe; ma niente nemmeno liberalismo indifferente dinanzi alle coalizioni degli interessi, il cui urto, quando non sia contenuto, può mettere a repentaglio il benessere e la vita stessa della Nazione.
Nei paesi moderni, a folta popolazione, il sistema delle comunicazioni è essenziale, non solo per i traffici, ma per lo spirito: le comunicazioni, in Italia, hanno, in questi ultimi anni, realizzato progressi grandiosi: nuovi tronchi ferroviari, elettrificazione di linee, aumento delle linee telegrafiche, perfezionamento modernissimo di quelle telefoniche, autostrade, rete stradale ordinaria in via di riparazione e di sistemazione.
Lo stesso balzo innanzi è stato compiuto in tema di lavori pubblici. Vi ricordo i formidabili consuntivi di opere pubbliche rese note e inaugurate ad ogni 28 ottobre. Durante cinquant'anni l'Italia meridionale e le isole non avevano avuto che dei lavori pubblici « elettorali », promessi prima delle elezioni e non mantenuti dopo. In questi ultimi anni le cose sono radicalmente cambiate. Si lavora a rendere più ampi e sicuri i porti di Napoli, di Palermo, di Catania, di Bari, di Brindisi: sono stati fatti imponenti lavori stradali nelle Calabrie, bacini giganteschi nella Sardegna: opere di varia natura in Sicilia. Nei prossimi anni lo sforzo del Regime sarà ancora più sistematicamente rivolto all'Italia meridionale e alle isole.
Il disagio morale di un tempo è finito. Per il Regime, nord e sud non esistono: esiste l'Italia e il popolo italiano.
Occorreva, accanto alla sistemazione delle cose, provvedere alla sistemazione degli spiriti, e a un'ulteriore utilizzazione delle forze che avevano creato il Regime. Così, lo squadrismo diventa Milizia. E ogni squadrismo scompare. La Milizia assume, col tempo, aspetti sempre più definiti e compiti sempre più vari e importanti. Non basta che una potente autorità agisca al centro: la, periferia deve rispondere con lo stesso tono.
Ecco la circolare ai Prefetti, che stabilisce le attribuzioni delle supreme autorità nelle provincie. Ad evitare un ingrossamento del Partito coll’ondata dei sopraggiunti: catenaccio alle iscrizioni, salvo che per i giovani.
Il Partito Nazionale Fascista assume così la sua sempre più precisa caratteristica di organo dello Stato subordinato alle gerarchie, aderente e obbediente alle necessità dello Stato.
Gli uomini hanno bisogno della sicurezza e della giustizia. La nuova legge, o meglio, il nuovo codice di P. S., sostituendo ed integrando la vecchia legge, dà allo Stato uno strumento validissimo per proteggere i buoni cittadini dalla violenza o dalla perversione dei malvagi. L'amministrazione della giustizia ha realizzato innovazioni profonde, che vanno dall'unificazione delle Cassazioni alla imminente riforma dei Codici. La dimostrazione che la giustizia è il fondamento del Regime sta nel fatto che, nell'ordinamento gerarchico dello Stato - legge fondamentale del Regime - il primo ed unico posto spetta al presidente della Cassazione Unica del Regno.
Accanto alla magistratura ordinaria è posto il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, per reprimere una particolare attività criminale contro il Regime. Malgrado le favole spacciate a getto continuo, dall'antifascismo internazionale, tale Tribunale è stato severo, ma giusto; lo dicono queste veridiche cifre: di 5046 imputati, ben oltre 4000 sono stati assolti. Degli altri, ben 275 sono stati condannati a pene inferiori a dieci anni; uno solo alla pena capitale; 230 saranno liberati entro l'anno. Confrontato coi terrori antichi e contemporanei, quello fascista si scolora. Il Regime è disposto, del resto, col finire delle leggi per la difesa dello Stato, a non prorogarle; è pronto anche ad anticiparne la cessazione, purché l'antifascismo superstite si rassegni all'irrevocabile fatto compiuto, e rinunci a tentativi assurdi, a denigrazioni ridicole e a una letteratura catastrofica in cui il grottesco si accoppia alla malafede.
Non basta che il popolo sia ordinato e tranquillo all'interno, è necessario che le forze armate gli garantiscano la sua pace e la sua sicurezza. Anche in questo campo il Regime ha tracciato solchi profondi: con una legge ha creato la Commissione suprema di difesa; con un'altra ha stabilito l'organizzazione della Nazione in guerra; con la legge del '25 ha dato il nuovo ordinamento all'Esercito; con quelle del '26 e del '27 gli ha dato uno statuto, mentre nel '28 venivano adottate le norme per l'azione e l'impiego delle grandi unità. Il morale e la disciplina delle truppe italiane sono alti come in nessun altro Paese del mondo.
I soldati, compiuta la premilitare, vanno alle caserme cantando «Giovinezza». La guerra aveva lasciato un complicato e delicato problema di quadri. Sono stati onorati col ducato e col maresciallato i grandi capitani della vittoria. Sono stati sistemati gli ufficiali in P.A.S. e quelli esonerati durante la guerra; quelli di complemento sono stati raccolti nell'Unione nazionale ufficiali in congedo. È una grande riserva di uomini che va tenuta aggiornata. I quadri dell'Esercito sono stati migliorati. Le vecchie, gloriose Scuole di Modena e di Torino hanno ripreso la loro nobile missione educativa e formativa.
Accanto a quello per l'Esercito, il Regime ha compiuto uno sforzo notevole per la Marina. Bisogna considerare che la Marina è, in tempo di pace, l'elemento che stabilisce la gerarchia tra gli Stati. L'Aviazione è stata creata dalle rovine in cui l'avevano lasciata. Funzionano linee aeree civili per un percorso di oltre 5000 chilometri.
Mi risparmio altri dettagli. Basterà, per concludere su questo punto, ricordare che il Fascismo ha esaltato la vittoria e l'ha resa operante nello spirito delle forze armate e del popolo italiano. Per questo, il Regime è andato incontro ai reduci di guerra, raccolti nell'Associazione nazionale combattenti e in quella dei Mutilati e Invalidi, e alle famiglie dei Caduti, con le quali fraternizzano le famiglie dei caduti fascisti. La legge sulle pensioni dei Mutilati e Invalidi è un titolo di gloria del Governo fascista.
La preparazione militare di una Nazione è una necessità costante; il suo sviluppo è legato alla solidità della finanza. Anche qui il Regime ha potentemente operato; le minute, sudice valute cartacee da una, da due, da cinque, da dieci lire sono scomparse, sostituite dai più nobili metalli; si è difeso il risparmio; si è unificata l'emissione della circolazione; si è, con sforzo coraggioso, stabilizzata la lira, realizzato il pareggio e l'avanzo del bilancio dello Stato. Siamo però ancora nel periodo della convalescenza, come lo è, del resto, l'economia di tutte le Nazioni europee, anche di quelle molto più ricche della nostra.
Forze armate efficienti e sana finanza sono il presupposto della politica estera di uno Stato. Il mio discorso del 6 giugno 1928 al Senato è riassuntivo in questa materia. Rileggetelo. Le grandi direttive non sono, né possono, - salvo imprevedibili avvenimenti, - cambiare. A coloro che vogliono inutilmente sgomentare il mondo, col rappresentare un imperialismo italiano, ricorderemo ancora una volta che l'Italia contiene le spese per i suoi armamenti nei limiti delle più elementari necessità di sicurezza e di difesa; ricorderemo che l'Italia vuol vivere in pace con tutti i popoli, e in particolar modo con quelli che le stanno vicino; che l'Italia ha stipulato patti d'amicizia e trattati di commercio con molti Stati e che di frequente tali atti hanno disperso nebbie, sventato intrighi, ristabilito l'equilibrio negli spiriti; ricorderemo che l'Italia essendo all'interno impegnata nella sua opera di ricostruzione economica e politica, essendo, anzi, tutta presa dallo sforzo di creazione di nuovi istituti, di un nuovo tipo di civiltà, che armonizzi le tradizioni con la modernità, il progresso con la fede, la macchina con lo spirito e segni la sintesi del pensiero e delle conquiste di due secoli, l'Italia non vuole turbare la pace, ma è pronta alla difesa dei suoi interessi in qualsiasi parte del mondo.
Tutta l'attività del Regime si svolge attraverso gli organi della burocrazia. La massa dei funzionari ufficiali e, in genere, dei dipendenti dello Stato, merita un elogio. Ha lavorato con coscienza, con disciplina, con onestà. Le condizioni di questi uomini che, con frase un po' sciupata, ma tuttavia piena di gravità, si chiamano servitori dello Stato, non sono brillanti.
In questa semplice constatazione voi potete scorgere un proposito di migliorarle. Ciò avverrà per naturale sviluppo di cose, per insindacabile decisione del Governo, al momento opportuno, senza bisogno di esterne sollecitazioni o richieste. Come sembrano lontani i tempi in cui pochi dissennati dipendenti dello Stato italiano facevano del sindacalismo scioperante e scioperaiolo!
Proiezione della potenza della Patria sono i possessi e le Colonie. Il Dodecanneso è fuori questione, ormai, e Rodi ritorna ad essere la perla latina dell'Oriente. Pacificata e consolidata la Somalia, dall'Oltre Giuba alla Migiurtina; risorta Massaua; progredite le Colonie mediterranee, unite sotto lo stesso comando, Tripoli e Bengasi sono ormai presenti allo spirito degli Italiani come le città della madre Patria, centinaia di pionieri vi si dirigono, la steppa vi si colora di verde e si punteggia di case, mentre sulle dune, - spettacolo non più visto da secoli, - si allineano siepi di alberi. Intanto dalle sabbie africane, molto più benigne dei barbari, risorgono quasi intatti i monumenti immortali della conquista e del genio di Roma.
Non solo degli Italiani viventi in Italia il Regime si è preoccupato, ma anche dei dieci milioni di Italiani sparsi per il mondo, ai quali fa giungere la voce della Patria attraverso una rete telegrafica italiana e ai quali ha dato un senso d'orgoglio come non fu mai dall'unità della Patria.
Il quadro di tutto ciò che il Regime ha fatto per lo Stato e per il popolo è ben lungi dall'essere completo. Vi sono altre attività che vanno ricordate: l'organizzazione sportiva e l'educazione fisica, con stadii e palestre non indegne per amplitudine di quelle dell'antica Roma: il Dopolavoro; il complesso delle manifestazioni artistiche, non più abbandonate ai singoli gruppi, ma stabilite per legge; la ridonata dignità ai nostri massimi teatri; il ripristino e la scoperta delle antiche vestigia che testimoniano di quella meravigliosa storia che è, prima e dopo Cristo, la storia di Roma.
Fin qui io vi ho parlato del popolo nelle sue molteplici ed eterne espressioni; ma il popolo italiano ha una fede, è credente, è cattolico. L'Italia ha il privilegio unico di ospitare il centro di una religione da ormai due millenni. Non è per una mera coincidenza o per un capriccio degli uomini che tale religione si è irradiata e si irradia da Roma. L'impero romano è il presupposto storico del Cristianesimo prima, del Cattolicesimo poi. La lingua della Chiesa è ancora oggi la lingua di Cesare e di Virgilio.
Dopo i lunghi, tristi secoli della divisione e del servaggio straniero, Roma doveva essere la capitale dell'Italia risorta, poiché nessun'altra città poteva e può essere la capitale d'Italia, ma l'evento necessario e la fatale conclusione della prima fase del Risorgimento determinarono un grave dissidio, che dal '70 in poi tormentò la coscienza degli Italiani. Tale dissidio, vera spina nel fianco della Nazione, è sanato con gli accordi dell'11 febbraio.
Accordi equi e precisi, che creano tra l'Italia e la Santa Sede una situazione, non di confusione o d'ipocrisia, ma di differenziazione e di lealtà. Io penso, e non sembri assurdo, che solo in regime di concordato si realizzi la logica, normale, benefica separazione tra Chiesa e Stato, la distinzione, cioè, tra i compiti, le attribuzioni dell'una e dell'altro. Ognuno coi suoi diritti, coi suoi doveri, con la sua potestà, coi suoi confini. Solo con questa premessa si può, - in taluni campi, - praticare una collaborazione da sovranità a sovranità.
Parlare di vincitori o di vinti è puerile: si parli di assoluta equità dell'accordo che sana reciprocamente «de jure» un'ormai definitiva, ma sempre pericolosa e comunque penosa situazione di fatto. L'accordo è sempre meglio del dissidio; il buon vicinato e sempre da preferirsi eila guerra.
La pace tra il Quirinale e il Vaticano è un evento di portata suprema. non solo in Italia, ma nel mondo. Per gli Italiani basterà ricordare che il giorno 11 febbraio del 1929 è stato dal Sommo Pontefice finalmente e solennemente riconosciuto il Regno d'Italia sotto la monarchia di Casa Savoia, con Roma capitale dello Stato italiano.
Da parte nostra, abbiamo lealmente riconosciuto la sovranità della Santa Sede, non solo perché esisteva nel fatto, non solo per la quasi irrilevante esiguità del territorio richiesto, esiguità che non toglie nulla alla sua grandezza d'altra natura, ma per la convinzione che il Sommo Capo di una religione universale non può essere suddito di alcuno Stato, pena il declino della Cattolicità, che significa universalità.
Abbiamo riconosciuto alla Chiesa cattolica un posto preminente nella vita religiosa del popolo italiano, il che è perfettamente naturale in un popolo cattolico quale è il nostro e in un regime quale è quello fascista. Anche qui il Regime è consequenziario. Questo non significa, è quasi superfluo il dirlo, che gli altri culti sin qui tollerati debbano essere d'ora innanzi perseguitati, soppressi o anche semplicemente vessati. Stato cattolico non significa che si debba fare ai cittadini obbligo o pressione alcuna di seguire una determinata fede, anche se sia quella della maggioranza. Ma con la delimitazione delle giurisdizioni, dei compiti, delle responsabilità, da Stato a Stato e da Stato a Chiesa, il cammino appare più sgombro, l'orizzonte più sereno. È un punto fermo messo a quindici secoli di storia.
Anche qui si concentra, nel diritto, una linea di condotta che fu seguita nei fatti dal 1923 in poi. Lo Stato fascista non è tenuto, come si pretenderebbe dalle vaghe superstiti cellule demomassoniche, a conservare tutte le misure di una legislazione che fu il prodotto di un determinato periodo storico di aspra tensione tra Chiesa e Stato, senza ricordare che tali leggi, col passare del tempo e attraverso l'indulgenza agnostica e alla fine abulica del liberalismo, diventarono delle semplici finzioni. Avvenimenti come quelli dell'11 febbraio sono di tale portata che bisogna, per giudicarli, mettersi sul piano della storia. L'anima intuitiva delle moltitudini è, in questi casi, ben più della intelligenza raziocinante, vicina alla verità! L'anima del popolo ha sentito che la soluzione dell'annosa e delicata questione romana è un titolo d'orgoglio e una documentazione della forza e della solidità del Regime fascista.
Ora non crediate che voglia commettere un peccato di immodestia dicendo che tutta quest'opera, di cui vi ho dato uno stringente e parzialissimo riassunto, è stata attivata dal mio spirito. L'opera di legislazione, di avviamento, di controllo e di creazione di nuovi istituti, non è stata che una parte della mia fatica. Ve ne è un'altra, che non è tanto nota, ma la cui entità vi è data da queste cifre che vi possono forse interessare: ho concesso oltre 60.000 udienze; mi sono interessato di 1.887.112 pratiche di cittadini, giunte direttamente alla mia Segreteria particolare. Tutte le volte che i singoli cittadini, anche dei più remoti villaggi, si sono rivolti a me, hanno ottenuto risposta. Non basta fortemente governare, bisogna che il popolo, anche quello lontano, minuto, dimenticato, abbia la prova che il Governo è composto di uomini che comprendono, soccorrono e non si sentono avulsi dal resto del genere umano. Per reggere a questo sforzo, ho messo il mio motore a regime, ho razionalizzato il mio quotidiano lavoro, ho ridotto al minimo ogni dispersione di tempo e di energia e ho adottato questa massima, che raccomando a tutti gli Italiani: il lavoro della giornata deve essere metodicamente, ma regolarmente sbrigato nella giornata. Niente lavoro arretrato. Il lavoro ordinario deve svolgersi con un automatismo quasi meccanico.
I miei collaboratori, che ricordo con simpatia e che dinanzi a voi voglio ringraziare, mi hanno imitato. La fatica mi è sembrata leggera, anche perché varia. Vi ho resistito perché la volontà era sospinta dalla fede. Ho assunto, come di dovere, tutte le piccole e le grandi responsabilità.
Come avete potuto constatare, ora che mi avvio alla fine, il mio discorso è stato, come vi dissi, schematico. Non ho detto tutto. Ho molto dimenticato, ma potevo io, forse, illustrare le duemila leggi, nelle quali, durante sei anni, si è realizzata la dottrina, la volontà e la fede dello Stato fascista? Il discorso sarebbe durato alcune settimane. L'opera fu perfetta? No. Come tutte le opere umane, anche la mia, anche la nostra presenta lacune e imperfezioni, ma il proposito di tener fede alla concezione fascista dello Stato fu onnipresente in ogni atto, in ogni legge.
Incontestabile merito del Fascismo è di aver dato agli Italiani il senso dello Stato. Tutto quello che abbiamo fatto e che vi ho riassunto, scompare di fronte a ciò che abbiamo fatto creando lo Stato. Per il Fascismo lo Stato non è il «guardiano notturno», che s'occupa soltanto della sicurezza personale dei cittadini: non è nemmeno un'organizzazione a fine puramente materiale, come quello di garantire un certo benessere e una relativa pacifica convivenza sociale, nel qual caso, a realizzarlo, basterebbe un consiglio d'amministrazione; non è nemmeno una creazione di politica pura, senza aderenze con la realtà mutevole e complessa della vita dei singoli e di quella dei popoli. Lo Stato, così come il Fascismo lo concepisce e l'attua, è un fatto spirituale e morale, poiché concreta l'organizzazione politica, giuridica, economica della Nazione; e tale organizzazione è, nel suo sorgere e nel suo sviluppo, una manifestazione dello spirito. Lo Stato è garante della sicurezza interna ed esterna, ma è anche il custode e il trasmettitore dello spirito del popolo così come fu dai secoli elaborato nella lingua, nel costume, nella fede.
Lo Stato non è soltanto presente, ma è anche passato e, sopra tutto, futuro. È lo Stato che, trascendendo il limite breve delle vite individuali, rappresenta la coscienza immanente della Nazione. È lo Stato che, in Italia, si riassume e si esalta nella dinastia di Savoia, e nella Sacra Augusta persona del Re.
Le forme in cui gli Stati si esprimono, mutano, ma la necessità rimane. È lo Stato che educa i cittadini alla virtù civile; li rende consapevoli della loro missione; li sollecita all'unità; armonizza i loro interessi nella giustizia; tramanda le conquiste del pensiero nelle scienze, nelle arti, nel diritto, nell'umana solidarietà; porta gli uomini dalla vita elementare delle tribù alla più alta espressione di potenza umana, che è l'Impero; affida ai secoli i nomi di coloro che morirono per la sua integrità o per ubbidire alle sue leggi; addita come esempio, e raccomanda alle generazioni che verranno, i capitani che lo accrebbero di territorio, o i geni che lo illuminarono di gloria.
Quando declina il senso dello Stato e prevalgono le tendenze dissociatrici e centrifughe degli individui o dei gruppi, le società nazionali volgono al tramonto. Potete voi dubitare del futuro, dopo questo rendiconto del passato e dati questi postulati dottrinali ai quali terremo fede? Né voi, né il popolo italiano, al quale recherete le impressioni di questa grande adunata.
Quando ci ritroveremo a Roma fra cinque anni, il rendiconto futuro dell'azione del Regime sarà ancora più ricco di eventi di quello odierno. È con questa certezza che voi ed il popolo voterete «Sì». Il breve monosillabo mostrerà al mondo che l'Italia è fascista e che il Fascismo è l'Italia.