Sunday 4 March 2012

Discorso di Torino, 14 maggio 1939


di Benito Mussolini

Popolo di Torino sabauda e fascistissima, operosa e fedele, Camerati!

Ricordate le ultime parole del discorso, che ebbi l'onore di pronunziare dinanzi a voi sette anni or sono? (Dalla folla si leva un formidabile grido: « Sì! »). Camminare e costruire e, se è necessario, combattere e vincere. (Il popolo grida: « Sì! »).

Guardando indietro a questi sette anni trascorsi ora che io ho di nuovo la fortuna e la gioia di tornare tra voi, vi domando: Il popolo italiano è rimasto fedele a questa consegna? (Il popolo grida: « Sì! »). Il popolo italiano è pronto a restarvi fedele? (La moltitudine risponde il suo appassionato consenso).

Infatti il popolo italiano ha camminato e ha costruito, ha combattuto e ha vinto. Combattuto e vinto in Africa, contro un nemico che gli espertissimi europei di cose militari garantivano assolutamente imbattibile. Avete inteso? Garantivano! Eterno successo di certe garanzie!

Combattuto e vinto contro la coalizione sanzionista inscenata da quella Società delle Nazioni che giace ormai sepolta senza rimpianti in quel grande mausoleo di marmi che le è stato eretto sulle rive del Lemano.

Combattuto e vinto in Spagna, a lato delle eroiche fanterie di Franco, contro una coalizione democratico-bolscevica, che è uscita dalla lotta letteralmente schiantata.

Sintesi di questi sette anni: la conquista dell'Impero; l'unione del Regno di Albania al Regno d'Italia; un accrescimento della nostra potenza in tutti i campi.

Mentre vi parlo, milioni di uomini, forse centinaia di milioni di uomini, in ogni punto del globo, attraverso alti e bassi di ottimismo e di pessimismo, si domandano: « andiamo verso la pace o verso la guerra? ». Grave interrogativo per tutti, ma in particolare per coloro che, a un dato momento, devono assumersi la responsabilità della decisione.

Ora io rispondo a questo interrogativo, dichiarando che, attraverso un esame obiettivo, freddo della situazione, non ci sono attualmente in Europa questioni di ampiezza e di acutezza tale da giustificare una guerra, che, da europea, diventerebbe, per logico sviluppo di eventi, universale. Ci sono dei nodi nella politica europea, ma, per sciogliere questi nodi, non è forse necessario di ricorrere alla spada. Tuttavia, bisogna che questi nodi siano una buona volta risolti, perché talora si preferisce a una troppo lunga incertezza una dura realtà.

Questo non è soltanto il pensiero dell'Italia, ma è anche il pensiero della Germania, e quindi dell'Asse, di quell'Asse che, dopo essere stato per molti anni un'azione parallela dei due Regimi e delle due Rivoluzioni, diventerà, attraverso il patto di Milano e attraverso l'alleanza militare che sarà firmata entro questo mese a Berlino, una comunione inscindibile dei due Stati e dei due Popoli.

Coloro che, ad ogni mattina, spiavano, forse con cannocchiali rovesciati, una possibile incrinatura o frattura, saranno ora confusi e umiliati. E nessuno coltivi delle ridicole, superflue illusioni e nessuno si abbandoni a una superficiale casistica, perché la dottrina del Fascismo è chiara e la mia volontà inflessibile. Come prima e meglio di prima.

Noi marceremo con la Germania, per dare all'Europa quella pace con giustizia, che è nel desiderio profondo di tutti i popoli. I polemisti delle grandi democrazie sono invitati a dare un giudizio possibilmente equo di questo nostro punto di vista. Noi non desideriamo la pace semplicemente perché la nostra situazione interna è com'è noto, catastrofica. Sono ormai 17 anni che i nostri avversari attendono invano la famosa catastrofe e attenderanno invano per molto tempo.

E non è nemmeno per una paura fisica della guerra, sentimento che ci è ignoto. Ecco perché le elucubrazioni di alcuni strateghi da tavolino dell'oltre vicina frontiera, nelle quali elucubrazioni si parla di facili passeggiate nella Valle del Po, ci fanno sorridere.

I tempi di Francesco I e di Carlo VIII sono passati. Una guerra del « gesso» non è più pensabile.

Anche quando dietro le Alpi non c'era, come oggi, un popolo formidabilmente compatto di 45 milioni di anime, gli invasori stranieri da Talamone a Fornovo non ebbero mai lunga fortuna in Italia e nella vostra gloriosa storia militare, o Piemontesi, vi sono molti episodi memorabili, che dimostrano come qualmente non sia igienico proporsi di passeggiare da prepotenti per le contrade d'Italia.

Ma è il caso di domandarsi: al sincero desiderio di pace degli Stati totalitari, corrisponde un altrettanto sincero desiderio di pace da parte delle grandi democrazie? (La folla grida: « No! No! »). Avete già risposto: io mi limiterò a dire che allo stato degli atti è lecito dubitarne.

In questi ultimi tempi la carta geografica dì tre continenti è stata modificata; ma giova osservare che, né il Giappone, né la Germania, né l'Italia, hanno sottratto un solo metro quadrato di territorio o un solo abitante alla sovranità delle grandi democrazie. E allora, come si spiega questo furore? (Il popolo grida: « Fifa! »). Vogliono proprio farci credere che si tratti di scrupoli di natura morale? Forse che noi non conosciamo per filo e per segno con quali metodi sono stati costruiti i loro imperi (la moltitudine risponde: « Li conosciamo! ») e con quali metodi sono ancora mantenuti?

Non è dunque questione di territori. È un'altra questione. A Versaglia fu costruito un sistema. Era il sistema delle pistole puntate contro la Germania e l'Italia. Ora questo sistema è irreparabilmente crollato. E allora si cerca di sostituirlo con le garanzie più o meno domandate, più o meno unilaterali.

Che le democrazie non siano sinceramente devote alla causa della pace, lo dimostra un fatto incontestabile: che esse hanno già cominciato quella che si potrebbe chiamare la guerra bianca: cioè la guerra sul terreno dell'economia: essi si illudono di indebolirci. Si illudono! (Dalla folla si levano acclamazioni e grida di: « Autarchia! »).

Non è soltanto con l'oro che si vincono le guerre. Oltre all'oro è più importante la volontà e ancora più importante il coraggio. Un blocco formidabile di 150 milioni di uomini in rapido accrescimento, che va dal Baltico all'Oceano Indiano, non si lascerà sopraffare. Ogni attacco sarà inutile, ogni attacco sarà respinto con la massima decisione.

Dopo il sistema delle pistole, crollerà anche il sistema delle garanzie. (La folla grida: « Sì! Sì! »). Questo io dovevo dirvi, o camerati, poiché non è stile del Fascismo propinare speranze eccessive o illusioni fallaci. Un popolo forte come l'italiano, ama la verità e la realtà. E vi sarà chiaro anche il motivo per cui noi ci armiamo sempre più potentemente (la moltitudine risponde con un altissimo grido: « Sì! ») onde essere in grado di tutelare la nostra pace e di respingere in ogni momento qualunque aggressione ci venisse minacciata.

Camerati! Io potrei dispensarmi dal parlare di questioni di carattere interno. Queste questioni si possono ridurre ad una frase sola: Popolo e Regime costituiscono in Italia un blocco assolutamente inscindibile.

Dal punto di vista sociale, noi terremo rigorosamente fede ai postulati della nostra vigilia. Con l'educazione delle nuove generazioni ricreeremo il tipo fisico e morale dell'Italiano nuovo. Con la valorizzazione delle nostre terre d'oltremare, intendiamo di migliorare le condizioni di vita del popolo lavoratore.

Tutto ciò richiede una severa disciplina, una coordinazione degli sforzi e una tensione delle nostre volontà senza precedenti. Ma non è questo che può intimorire gli Italiani del tempo fascista e, meno degli altri, voi.

Novanta anni or sono, il piccolo Piemonte osò sfidare un impero secolare. Parve un atto di temeraria follia; fu, invece, un grande atto di fede e quest'atto di fede era nel solco della storia. E da allora furono chiamati Piemonte tutti i popoli che si rendevano iniziatori di un movimento unitario. Deve essere per voi, o Torinesi, motivo di intimo e profondo e legittimo orgoglio ricordare quel tempo e confrontare l'Italia del 1848 con l'Italia del XVII anno dell'Era fascista.

Quale arco di potenza è stato gettato in questi 90 anni! E chi potrebbe dubitare del nostro futuro? (La folla grida: « Nessuno! »).

Camerati! Qualunque cosa accada, io vi dichiaro, con assoluta certezza, che tutte le nostre mete saranno raggiunte.