(Pubblicato in « Gioventù Fascista », 23 marzo 1931)
di Benito Mussolini
Gioventù Fascista inizia le sue pubblicazioni in un giorno memorabile : nel dodicesimo annuale della fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento. La cronaca narra che il 23 marzo del 1919, su invito di chi scrive queste linee, si riunirono a Milano alcune decine di uomini, in un palazzo di piazza San Sepolcro, e decisero la costituzione di una organizzazione, che fu da me chiamata di « combattimento ». C'erano stati nel 1915, durante la campagna dell'intervento, i Fasci di Azione Rivoluzionaria, anch'essi raccolti attorno al Popolo d'Italia; durante la guerra, in un momento di depressione degli spiriti e di manovre insidiose del disfattismo sul fronte interno, un folto gruppo di senatori e di deputati avevano dato vita al Fascio parlamentare. Ma i Fasci Italiani di Combattimento si ricollegavano non al Fascio Parlamentare, ma ai Fasci di Azione Rivoluzionaria, che furono i protagonisti del moto popolare per la guerra.
Reduci di guerra erano infatti nella loro quasi totalità gli intervenuti all'adunata. Reduci di guerra orgogliosi dell'intervento e della vittoria; trinceristi fieri di quanto essi avevano voluto; non, come si disse allora, e come fu per tanti altri, « maddaleni pentiti ». Gli uomini del 23 marzo non solo non rinnegavano la guerra, ma la esaltavano ancora ed erano decisi a riprenderla! Riprenderla contro la falsa pace di umiliazione e di rinunce che ci era stata inflitta a Versaglia (il che avvenne nello stesso 1919, colla occupazione di Fiume, a dispetto degli Alleati, che assisterono alla vicenda ma non osarono attaccare D'Annunzio); riprendere la guerra contro i disfattisti ed i rinnegati, che, allucinati da un sinistro miraggio orientale, intendevano processare gli interventisti superstiti, facendo leva sulle passioni e sui rancori della massa sopratutto degli imboscati.
E fu la guerra. Venti giorni dopo la fondazione dei Fasci, le turbe dei bolscevizzati subirono la prima sconfìtta in piazza Mercanti a Milano e uno sciopero generale fu stroncato. Ci furono dei morti. I Fasci di Combattimento non usurpavano questa solenne, severa, terribile parola. Nel novembre del 1919, i Fasci di Combattimento affrontarono la battaglia elettorale e furono vinti. Ma chi può dimenticare i memorabili comizi di Monza e di Lodi e l'adunata di piazza Belgioioso? Alla fine del 1919, i Fasci costituiti in Italia non erano che poche decine. Nel 1920, nel 1921, la lotta si svolge in tutta Italia; le giovani camicie nere cadono a migliaia, ma non invano. Tutta l'organizzazione bolscevica viene smantellata materialmente e politicamente distrutta. Dopo le giornate dell'agosto 1922, i Fasci di Combattimento, organizzati in Partito Nazionale Fascista, hanno oramai la strada libera per la conquista dello Stato. Il che avviene colla marcia su Roma dell'ottobre 1922.
Questa è la storia. Quel che è accaduto dal 1922 ad oggi, la profonda trasformazione operata dal fascismo nella vita fisica e spirituale del popolo italiano, balza agli occhi di chi osserva. Ma l'opera è ben lungi dall'essere compiuta. Molti degli uomini del 1919 sono morti o dispersi; ma la maggioranza è sempre compatta attorno ai gagliardetti del Littorio. Masse di popolo si sono schierate coi Fasci, una mole imponente di lavoro è stata ultimata, ma l'opera non è compiuta, perché è una creazione di ogni giorno, poiché ogni giorno presenta nuovi problemi, assegna nuovi compiti, impone altre responsabilità.
Nel moto fatale delle generazioni, è dolce per i veterani assistere alle leve dei giovani, poiché il « durare », tipico verbo della mentalità fascista, è in questo avvicendarsi, per cui la vita continua nella vita, per cui l'idea trova sempre nuovi militi e nuovi confessori.
Gli uomini del fascismo che già conobbero le grandi cruenti fatiche della duplice guerra, non intendono di essere giubilati anzitempo. Essi guardano vigili con simpatia alla gioventù fascista che sorge e che, libera da ogni precedente impaccio ideologico o sentimentale, può veramente dare l'italiano nuovo, cioè l'italiano fascista, l'italiano « virtuoso » nel senso virile e fascista di questa parola romana. Virtù fasciste sono la tenacia nel lavoro, la estrema parsimonia del gesto e della parola; il coraggio fisico e morale; la lealtà assoluta nei rapporti della vita; la fermezza nelle decisioni; l'affetto per i camerati; l'odio per i nemici della rivoluzione e della patria; la fedeltà senza limiti al giuramento prestato; il rispetto della tradizione; e, nel contempo, l'ansia del domani.
Le giovani camicie nere hanno cosi una formidabile piattaforma per lanciarsi incontro al futuro, con l'entusiasmo e l'ardore dei venti anni : partono da due guerre e da due vittorie, monito e presagio.
Io sento levarsi come tuono l'« A noi ! » dei giovani fascisti, di fronte all'interrogativo balenante dell'avvenire.
Nel grido è un privilegio, una certezza, e l'anima grande del popolo italiano.