(Pubblicato in « Il Popolo d'Italia », 11 novembre 1917)
di Benito Mussolini
Dopo i successi navali e terrestri riportati dai tedeschi nel Golfo di Finlandia, parve a certuni che fosse nei piani della Germania marciare alla conquista della capitale russa. L'impresa, dal punto di vista militare, non avrebbe incontrato altre difficoltà all'infuori di quelle naturali dello spazio. Davanti agli eserciti di Hindenburg il disco sovietista segna sempre la « via libera ». Ma il Grande Maresciallo invece di andare innanzi, preferì retrocedere di qualche decina di chilometri per sistemare più convenientemente le sue truppe nei pressi di Riga. Anche una guerra fatta col gesso — come fu quella, secondo gli storici, fatta da Carlo VIII in Italia nel XV secolo — impone un certo logoramento di uomini, impegna un certo numero di soldati, non fosse che per segnare col « gesso » le tappe della facile conquista. Hindenburg — allo sperpero folle degli uomini che fu la caratteristica della prima fase della guerra tedesca — ha sostituito il metodo della parsimonia. Hindenburg non è andato a Pietrogrado, semplicemente perché a Pietrogrado è tornato Lenin, o altrimenti detto Uljanov o — col vero nome di battesimo e di razza — Ceorbaum. Colla odierna rivolta dei massimalisti, la Germania ha conquistato senza colpo ferire Pietrogrado. Gli altri tre signori che compongono la tetrarchia bolscevica hanno questi nomi: Apfelbaum, Rosenfeld, Bronstein. Siamo, come ognuno vede, in piena, autentica tedescheria. Che il colpo di stato massimalista — preparato e condotto dall'uomo tornato in Russia attraverso la Germania — costituisca l'inizio di uno stabile regime estremista, non sappiamo. Il dramma, se dramma rivoluzionario può dirsi, ha l'aspetto paradossale. Il Governo provvisorio non ha opposto resistenza. Quegli atti di energia, quei provvedimenti di « ferro e fuoco » tante volte minacciati nei discorsi di Kerensky, sono rimasti allo stato di intenzioni platoniche. Come Nicola Due, anche Kerensky ha lasciato il potere senza che un pugno di seguaci lo abbia difeso. Forse la scomparsa misteriosa di Kerensky prelude a qualche altro colpo di scena? È possibile. Ma non si vede quali siano le forze sulle quali Kerensky potrebbe fare assegnamento per tentare la riscossa.
Dopo l'esperimento di Korniloff, non c'è da contare sulle truppe che si trovano in uno stato di disorganizzazione totale. Altre forze civili « capaci » di reagire al Sovièt non esistono. L'unico partito organizzato, quello dei « cadetti », raccoglie — è vero — molti rappresentanti della famosa « intelligenza » russa, ma non ha influenza alcuna sulle masse operaie di Pietrogrado. Nell'attesa delle altre scene della tragicommedia moscovita, noi — modestamente e umilmente — ripetiamo quel che dicemmo venti giorni fa all'inizio dell'offensiva tedesca contro di noi: che cioè è necessario convocare sollecitamente i rappresentanti delle Potenze Alleate per discutere il problema russo.
L'inazione militare russa ha permesso agli austro-tedeschi di tentare il colpo contro l'Italia, ma l'avvento al potere degli estremisti russi può significare la pace separata.
In fondo questa pace separata è ormai un fatto compiuto, dal momento che i soldati russi invece di battersi tengono dei comizi o fraternizzano coi tedeschi, ma quando domani la pace fosse consacrata in maniera ufficiale, sarebbero aperte agli austro-tedeschi le disponibilità granarie della Russia divenuta una grande colonia continentale della Germania.
Ora, non v'è dubbio che il movimento massimalista a Pietrogrado è inspirato, sovvenzionato, armato dalla Germania. Non v'è dubbio che la Germania difenderà con tutti i mezzi il colpo di stato di Lenin. Davanti a questa situazione, quale può, quale "deve" essere la linea di condotta delle Potenze Alleate?
Insomma si tratta di esaminare e stabilire : a) se la Russia è ancora da considerare come alleata; b) se — nel caso affermativo — questa alleanza avrà ancora nel futuro una qualche efficienza militare; c) se — nel caso negativo — non ci siano nel nostro gioco altre carte diplomatiche e militari. Noi opiniamo che l'ora del Giappone sia venuta. I recenti accordi nippo-americani potrebbero essere il preludio di un intervento giapponese più fattivo di quello che si è avuto sino ad oggi. La ragione addotta contro l'intervento in Europa di un esercito giapponese dal capo della missione finanziaria agli Stati Uniti non ci persuade. La distanza è grande, ma non è meno grande quella che separa gli Stati Uniti dalla Francia. Non solo. Ma la strada Vladivostok-Pietrogrado è sicura, mentre non è altrettanto sicura la traversata di un convoglio di truppe attraverso l'Atlantico. I competenti affermano che la transiberiana — convenientemente organizzata — darebbe il necessario « rendimento » per trasportare in Europa, in uno spazio di tempo relativamente breve, almeno mezzo milione di giapponesi. L'idea di inquadrare i russi con contingenti di ufficiali e soldati giapponesi è da scartare, come insufficiente. Occorre un grande esercito, al quale — nella primavera prossima — potrebbero unirsi quelle scarse unità dell'esercito russo che non sono ancora in balia completa del leninismo. Le eventuali richieste di compensi da parte del Giappone non devono costituire difficoltà insormontabili, data l'immensa utilità di una partecipazione diretta dell'impero giapponese alla guerra europea.
Non si può imporre alla Russia sovietista di combattere contro i tedeschi, dal momento che non ne ha la capacità e soprattutto la volontà, ma si può imporre alla Russia di accettare o subire l'intervento giapponese contro i tedeschi.
Questi sono i problemi che stanno dinanzi ai diplomatici della Quadruplice Intesa. Questi sono i problemi che inquietano l'opinione pubblica. La quale, col suo intuito infallibile, esprime, in una invocazione, il suo giudizio sulla situazione russa e le sue speranze.
Avanti, il Mikado!