Wednesday 7 March 2012

Ciò che rimane e ciò che verrà

(Pubblicato in « Il Popolo d'Italia », 13 novembre 1920)

di Benito Mussolini

Siamo in tema di politica estera fascista ed è necessario quindi riportarci ai postulati che furono approvati all'unanimità nell'adunata nazionale del 24 maggio 1920 a Milano. In essi postulati è chiesta «l'applicazione effettiva del Patto di Londra e l'annessione di Fiume all'Italia e la tutela degli italiani residenti nelle terre non comprese nel Patto di Londra». Questo postulato è stato superato per ciò che riguarda Fiume è stato applicato per ciò che riguarda il Nevoso e la tutela degli italiani oltre Sebenico non è stato applicato per Sebenico e retroterra.

Siamo dinanzi a una dolorosissima rinuncia. Soltanto c'è da ricordare che il fascismo non è intransigente in materia di politica estera. Esso pensa — vedi postulato n. 4 — che «l'Italia debba fare nell'attuale periodo storico una politica europea di equilibrio e di conciliazione fra le diverse Potenze». Niente di anti-fascista se questa politica di equilibrio e di conciliazione l'Italia comincia a farla colla sua vicina orientale: la Jugoslavia. E ancora: il Fascismo (vedi postulato successivo) pensa «che il Trattato di Versailles debba essere riveduto e modificato in quelle parti che si appalesano inapplicabili o la cui applicazione può essere fonte di odi formidabili e di nuove guerre». Con che in vista del fine — mantenimento della pace — si viene ad ammettere implicitamente la revisione non del solo trattato di Versailles ma di quanti altri possano presentare lo stesso pericolo. Gli è alla luce di queste premesse programmatiche fondamentali del Fascismo che bisogna giudicare gli accordi di Rapallo. Il Fascismo rivendicava rivendica e rivendicherà — salvo il modo e il quando — le città italiane della Dalmazia non per mere considerazioni strategiche nelle quali tra parentesi non si trovano due cosiddetti tecnici che abbiano l'identico punto di vista ma per considerazioni di ordine essenzialmente morale. Gli italiani di Dalmazia sono i più puri i più santi degli italiani. Sono gli eletti del popolo italiano. Per essi la razza non è un fatto etnico è un sentimento è una devota gelosa intrepida religione che ha avuto i suoi martiri. Noi adoriamo gli italiani di Dalmazia perché sono stati e sono i più fedeli al richiamo delle voci eterne e insopprimibili della nostra stirpe. Per questo noi avremmo voluto che sin l'ultimo nucleo d'italiani fosse stato accolto nella nostra grande famiglia. Da due anni abbiamo tenacemente lottato per questo. Per questo noi saremmo pronti ad insorgere se sentissimo che l'italianità dell'altra sponda fosse irreparabilmente sacrificata e perduta.

Per fortuna non è così.

Anzitutto i diritti dei popoli non si prescrivono. Quello che una generazione non può compiere sarà compiuto da un'altra. La nostra ha dato alla Patria i confini al Brennero e al Nevoso Fiume e ha riscattato Zara.

Quella che verrà dopo di noi farà il resto. La vita degli individui si conta ad anni quella dei popoli a secoli. Dal 1866 al 1914 Trento e Trieste furono al primo piano delle nostre aspirazioni nazionali. Oggi è la Dalmazia che parlerà alla passione degli italiani. Tanto più che gli italiani di Dalmazia potranno con più facilità difendere la nostra razza. Senza la guerra non v'è dubbio che coll'andar del tempo avremmo perduto la Dalmazia. A poco a poco l'opera subdola e violenta di snazionalizzazione intrapresa dagli Absburgo avrebbe smantellato gli ultimi meravigliosi baluardi dell'italianità dalmatica. Oggi la situazione è radicalmente cambiata. Se l'opera di snazionalizzazione sarà ritentata naufragherà per questo vario e formidabile ordine di ragioni: gli italiani saranno protetti da un'Italia che ha debellato un impero; l'opera di snazionalizzazione non avrà l'impulso come quando partiva da Vienna o da Budapest che durante un secolo erano riuscite a toccare la perfezione nell'arte diabolica di dividere i popoli. Non sono le popolazioni agricole e primitive addossate alle dinariche e per metà non croate bensì mauro-valacche che potranno snazionalizzare gli italiani: accadrà fatalmente il viceversa. Anche e soprattutto perché l'Italia non è più allo Judrio ma è a Trieste a Pola a Fiume a Zara: come potranno resistere le popolazioni croate di Dalmazia al nostro pacifico straripamento economico e culturale? Coll'Italia allo Judrio la Dalmazia era in pericolo di vita; coll'Italia a Zara gli italiani da Sebenico a Cattaro vedono spuntare l'alba di giorni migliori. Non è ancora l'ideale ma nessuno può contestare che un passo prodigioso — a malgrado di tante avverse circostanze alcune superiori alla volontà degli uomini — è stato compiuto.

Quello che si può fare per dare al problema dalmata una soluzione integrale o fascista — intesa la Dalmazia da Zara a Cattaro — esporremo domani.