Al popolo napoletano
di Benito Mussolini
Camicie Nere! Popolo Napoletano!
Ecco che ancòra una volta il destino benevolo mi offre la ventura di sentir battere all'unisono con il mio il tuo vecchio, grande e generoso cuore, o popolo napoletano. La prima volta, or sono nove anni, quando convocai a Napoli la generazione di Vittorio Veneto, in questa stessa piazza, posi un dilemma supremo che metteva in gioco non la vita di un uomo, evento trascurabile, ma le sorti di un movimento e l'avvenire di un popolo.
Dissi allora: « O cederanno il potere o lo prenderemo ». Dopo quattro giorni, la promessa fu rigorosamente mantenuta.
Tornai due anni dopo, quando un pugno di mistificatori, di mistificati, di delusi e di illusi pretendeva, con fiumi di parole inutili, di fermare il passo alla Rivoluzione vittoriosa.
Venni qui per constatare la realtà dei problemi che più vi assillavano.
Il 2 gennaio 1925, vigilia di quel 3 gennaio che rimane una delle date fondamentali della Rivoluzione fascista, l'organo che io avevo creato per far riguadagnare in pochi anni il tempo perduto in mezzo secolo entrava in funzione.
Nella mia rapida, ma tuttavia molto attenta ispezione di questi giorni, ho constatato che i miei ordini sono stati eseguiti.
Napoli è ora degna più che mai di ricevere l'Ospite Augusto che da Torino, baluardo d'Italia durante il Risorgimento, viene tra voi il 4 Novembre, giorno memorabile che fa balzare il cuore, nei nostri petti, di orgoglio e di commozione; voi lo accoglierete con il vostro più impetuoso entusiasmo e gli ripeterete il vostro giuramento di devozione indefettibile nella Monarchia e nella dinastia di Casa Savoia. Io ero sicuro che tornando qui per la terza volta avrei trovato la stessa passione e lo stesso fervore. Il Fascismo sta diventando qui un vero e proprio costume di vita e si disposa al vostro non mai smentito patriottismo.
Dovrò dunque ricordare agli italiani, più o meno immemori, che nel lontano luglio 1820, nella vostra terra e fra la vostra gente si ebbero i primi aneliti per l'unità e l'indipendenza della Patria? E non trovate voi qualche cosa di arcano nel fatto che fosse un napoletano quel condottiero di eserciti che ci condusse alla Vittoria, sigillando, dopo un secolo, il ciclo che avevano iniziato gli ardimentosi di Nola?
Durante questi nove anni molto abbiamo operato e la mole della nostra opera è cosi schiacciante che ammutolisce quelli che si abbandonano ancora alle vociferazioni sordide, inutili e vili.
Ma molto di più avremmo fatto se, alla fine del 1929, quando la nostra nave era già in vista del porto, non si fosse scatenata, la bufera mondiale che ci ha costretti a rallentare il ritmo della nostra fatica. Quali sono le direttive in fatto di politica mondiale della Rivoluzione fascista, sulla soglia dell'anno decimo?
Sono precise ed immutabili. Non sono pochi, oggi, nel mondo, coloro che affrontano i problemi della ricostruzione europea dal nostro punto di vista.
Sono passati nove anni da quando l'Italia fascista, a Londra, pose il problema delle riparazioni e dei debiti, nei termini che oggi sono all'ordine del giorno. Ma noi ci domandiamo: dovranno veramente passare sessanta lunghissimi anni prima che si ponga la parola fine alla tragica contabilità del dare e dell'avere spuntata sul sangue di dieci milioni di giovani che non vedranno più il sole?
E si può dire che esista una uguaglianza giuridica tra le nazioni quando da una parte stanno gli armaiissimi fino ai denti e dall'altra vi sono Stati condannati ad essere inermi? E come si può parlare di ricostruzione europea, se non verranno modificate alcune clausole di alcuni trattati di pace che hanno spinto interi popoli sull'orlo del baratro materiale e della disperazione morale?
E quanto tempo dovrà ancora passare per convincerci che nell'apparato economico del mondo contemporaneo c'è qualche cosa che si è incagliato e forse spezzato? Queste sono direttive precise con le quali si serve la vera pace, la quale non può essere dissociata dalla giustizia, altrimenti è un protocollo dettato dalla vendetta, dal rancore, dalla paura!
Nella politica interna la parola d'ordine è questa: andare decisamente verso il popolo, realizzare concretamente la nostra civiltà economica che è lontana dalle aberrazioni monopolistiche del bolscevismo, ma anche dalle insufficienze stradocumentate dell'economia liberale. Non abbiamo nulla da temere.
Le plutocrazie degli altri Paesi hanno troppe difficoltà in casa loro per occuparsi delle nostre questioni e dell'ulteriore sviluppo che vogliamo dare alla nostra Rivoluzione. Se ci fossero dei diaframmi che volessero interrompere questa comunione diretta del Regime con il popolo, diaframmi di interessi di gruppi e di singoli, noi, nel supremo interesse della Nazione, li spezzeremo!
La crisi mondiale, che non è più soltanto economica, ma è ormai, soprattutto, spirituale e morale, non ci deve fermare in uno stato di abulia o di inerzia: tanto maggiori sono gli ostacoli e tanto più precisa e diritta deve essere la nostra volontà di superarli.
Napoli è profondamente trasformata: ne fanno testimonianza gli italiani e gli stranieri. Ma non basta: Napoli deve vivere; e sin da questo momento deve segnare le sue direttrici per l'azione del domani.
Sono cinque: prima di tutto l'agricoltura, che deve trovare sbocchi per i prodotti delle vostre terre ubertose; poi l'industria, per la quale devono esserci i lavori che le leggi hanno stabilito; la navigazione, che nel vostro porto, completato e ammodernato, deve fare rifiorire i vostri traffici; l'artigianato, che documenterà al mondo la maestria, la genialità dei vostri artigiani; finalmente il turismo, poiché voi potete offrire al mondo panorami incantevoli e città dissepolte che non hanno uguali sulla faccia della terra.
Se le vostre classi dirigenti marceranno decisamente su queste direttive, Napoli avrà il suo benessere e sarà anche aumentata l'efficienza generale della Nazione.
Camicie Nere!
Quando nel 1935 saranno compiuti molti altri lavori: e l'ospedale ed il sanatorio e la stazione marittima ed il monumentale palazzo delle poste, ed altri quartieri della vostra città saranno stati risanati, il 24 maggio del 1935, quando non solo voi, ma tutti i combattenti e tutti gli italiani assolveranno, inaugurando il monumento a Armando Diaz il debito di riconoscenza verso l'Artefice della Vittoria, voi mi. riudirete a questo balcone e troverete che non sarà cambiato nulla in me: né lo spirito, né la voce, né la volontà, e che tutte le mie promesse ancora una volta saranno state fedelmente mantenute.
Popolo Napoletano! Camicie Nere di Napoli e della Campania!
A chi i più alti doveri dell'Italia fascista?
(La folla immensa grida ad una sola voce: « A noi! ».)