(Pubblicato in « Gerarchia », 1927)
di Giuseppe Cristofolini
L'Italia, conquistando i suoi confini naturali sul crinale alpino, ha trovato inclusi in essi circa centottantamila alloglotti, alcuni di pretta origine tedesca, residui delle invasioni barbariche medioevali, altri italiani intedescati nel corso dei secoli.
Non esiste invero nella Venezia Tridentina un territorio settentrionale compattamente tedesco, come affermano i pangermanisti che non sanno adattarsi alla perdita del bel « Tirolo del Sud », ma piuttosto una zona di popolazione mista con preponderanza dell'elemento tedesco in talune località.
Le prime penetrazioni teutoniche nelle alte valli atesine datano dalla seconda metà del sesto secolo. Dalla Baviera vennero i barbari Baiuvari attraverso il valico del Brennero nella conca dell'Isarco e nella Pusteria, prendendovi stabile dimora e sopraffacendo la scarsa popolazione autoctona, che in parte rimase sul posto, perdendo dopo vari secoli le tracce della propria origine latina e parte si ritrasse nelle vallate più discoste fra i monti, dove seppe mantenere intatta l'antica impronta e l'antico idioma.
Così nel volgere del settimo e dell'ottavo secolo si vennero distinguendo le terre ladine di Badia, Marebbe e Gardena, dalle valli dell'Isarco e della Pusteria, che presentarono da allora una popolazione germanizzata per costumi e per lingua, unita ecclesiasticamente dopo il settecentonovantotto all'arcivescovado tedesco di Salisburgo.
Nel territorio della Val d'Adige superiore la germanizzazione si manifestò con un processo assai più lento, per la resistenza opposta all'epoca longobarda e all'epoca franca del Ducato e dalla Marca Tridentina, che comprendeva pure il Bolzanino e segnava in confini d'Italia alla chiusa di Bressanone.
Gli immigrati tedeschi vissero qui per molto tempo accanto agli indigeni, senza poter imporre ad essi il proprio idioma. Caldaro ed Appiano, ma soprattutto Bolzano, conservarono vivo per tutto il medio evo il parlare romanico.
Nella Venosta il predominio tedesco fu molto favorito dal potere ecclesiastico, la influenza del quale si fece sentire quando – dopo il trattato di Verdun – il vescovado di Coira, che aveva giurisdizione sulla valle, passò dalle dipendenze dell'arcivescovado di Milano a quello di Magonza e più tardi ancor più, quando verso il millecentocinquanta si fondò il convento dei Benedettini tedeschi di Marienberg, unico influente centro di cultura in quei villaggi remoti.
Si manifesta e si sviluppa in questi tempi la metodica ed aggressiva opera snazionalizzatrice dei conti del Tirolo, usurpatori delle terre atesine a danno dei principi di Trento, e dei loro successori i duchi d'Austria, opera che raggiunge risultati notevoli e incontrastati; mentre all'apposto la contigua Val Monastero, unita alla Svizzera, conserva e mantiene ancor oggi il linguaggio di Roma.
Il prevalere definitivo del tedesco sul romanico nella Venosta, data dall'epoca della controriforma, in relazione alle persecuzioni contro i ladini dei Grigioni protestanti. Tuttavia numerose testimonianze attestano il persistervi tenace della latinità, come prova il fatto che la curia tedesca dovette ricorrere ancora nel milleseicentoquaranta ai frati romanici dei Grigioni per prediche e confessioni.
Nei secoli decimosettimo e decimottavo il parlare ladino a nord di Merano, specie dopo l'introduzione della scuola tedesca, sparisce, pur lasciando numerose espressioni sue genuine nella lingua d'uso degli alloglotti odierni e palesandosi chiaramente nella toponomastica locale.
Alquanto diverse le condizioni nella Val d'Adige a mezzogiorno di Merano, in cui verso la fine del medioevo il germanesimo fa i massimi progressi, scendendo lungo il fiume in direzione di Trento. Il largo solco, che segna la strada più diretta e più battuta fra Italia e Allemagna, vede incontrarsi e mescolarsi i due popoli in alterna vicenda.
Avanzano i tedeschi con l'estendersi della potenza dei conti del Tirolo, sulle fiorenti città atesine e sui borghi a sud di Bolzano. Nobili stranieri sono investiti delle nuove giurisdizioni, dove essi si insediano portando con sè un certo numero di vassalli dalle loro terre d'origine. Uno stragrande numero di conventi sorge particolarmente attorno ai centri più popolati, rocche poderose di germanesimo collegate tutte con ordini religiosi di là dal Brennero.
L'elemento italiano tuttavia non cede, rinforzato dai sempre più frequenti rapporti coi mercanti veneti e lombardi, specie in Bolzano che adotta l'italiano come lingua d'affari e risente nella vita cittadina l'influenza della corte principesca di Trento, sfolgorante degli splendori dell'italica rinascenza.
La unione temporanea del principato di Bressanone a quello di Trento accumuna maggiormente le sorti dell'Alto Adige a quelle del Trentino e sempre più si fa sentire l'unità geografica regionale per la naturale identità di interessi, di produzione, di clima.
Passano così gli anni, vengono le guerre napoleoniche, che sanciscono i diritti della nazione, portando i confini del regno italico a settentrione di Bolzano e di Merano.
Ma i tempi non sono ancora maturi. Ritorna l'impero di Vienna con propositi di reazione. E' soppresso il principato di Trento e l'Austria entra per la prima volta in dominio diretto ed assoluto della Venezia Tridentina.
Ciò non per tanto nel secolo scorso progredisce l'immigrazione italiana dalle valli trentine di Non e di Fiemme e dalla Val Lagarina, sia nelle città che nelle campagne, dove il contadino nostro inizia la bonifica dei terreni paludosi, pioniere inconscio della ripresa nazionale.
Segnano dunque gli ultimi tempi prima della guerra un incremento dell'italianità nell'Alto Adige, non organizzato ma spontaneo e progressivo. Ma segnano anche, dopo il distacco della Lombardia e del Veneto, un rincrudire della snazionalizzazione, cui sono potente strumento il governo imperiale austriaco, quello provinciale tirolese, il clero secolare e religioso, le associazioni pangermaniste.
In tutti i paesi fino a Salorno, compresi i centri italiani di Vadena, Bronzollo, Laives, ecc., e dopo il milleottocentosettanta anche nella ladina Gardena e nella Badia, si impone la scuola tedesca e il sacerdote tedesco. Nomi di luogo e nomi di famiglia italiani vengono imbastarditi con desinenze tedesche o addirittura vengono tradotti.
Ogni edificio nuovo ostenta le caratteristiche esotiche dell'architettura nordica, prima mai comparsa. Specialmente in Bolzano si costruiscono nuovi quartieri dall'aspetto volutamente teutonico, in contrasto con la vecchia città di tipo veneto, e sorge sulla piazza il monumento a Walter, menestrello germanico, elevato a simbolo di tedeschismo.
La popolazione nostra vive in uno stato di inferiorità assoluta di fronte agli alloglotti prepotenti e favoriti. La mano d'opera, il capitale italiano sono banditi, mentre si fanno tutte le facilitazioni alle imprese tedesche e si chiamano in paese artigiani, professionisti, insegnanti, sacerdoti, funzionari d'oltr'alpe, come fu dimostrato anche in alcune definitive pagine del libro edito da Benito Mussolini nel 1911: Il Trentino visto da un socialista.
Nessuna scritta italiana si vede più, nè bilingue, ma solo impera la lingua dei dominatori.
Di fronte a tanta minaccia la nazione nostra è assente; i trentini, troppo impegnati a parare l'insidia che da più parte li preme, danno pochi aiuti.
Ettore e Ferruccio Tolomei sorgono quasi soli a combattere la bella battaglia per l'Italia al Brennero con tenacia grande, quanto è grande l'indifferenza dei connazionali.
Così la guerra trova la nazione impreparata di fronte al problema degli allogeni dentro il confine dello stato. La vittoria acquista il territorio, ma non ricupera i cittadini, in cui la prepotenza teutonica — allo scopo di garantirsi libera e sicura la porta di invasione verso la Penisola — ha soffocato nel corso dei secoli ogni coscienza d'italianità.
Per quattro anni dopo la guerra si lasciano sussistere ed operare tutti gli istrumenti disposti dall'Austria per l'intedescamento definitivo dei paesi a nord di Salorno. E' necessario che si formi la nuova coscienza nazionale, è necessario l'avvento dell'Italia fascista.
La marcia su Roma ha il suo preludio nella marcia su Bolzano e su Trento, per cui sono cacciati di sede Perathoner e Credaro: il tedesco nemico e l'italiano imbelle.
L'Italia finalmente si fa sentire al Brennero. Entra la nostra lingua sovrana nelle scuole, negli uffici statali e comunali, ritorna la toponomastica italiana, si sciolgono le associazioni antinazionali e si troncano i legami con l'estero; si applicano disposizioni atte a nazionalizzare i nuovi cittadini.
L'elemento italiano esce finalmente di minorità, l'alloglotto, per sua natura mite e operoso, si mostra ossequiente alle autorità costituite.
La nostra lingua, grazie ad una saggia politica scolastica, è quasi ovunque intesa e parlata.
I sempre più frequenti contatti con l'interno, specie col Trentino, avvicinano a noi i nuovi connazionali. Le terre ladine e i villaggi sotto Bolzano sono ritornati alla loro italica purezza, nonostante che qua e là vi siano stabiliti ancora medici, funzionari e soprattutto preti tedeschi e che qualche signorotto vi eserciti ancora dei diritti feudali, secondo le costumanze di un tempo.
Sta sorgendo la coscienza nazionale nei numerosissimi sedicenti tedeschi, italiani di sangue e di nome, che popolano Bolzano e i paesi d'intorno, ed i vecchi notabili austriacanti, che un tempo erano dalle nostre autorità riconosciuti e considerati rappresentanti del paese, sono ora messi giustamente da parte.
Il pangermanismo tuttavia non disarma, teme la nostra forza, ma approfitta delle nostre deficenze.
All'estero si sferra una forte propaganda calunniosa contro l'Italia e si raccoglie denaro per finanziare la reazione ai nostri provvedimenti.
Si manifesta una resistenza larvata, capeggiata da pochi individui caparbi, in frequente collegamento coi circoli irredentisti di Innsbruck e di Monaco, aiutati nella loro azione dagli stranieri di recente immigrati, che – in numero assolutamente eccessivo – lavorano e posseggono case e terreni in Alto Adige, anche se diventati – per la longanimità dei passati governi – cittadini italiani.
Più di tutto si dimostra temibile l'opera sobillatrice del clero, che esercita ancora una influenza politica nefasta sulle popolazioni, attraverso la chiesa, la scuola, le istituzioni pie e di beneficenza.
Tentano di resistere associazioni ed istituti antinazionali e perdura dannosa l'opera delle banche austriache che – nonostante i nostri divieti – tengono ancora aperte le loro agenzie di Bolzano, Merano e Bressanone.
Certo molto ancora è da fare, anche perchè la nostra azione ha subìto di quando in quando incertezze ed arresti.
Basti accennare al riscatto del suolo, che particolari disposizioni dovevano favorire, ma che finora non si effettua.
Il risultato di una secolare politica snazionalizzatrice non può sparire in pochi anni.
Ma l'Italia, cancellando un passato di debolezze, deve riprendere sulla soglia ora per sempre vietata il suo posto vigile, attuando quell'opera di assimilazione che il Duce ha proclamato e che è richiesta dall'interesse e dal diritto della nazione.