Thursday, 8 March 2012

Italianità atesina

(Pubblicato in « Gerarchia », agosto 1927)

di Carlo Barduzzi

Il visitatore un po' superficiale che arrivi ancor oggi per la prima volta a Bolzano, ritrae l'impressione di trovarsi in una città di sicura origine tedesca.

Case dal tetto aguzzo, talora ricoperto di squamette colorate di gusto assai discutibile, porte dall'arco policentrico assai ribassato — gli accessi di ampia solenne maestosità non sono mai stati una caratteristica dell'architettura tedesca — struttura generale insomma asimmetrica, inarmonica, tozza e greve, con un diffuso senso germano tirolese ovunque, dall'albergo, al caffè, al negozio, opprimente sciatto e apertamente contrastante con la leggiadra colorita bellezza del paesaggio, reso luminoso da un cielo che per quanto alla soglia del Brennero, ha già una serenità tutta italiana.

Eppure Bolzano non è affatto una città di origine teutonica, e se il visisatore si dà ad osservare con gusto ed attenzione, non gli sfuggiranno palazzi e case che, per quanto minoranza, stanno a testimoniare con la loro linea semplice e dignitosa, coi loro interni spaziosi, con atri decorosi e pavimenti a mosaico veneziano, la loro buona discendenza dallo spirito creatore di nostra gente.

Consultando poi anche poco poco la storia ed i molti documenti che la suffragano, la verità balza chiara ed inequivocabile: l'intedeschimento di Bolzano e della regione circonvicina rimonta a solo poco più di un secolo e fu programma del governo imperialista di Vienna che moltiplicò, e in tale senso diresse questo straripamento germanico al di qua delle Alpi.

Vi sono fenomeni di tale migrazione preordinata del tutto interessanti.

Merano è uno di questi: secondo un piano prestabilito, col concorso dello stato, un piccolo centro agricolo fu trasformato in una città alberghiera. Il suo clima — dolce certamente, ma non paragonabile a quello di tante altre località meno note — fu promosso di grado, e Merano divenne una generalessa tra le stazioni di cura, anche senza acque salutari e con un Dio Pluvio tutt'altro che benigno.

Ma così voleva l'imperial-regio governo, astutamente lungimirante, poichè ogni anno alcune decine di migliaia di tedeschi si scaricavano al di qua delle Alpi autopropagandanti con la loro presenza.

L'Alto Adige è indubbiamente un paese di singolare bellezza montana; ma pure il Trentino ha delle magnifiche risorse estetiche naturali: eppure queste, da quello stesso illuminato governo erano messe in non cale; niente concessioni, niente strade, niente finanziamenti; il Trentino, perchè abitato in quasi totalità da italiani, doveva rimanere un piccolo paese agricolo, asserragliato in quella specie di vicolo con confine inesorabile alle spalle e una non meno inesorabile pressione tedesca sul petto.

I pangermanisti ora — e non sono pochi — che risiedono in Alto Adige, si danno gran da fare, tra una visita cerimoniosa al prefetto e note slavate e claudicanti di « Giovinezza », a far conoscere a tutto il mondo un po' di storia atesina « made in Germany ».

Ma la storia è quella che è, ed i tedeschi, siano essi atesini, o bavaresi, o prussiani, commettono sempre da secoli lo stesso errore psicologico, quello cioè di credere e di voler far credere che storia ed uomini sono fatti su misura secondo le loro aspirazioni nazionali.

La realtà storica è assai diversa, poiché la lingua d'uso in Alto Adige, e segnatamente nella sua città capoluogo, è stata sino alla fine del secolo XVIII la lingua italiana, e solo alle testate delle valli dei valichi del Brennero e di Dobbiaco la colata teutonica si era solidificata qualche tempo prima, causa la facilità dei valichi stessi.


Bolgiano e non Bolzano

Le prove? Eccone qualcuna delle tante e che sono di mia scienza personale per aver ridato loro la luce circa un anno fa e precisamente nell'assumere il Commissariato straordinario della Camera di commercio di Bolzano per ordine del governo fascista.

In questa città esisteva dal 1635 — quindici settembre giorno natale, — per volere dell'arciduchessa Claudia, principessa di Toscana, un magistrato mercantile il cui atto di fondazione, redatto in lingua tedesca — la lingua di stato — ed in lingua italiana — la lingua d'uso locale — porta la seguente intestazione:
« Privileggi begnignamente concessi per le Fiere di Bolgiano dalla serenissima arciduchessa Claudia d'Austria, principessa di Toscana. Capitoli, regole et ordini che in quelle si devono osservare et sua clementissima approbatione ».
Dunque Bolgiano e non Bolzano! Ed alla vera denominazione italiana della città-capoluogo atesina si dovrà pur ritornare!

I « Privileggi » furono poi confermati sempre in tedesco e in italiano, dai succedenti regnanti d'Absburgo, Ferdinando Carlo I, Sigismondo Francesco II, Maria Teresa, e sono ben noti agli studiosi.

Ma non erano noti invece ben ventisei codici e libri riflettenti la storia e la gestione giuridico-amministrativa del magistrato mercantile, tutti redatti in buona lingua italiana.

A Bolgiano dunque, sino alla fine del secolo XVIII, la lingua d'uso era l'italiano: un italiano leggermente veneto, ma ottimo di stile e di vocabolario: un italiano che indicava l'uso continuato ed appropriato della lingua, un italiano al quale nessuno muoveva guerra, poiché a nessuno passava per la mente di volere obbligare gli industri bolgianini a non parlare la lingua dei loro avi! Neppure all'imperatore! Ne fa fede un singolare documento del 1783 in purissima lingua italiana e concernente una supplica dei commercianti bolgianini all'imperatore Giuseppe II.

La cosa, l'imperatore Giuseppe II, la deve aver trovata perfettamente naturale, poichè non ci risulta che egli abbia punito od anche semplicemente redarguito quei tracotanti bolgianini.

Ordunque gli stessi sovrani d'Absburgo, largendo concessioni alle popolazioni atesine, sentivano il dovere di usare anche la lingua del paese. Gli zelatori del pangermanismo dovrebbero far tesoro di queste buone norme, poiché vengono da loro capi potenti e riconosciuti.

I ventisei volumi venuti così alla luce, costituiscono una massa documentale imponente e sulla quale ritornerò a suo tempo con maggiori particolari. Essi sono oggi nelle mani del Duce, studioso acutissimo di problemi nazionali e specialmente tedeschi, come lo dimostra quell'aureo libretto: « Il Trentino », 1911, che forse non molti italiani conoscono, ma che tutti i trentini e gli atesini dovrebbero conoscere.

L'insieme documentale di cui sopra, convogliato nel fiume documentale scaturito dall'opera tenacissima ed impareggiabile del migliore conoscitore dell'Alto Adige e della sua storia, Ettore Tolomei, deve una volta per sempre determinare la chiusura della questione atesina dal punto di vista nazionale.

Quella tal questione atesina che nonostante i patti vittoriosamente firmati col sangue, l'abile — ma non troppo — diplomazia germanica, rinverdisce ad uso delle « bocche di lupo » che le erano familiari in guerra e che sono tuttora familiari alla sua mentalità cosidetta di pace.

E pace vanno pure predicando i solerti vessilliferi del germanesimo in Alto Adige, mentre maneggiano le leve di comando del più importante organismo economico della regione. Ma pace non può essere sino a tanto che la Germania, dopo aver insanguinato a dismisura l'Europa e dopo averla truffata gabellando carta per oro, persiste in questa sua linea psicologica in cui manca ogni traccia di lealtà e attende nuovamente l'alba di quel giorno in cui il diritto di vita degli altri sarà identificato con le necessità della nazione tedesca.

Non v'è più grossolano errore quale quello di guardare il mondo attraverso il vetro colorato d'una innata prosopopea, e di trovarlo tutto tedesco, dalle origini, e cioè dal sesto giorno della divina fatica, sino a quello indefettibilmente prossimo del trionfo totale e livellatore della stirpe germanica, l'«ariana» perfetta dolicocefala, bionda slavata, scheletro non del tutto ben formato ma promettente.


« Il Trentino » di Benito Mussolini

Con quale gustoso piacere non si rileggono le pagine scintillanti del piccolo ma sommamente espressivo libro di Benito Mussolini: « Il Trentino veduto da un socialista » 1911.

Il larvato sarcasmo mussoliniano vi parla delle innocenti e logiche richieste pangermaniste, nonchè delle mirabolanti teorie dei loro « dotti » che applicando una diligente analisi a tutti i sommi della storia altrui vi hanno scoperto — era ben tempo! — una irrefragabile origine tedesca.

Sentite, quanto asserisce senza impietrire uno di questi loro dotti, il Woltmann: Alighieri discende da Aigler, Giotto da Jotte, Donatello Bardi da Barth, Vinci da Vinke, Vecellio da Wetzel, Tasso da Tasse, Buonarroti da Bouhroth, e così via.

E se ci provassimo noi pure a praticare lo stesso sistema con Wagner, Goethe, Schiller, Heine, Beethoven? Tutto il popolo tedesco si leverebbe in massa a gridare «Pfui»!

Ma noi non lo faremo mai, perchè siamo uomini di buon gusto; perchè il diritto è nato in casa nostra, e per esso fummo grandi; e con la sola sua fama ci faremo ancor più grandi.

Questa cleptomania dottamente esercitata sulle ombre inafferrabili dei grandi d'ogni paese, ci farebbe serenamente sorridere se non riflettessimo che c'è troppa gente al di là delle Alpi, che la veste di considerazione e persino di una logica cosidetta nazionale.

L'Alto Adige, ora che il vento nostrano lo va purificando, sfavilla di piccole brace italiane, non del tutto sepolte sotto il lapillo tedesco. Fuoco dei tempi che furono, ma presto rifiammeggiante e distruttore di ogni soprastruttura fatta contro Dio e contro natura.

I paesi ladini delle vallate di lassù sono fuochi che non hanno mai perso il loro guizzo.

Vestali della latinità, hanno serbata la consegna intatta. La fiamma arde sempre giovane attraverso il loro temperamento artistico schiettamente nostrano.

L'atteggiamento gofferello di certi prodotti della scultura in legno tirolese, può essere esso pure pregevole dal punto di vista artistico, ma chi non pensa che lo siano assai di più quelle candide e veramente celestiali madonne di Val Gardena e quei santi dal viso estasiato e puro? Quanta soave bellezza, quale gentile espressione seppero dare quelle mani rudi di montanari dal cuore e dalla mente squisitamente italiani. Mani atavicamente esperte come per legge sacra trasmessa dai padri. Ma passato il naturale sacra trasmessa dai padri.

Ma passato il naturale confine alpino, non si accorge forse anche il più distratto dei turisti che tutto diventa più rigido, più tardo, più triste?

L'arte per certo attinge cime eccelse anche attraverso il sentiero della tragedia. Ma a noi che sentiamo per certo più umanamente del popolo tedesco, davanti a una pur forte tela di Egger Lienz, ci domandiamo se la potenza di espressione, non si possa raggiungere senza rinchiuderla quasi con cinica voluttà in visi deformi e membra storpiate. Prediligere manifestazioni d'arte così morbose non vuol forse significare la negazione della gioia del vivere, infermità di mente e di corpo?

L'artista che con tetra ostinazione trae solo ispirazione da cose storpie o selvaggie, che pur sono in natura, deve questo suo malsano stimolo alla foschia caliginosa che adombra la sua anima senza luce. La sua opera puramente raffigurativa anche se perfetta, non sarà mai educativa, nè costituirà un progresso verso quella perfezione spirituale che scioglie l'uomo dalla materialità terrena e lo rende astro della spiritualità celeste.

Sentiteli cantare nelle loro chiese questi poveri grevi tirolesi d'oltre confine, quando in ispecie l'anima feminea sboccia verso le speranze di una tregua riposante e salubre del travaglio quotidiano. Nelle loro gole come raschiate da alcunchè di metallico geme senza libertà un'anima che non ha slancio.

Una uniformità piatta assidera ed irrigidisce ogni vena emotiva: il canto chiesastico dei tempi della fede più cristallina non potrebbe avere interpreti più meschini.

La forza viva delle genti è come quella dei corpi: è massa per il quadrato della velocità. Date a un popolo molta massa numerica, ma poca velocità intellettiva, e la sua forza viva sarà inferiore a quella di un altro, di massa numerica minore, ma di maggiore vitalità spirituale. Nell'agone delle stirpi, prima sarà quella che avrà discoperto il migliore equilibrio d'applicazione tra questi due fattori di successo.

Il germanesimo si è basato, e si basa particolarmente sulla massa. Per questo in nessun momento della sua storia è assurto a dominio europeo.

Nè vi assurgerà anche se con la pece della sua presunzione si illude di fissare nel libro della sua storia i massimi genii altrui, miopicamente dimentico che i suoi maggiori si sono voluttuosamente dissetati alla libera fonte della sapienza e della bellezza latina.

Per scrutare un orizzonte e per indicare una mèta non si può avere lo sguardo annebbiato sulla reale essenza morale della vita umana. Essa è fatta anzitutto di sentimento, e principe fra tutti i sentimenti sta sempre la lealtà d'atti e di pensieri, tanto più pregevole se coraggiosa come lo ha dimostrato il fascismo che con la sola arma della sua mirabile chiarezza debella ad uno ad uno tutti i suoi nemici.


Il Trentino e l'Alto Adige

La politica viennese durante la guerra aveva per programma di far ingoiare il Trentino grado grado dai tedeschi, scendenti dall'Alto Adige, già praticamente sommerso.

Essa aveva allora un collaboratore devoto, pronto a tutto, dimentico di ogni origine nazionale, vile e servizievole.

Era il partito clericale d'allora, che nel dopo-guerra ha costituito uno dei più agguerriti pattuglioni dell'esercito di don Sturzo.

Ecco quanto ne scriveva Benito Mussolini con lucida percezione e tipica efficacia descrittiva, nello stesso libro sopra citato:
« Colui che volesse studiare con profitto la formazione, l'essenza, la tattica di un partito sinceramente clericale, dovrebbe soggiornare qualche tempo nel Trentino. Qui il clericalismo non è adulterato o mascherato dalla religione o da vernici modernistiche: è genuino.  
E si mostra anzitutto come una vasta e ben congegnata organizzazione di interessi profani, organizzazione che deve conservare il dominio politico, economico, spirituale della popolazione. La massima dei clericali trentini è quella del vescovo Pelizzo da Padova: Una chiesa di meno, ed un giornale di più! Ma per assicurare i giornali occorrono cespiti fissi; di qui banche, cooperative, imprese industriali. La rete degli interessi clericali è così fitta da soffocare il Trentino. Ma a questa soggezione materiale va unita quella spirituale. I fogli dei preti esercitano una specie di censura su quanto scrivono e pensano i cittadini; questa censura tocca molto spesso i termini della diffamazione e della delazione. Per i clericali trentini il nemico è l'Italia. Essi sono austriacanti.  
Nel loro giornale si leggeva che se si vuol ottenere qualcosa dallo stato austriaco, bisogna esserne fedeli sudditi. Nei ricreatori cattolici si cantava e forse si canta ancora questa strofetta: 
Colla pell de Garibaldi
Ne faremm tanti tamburi,
Tirolesi stè sicuri
Garibaldi no ven più
.
Per le feste hoferiane celebratesi l'anno scorso, i clericali hanno organizzato le bande dei trentini che si recarono — per poche decine di lire — a sfilare in parata dinanzi all'imperatore per dimostrargli che Trentino e Tirolo non costituiscono che una sola indissolubile provincia. Il vescovo don Celestino mandò una circolare a tutti i parroci e decani, eccitandoli a fare dal pergamo il panegirico di Andrea Hofer, per suggerimento, probabilmente, del governo. E poichè oportet clericos laicosque cum episcopis sui coniunctissime vivere et agere (così leggesi in testa alla ex « Voce Cattolica » oggi giornale il « Trentino »), l'elemento laico clericale tenne un contegno equivoco, biasimò le dimostrazioni anti-tirolesi, rinnovando le sue proteste di devozione all'impero e allo Stato! ».
E più oltre ancora:
« Questo convien fissare per ora — riassumendo queste note — e ad edificazione dei « regnicoli » irredentisti, che il partito clericale trentino, dominatore della maggioranza della popolazione, è apertamente austriacante ed anti-italiano. 
Se per dannata ipotesi l'Austria indicesse un referendum tra gli abitanti del Trentino onde si pronunciassero per l'adesione agli Absburgo o ai Savoia, partirebbero dal Vaticano trentino carovane di preti a propugnare per tutte le l'unione all'Italia è contro la religione e ai voleri della divina provvidenza. 
Questo referendum darebbe — ne siamo sicuri — una strabocchevole maggioranza di voti favorevoli all'Austria. Poichè l'unico programma dei cattolici trentini si augura e vuole che "...la gialla e nera bandiera le forze di tutti congiunga ed i cuor" ».
E ancora trattando dell'economia trentina:
« L'avvenire economico del Trentino è legato al suo avvenire politico. L'autonomia dal Tirolo è la prima condizione per lo sviluppo delle energie economiche del Trentino. 
Il Governo e la Provincia ostacolano sordamente e palesemente tutte le iniziative private, trentine o italiane. L'Austria teme e non vuole un Trentino industrializzato. Difatti le grandi forze naturali restano inutilizzate.
Negli ultimi dieci anni vennero costruite centrali elettriche per 15.000 eavalli vapore. Orbene, le forze idroelettriche raggiungono il decuplo. Ma dati gli ostacoli governativi e il carattere alquanto timido del trentino, pochissimo è il capitale trentino investito nelle industrie.
Se il benessere è alquanto aumentato in quest'ultimo ventennio, lo si deve non a un regime governativo meno dissanguatore, ma al lavoro degli emigranti, specie temporanei.
Questa fortissima esportazione di braccia è la fonte maggiore di ricchezza del Trentino ».
E trattando del rapporto tra Trentino e Tirolo dice:
« Sono due parti della stessa provincia, due parti, non solo diverse l'una dall'altra, ma in antitesi irreducibile. Il Tirolo è il tutore, il Trentino è il pupillo. Il Trentino « subisce » una amministrazione composta in gran parte della borghesia clericale e feudale del Tirolo. 
La lamentevole situazione politica ed anche economica del Trentino, dipende da questo connubio forzato con la gente di oltre Brennero. 
La enumerazione delle differenze tra le due regioni e i due popoli potrebbe continuare, come ognun vede, all'infinito, ma senza modificare lo stato di fatto! ».
Questa la diagnosi mirabile di Benito Mussolini nel 1911, quando l'Austria era saldissima in arcione, e quando solo lo spirito divinatore del Duce poteva indicare i mezzi di salvezza per una regione favorita dalla natura quanto poche altre nella delimitazione esatta dei suoi confini, e pur violentata dalla invasione tedesca.

I fatti confermarono poi la diagnosi singolare, e durante la guerra e dopo. E quel partito popolare che coi suoi viscidi tentacoli, aveva paralizzato ogni mossa dell'anima italiana-trentina e succhiato ogni linfa vitale al paese, era lo stesso che nel febbraio del 1921, quando già per le piazze d'Italia giovani martiri segnavano gli albori della rivoluzione fascista, indiceva in Rovereto una grande adunata di 205 sindaci per chiedere al pusillanime governo di allora, l'autonomia del Trentino!

Oltraggio più vile non poteva essere compiuto verso la patria che aveva tanto dato per la redenzione del paese dal servaggio tedesco. Oltraggio più vile non poteva essere compiuto se non da quel partito di sedicenti italiani che aveva fatto completa dedizione di ogni sentimento nazionale all'oppressore austriaco!

No, questi non potevano essere figli d'Italia, se della madre rifiutavano l'abbraccio! Ma venne il vindice fascismo, creato e guidato proprio dall'Uomo che aveva avuto il coraggio di gridare in faccia al nemico il fatto suo.

Il fascismo li snidò grado grado dalle loro secolari posizioni, e il popolo di Trento comprese finalmente che dalle regioni sorelle veniva la vera religione della patria, nutrita di una fede eccelsa, incrollabile: la fede del buon sangue di nostra gente, la fede delle sole forze nostre, la fede del grand amore per la nostra terra diletta, finalmente tutta nostra anche dalla soglia del Brennero al Quarnaro.