Thursday, 8 March 2012

L'educazione musicale nelle scuole

(Pubblicato in « Cultura Fascista », 1928)

di Leonardo Grassi


I.

Siamo sulla buona via. Dopo l'avviamento per una più intensa e razionale educazione ginnica dei giovani, attraverso l'O. N. B., non potevano mancare le cure per la loro educazione musicale. Così veramente l'arte educativa ritorna ad esser classica, vale a dire umana. E dopo tanto approfondimento etico ed estetico, non fa bisogno più evocare l'ombra del vecchio poeta filosofo dell'educazione estetica dell'uomo, che additò l'arte quale mediatrice di questa umanità e agli artisti disse che la dignità umana era nelle loro mani; che la custodissero:

Der Menschheit Würde ist in eure Hand gegeben: Bewahret sie...

Pensiero e consiglio, sgorgati dalla sua più profonda personale esperienza; che il suo spirito, secondo cantò di lui il suo sommo amico, « sempre procedette con passo possente nell'eternità del Bello e del Buono, lasciandosi indietro, come cosa irreale — in wesenlosem Scheine — la volgarità che tutti avvince: was uns alle bändigt das Gemeine ». Ma l'umanità è soprattutto armonia, armonia di pensiero come armonia di azione, come poi armonia di pensiero e azione, e a questa suprema armonia spirituale ci si arriva tanto più facilmente quanto è più saldo il senso armonioso delle cose tutte e, al di sopra di ogni cosa, di quella che ci trasciniamo appresso a mediare la conquista delle altre, ad affermarci col far tralucere attraverso di quelle la nostra volontà o il nostro sogno : quella cosa che è il nostro corpo, ora tanto pesante da assorbirci e annullarci nel suo peso, in questo come in una tomba rinchiudendoci, ora tanto leggiera da sollevarci e sostenerci in alto, comunicando il suo fremito d'ala all'anima nostra, che ne diviene anch'essa alata e s'innalza alla conquista e al dominio d'ogni più avverso elemento; così leggera da poter essere buttata via come una fiammella di vittoria; e allora ci ricade nel cuore e ne è rinchiusa e fatta splendente. Sì, anche il semplice muscolo ha un suo essenziale ritmo, che è bene intensificare e svolgere; c'è una musica delle membra, fisicamente considerate; chè dovunque è un rapporto, ivi è musica, dolce o aspra che sia. Ed anche questa musica è incitatrice a sentirne di più dolci e sublimi. Ma è d'uopo andare incontro a questo nascente bisogno, che può anche restar soffocato dalla troppo accresciuta corporalità, fatta anche petulante e insolente.

Qui ci troviamo ancora una volta ai piedi di quella scala che in alto si perde nel ciclo. Ogni bene tende verso un infinito bene, ogni vero verso un infinito vero, ogni bello verso un infinito bello; e così ogni musica verso l'infinita musica, di cui è eco quella vasta sinfonìa dell'anima, in cui tutti i temi confluiscono nel vortice che sale. Dunque, al senso ritmico delle nostre membra, educato dalla ginnastica, bisogna dare l'ausilio del senso ritmico dell'orecchio, educato dai suoni, perchè il primo ascenda alla spiritualizzazione e di essa sia simbolo ed eco.

Vorrei dire che la ginnastica è il vestibolo del vasto tempio della cultura risuonante delle più diverse musiche, in ognuna delle quali è un palpito dell'anima umana, e voglio poi dire che, per lo stesso ritmo delle membra, la ginnastica è necessaria, ma non sufficiente; essa deve essere integrata dalla ginnastica del senso dei suoni. Altrimenti non avrebbe scuso. Nella ginnastica, che sia educazione umana del corpo, sforzo di render questo corpo sempre meglio trasparente allo spirito, è implicito il concetto di danza. Non è pensabile un moto corporale educato che non sia un gesto; come poi non è possibile che un profondo sentimento, cioè un interiore musica, non si traduca in un gesto, che è per se una musica, o in un tessuto sinfonico di gesti. Sappiamo bene che le origini della danza sono sacre, che senza danza non può esserci religione, senza cioè riti e liturgie e coreografie, dal ritmo tanto diverso e vario, quanto vario e diverso è il moto dell'anima nei suoi slanci verso Dio. Ma la religione è il sommo vertice dell'umana emotività, la forma trascendentale di questa. E la danza da una parte, e la musica dall'altra, che la traducono, lo fanno dandole quell'accento ineffabile che la costituiscono sacra, e che è l'espressione di quella trascendentalità. Senza questo accento, e quindi senza quella forma, noi restiamo in contatto con l'essere passionale nostro dai mille ritmi, destantisi al tocco specifico: quella specie di clavicembalo, di cui parlava il Herder, che forma la nostra propria natura, in ciò che essa ha di più intimo. Per comprendere perciò tutto il significato e l'importanza d'una educazione musicale approfondita, sistematicamente condotta, bisogna conquistare il concetto della musica, come immanente all'essere nostro, come la stessa voce dell'attualità di quest'essere: attualità fenomenizzata o fenomenizzantesi in successione temporale ritmica. Dobbiamo arrivare a pensare che una cultura, in quanto atteggiamento spirituale, è un certo ritmo dell'anima e quindi traducibile in un certo carattere di musica.

II.

Il Combarieu, nel suo bel libro su la Musique, ses lois, son évolution, studia precisamente il divenire della musica in rapporto allo stato sociale. Ad esempio, analizza una sonata di J. S. Bach dal punto di vista sociologico, mostrandola specchio dei diversi e complessi fattori della vita del E poi, ecco la musica francese sotto l'ancien régime: essa è piena d'agrément. « Ad ogni istante la linea melodica s'inflette pour faire des grâces ». E quegli agréments sono le papillottes, i nastri, j nodi e le mosche d'una musica essenzialmente mondana, di cui il Saint-Aubin ci dà un'idea esatta nella sua celebre incisione: Il concerto; il bello spirito e la coquetterie dei salons trovano là il loro equivalente. L'uno dei Couperins ha scritto che suonando il clavicembalista dovesse guardare l'uditorio e sorridergli. Ed ecco invece la musica dopo il 1793 : abbandono delle gentilezze strumentali, entusiasmo ingenuo e declamatorio che si traduce con la franchezza dei ritmi, la semplicità della linea melodica, l'impiego delle masse vocali, l'ignoranza o il disdegno delle sottilità armoniche. Come negare le concordanze, di questi fatti con il mutamento dei costumi! E forse, osservo io, la musica di Beethoven non è il riflesso di quello sforzo d'affrancamento personale, in cui è rutta l'anima romantica? E quella del Verdi non e corrusca di baleni di rivolta o mugghiante e tonante d'battaglie, di vittorie e di gloria, o languida di abbandoni patetici ai zefiri susurranti, o possente nel profondo respiro dell'ansia eroica? « Si ridesti il Leon di Castiglia » : canta il coro dell'Emani ; ma il Leon di Castiglia preannunziata il Leon di Caprera, faceva notare ai suoi tempi l'indimenticabile Don Giovanni Bovio. E il discorso potrebbe ancora continuare per un pezzo, e svilupparsi e compilarsi di nuovi problemi e di soluzioni nuove; potendo, ad esempio, rispondersi all'obbiezione che è proprio di tutte le arti il rivelare l'animo del secolo affermando che è della musica sola la rivelazione diretta, nuda, essenziale di quest'anima, che palpita in ogni capolavoro. Io lo chiudo invece, ritornando ai Combarieu e citandolo ancora una volta: « La musica e ribelle ad ogni analisi che voglia esplicare la sua essenza; essa sembra isolata, in mezzo alle arti del disegno e del ritmo. Ma se è così, è perchè essa ha degli addentellati profondi e non superficiali, con la vita individuale, sociale e cosmica. Il mistero che l'avvolge non viene affatto dalla sua natura e dalla sua organizzazione, sib bene dalla vita stessa che essa esprime con una penetrazione profonda e sotto la forma la più generale... Se una parte del suo secreto ci sfugge, è perchè quello della natura ci è impenetrabile: e quand'anche noi lo conoscessimo, non ci sarebbe possibile formularlo con delle parole ».

Non è certo il caso di schizzare qui le linee d'una estetica della musica, a cominciare da quella stessa del Combarieu che la definisce: L'art de penser avec des sons. Accenno solo al concepimento di chi vede in lei l'incessante flusso del desiderio attraverso la dialettica del concetto di tempo e ritmo. Il primo è dolore e se ne hr. la sensazione col rallentarsi dell'attività vitale; il secondo riduce ad unità il fluire del primo e quindi ne cancella la sensazione, sostituendola con quella dell'istante vivo e vissuto. Precisamente il Balilla Pratella, deciso sostenitore di questa teoria, afferma che « ritmizzare il tempo vuol dire riattivare la vita, creare la vita, distruggere il dolore. E questa funzione del rit- mizzare il tempo è propria della musica, l'arte del ritmo, la ricreazione geniale della gioiosa attività vitale ». Egli si muove attorno al principio filosofico-religioso, che parte dall'enigma del nostro essere manifestantesi nei due fenomeni essenziali : gioia-vita, dolore-morte. « La musica è la gran voce del nostro istinto, che vuole uccidere col ritmo (la vita) il dolore (il tempo, la morte) ». Che a me pare una intuizione dove l'unica verità che si possa veder tralucere è quella espressa dalla mia suddetta formula della musica: fenomenizzamento della piena attualità spirituale.

Ciò posto, intensificare i senso ritmico, far crescere e nell'anima il mondo dei suoni, è far crescere e giganteggiare in essa — certo come intuizione all'inizio — il mondo dello spirito, veramente umanizzarla. Quel mondo poi sarà fecondato e lievitato, perchè si trasformi in pensiero chiaro e quindi in volere fermo e teso alla realizzazione della nostra massima unità personale, dagli studi e dalle discipline scolastiche e soprattutto dalla morale disciplina. E io dico che l'allenamento dei giovani scolari a gustare le buone musiche richiesto dal Ministro della P. I. è il più efficace modo perchè diventi realtà il voto contenuto nell'ordine del giorno del Gran Consiglio, in cui questo invita il Ministro suddetto a provvedere che la scuola sia messa ancor più a diretto contatto con la vita, in tutte le sue manifestazioni di forza, di bellezza e di lavoro.

III.

Ma a far sì che le parole non restino parole, occorre innanzi tutto sgombrare il terreno da un preconcetto molto diffuso. L'Italia, si dice, è la terra della musica; e con ciò si afferma qualcosa che, senza esclusivismi, è una verità. Ma comincia a non esser più tale, quando vi s'insinua l'idea che perciò si possa fare a meno e di studio e di disciplina severissima, o che il senso musicale sia qualcosa di perfetto, come un istinto deposto dalla natura in certi uomini, o anche in certe nazioni o razze. No, il gusto musicale si acquista e affina con i esperienza illuminata e l'esercizio, come ogni altro gusto, forse a preferenza di ogni altro. Siamo un popolo certo straordinariamente fornito di attitudini musicali ina altrettanto straordinariamente rozzo, come collettività, nei rispetti dell'educazione di queste attitudini, per quanti progressi si possono aver fatti in questo principio di secolo. Ma quanto cammino ci resta da fare ancora per metterci al passo con altri popoli, anche meno dotati del nostro, specie nel Mezzogiorno, che pure in quanto a capacità meliche è privilegiatissimo!

Egli si è che la musica è arte essenzialmente sociale, e del senso della socialità si alimenta e si arricchisce e rafforza il suo potere educativo, in particolar modo se questa socialità è di carattere religioso. Non si comprenderebbe Bach e tutto lo svolgersi della grande musica sinfonica tedesca, senza il fiorire delle società corali germaniche, raccoglienti il popolo e unificandolo nel canto di salmi. Il popolo italiano per converso non ha avuto altra educazione che quella del melodramma; che è sì una gloria nostra, che ha uno straordinario valore storico, che fu anche uno specchio al suo inizio, e dopo l'eco sonora d'una grande civiltà, ma non per questo cessa di essere un prodotto ibrido, più vicino allo spirito plastico che a quello musicale, più capace a portare alla dissipazione che al raccoglimento le forze ritmiche dell'anima, e comunque non effettuante che una superficiale educazione di queste nel popolo: non più che una base, su cui poi il genio vero della musica ha da elevare ie sue volte e le sue cupole, per davvero risonanti d'infinito. Questo genio dovrebbe innanzi tutto scendere alle folle dalle basiliche e dai tempi cattolici, definitivamente dati alla musica sacra. Bisogna confessare che su questa via si è fatto, da un tempo a questa parte, molto; ma anche qui, ohimè; quanto poco nel Mezzogiorno!, dove d'ordinario è rimasta lettera morta la riforma voluta da Pio X, dove le chiese si trovano ancora abbandonate alle orchestre e alle bande soffianti il loro rumoroso e mondano spirito in faccia a quello della preghiera, che ne resta oppresso. E dove là sono sorte o, se anche sorte, dove sono fiorenti le Scholae cantorum? Eppure è indiscutibile che la più perfetta scuola di educazione musicale del popolo, sarebbe quella che si effettuasse a mezzo della musica religiosa, agente su questo popolo raccolto ed elevato nella preghiera. Ma lasciando stare un ideale tanto lontano dalle presenti condizioni di vita, che, fra l'altro, per attuarsi presuppone un popolo d'una sensibilità musicale molto elevata, cosicché ci troviamo chiusi in un circolo, come sempre avviene, ogni qual volta, studiando i fattori della vita sociale li poniamo separati, astrattamente graduandoli; lasciando stare dunque un tale problema, si può tanto più insistere su tutte quelle condizioni o istituzioni o organismi tecnici, che possono essere costituiti dalla buona volontà di amatori e personalità collettive. Bisogna fare in modo che il popolo beva a larghi sorsi la musica, ma nei concerti cui presieda un criterio educativo; e si deve per far ciò, come è evidente, non servire le ragioni economiche, ma farsene servire. Bisogna, in altri termini, persuaderci che occorre spender molto anche qui, come per le altre forme d'istruzione e di educazione del popolo. Ed ecco più concretamente il mio pensiero. Ogni città d'Italia, anche se piccola, deve avere il suo Augusteo, come può averlo, s'intende; o capace, come quello di Roma, di ridare gloriosamente l'anima delle poderose e vaste costruzioni sinfoniche, o solo quella d'una passacaglia settecentesca o d'un lieder romantico, comunque organismo vero e proprio, avente una sua autonomia, cioè un preciso pensiero e una volontà fervida. Tali organismi potrebbero essere creati e curati dalle società musicali, dovunque queste possano sorgere e fiorire; e si capisce che si debba dare dalle autorità ogni cura perchè sorgano e fioriscano. E dove no, ci penseranno le municipalità. Nel Mezzogiorno non ci sarebbe da contare che su queste, quando però lo Stato volesse obbligarle. Chè non ci sarebbe affatto da contare, se abbandonate a se stesse; se mai sarebbero solo capaci del sovvenzionamento d'una qualche impresa lirica. Insomma Io Stato, consapevole dell'enorme importanza dell'educazione musicale, quale fattore di quella umana e civile, e perciò anche politica, richiederebbe dalle municipalità la funzione diremmo largamente culturale — che dovrebbe importare anche cura pei musei e per le biblioteche — come richiede quella scolastica elementare : che ci sarebbe di strano? Piuttosto più che strano sarebbe il contegno di passività da parte dello Stato in una tale opera. Naturalmente per arrivare a questo, sarebbe necessario pensar bene il pensiero dej valore squisitamente educativo della musica. Bisogna intanto considerare che, ai tempi che corrono, a costituire quei tali focolai occorrono grandi finanziamenti; che nei piccoli centri, e specie del Meridione, non possono aversi per iniziativa privata. A meno che non ci si metta il Partito di mezzo. Sì, ecco un'idea, che va afferrata e approfondita. Infatti, data la concezione fascista del Partito-Stato, per cui sempre più chiara va vedendosi la funzione sua culturale, educativa e scolastica, politica nel senso d'una superiore etica, perchè gli organi suoi non dovrebbero assumere sii di sè questa specialissima forma di azione educativa data dalla musica? In conclusione, lo Stato o direttamente o indirettamente come Comune o meglio ancora, come Partito deve assistere e promuovere o anche creare, dovunque un lembo d'Italia sia ancora da conquistare moralmente a se stessa, quei focolai di vita musicale. Solo così i desideri del Ministro potrebbero essere soddisfatti, e il voto del Gran Consiglio bene avviato verso la realizzazione sua. Altrimenti le parole non potranno restare che parole; e si avrà l'impressione che, a dispetto del proclamato rinnovamento degli animi, questi di rinnovato non abbiano che la veste e le formule. Senza una volontà inflessibile che l'educazione musicale venga attuata, per lo meno in ogni città sede di scuole medie, le cose continueranno a camminare come oggi camminano. Nei grandi centri — dove i templi hanno determinato un notevole progresso di quella cultura in funzione d'un notevole avanzamento nei concepimenti estetici relativi — i ragazzi delle medie se ne avvantaggeranno e ne riceveranno incitamento e suggestioni; nei medi e piccoli centri invece — dove pure si pagano le tasse e si posseggono gli stessi diritti alla pubblica istruzione ed educazione e dove gl'ingegni promettenti fioriscono in misura forse maggiore che nei grandi, per una più rude forza nativa che li alimenta — quei ragazzi continueranno ad educarsi al gusto delle armonie, le domeniche, in piazza del Municipio, ascoltando a bocca aperta i concerti bandistici con le virtuosità, fiorite di stecche, delle cornette, gli anfanamenti dei tromboni cantabili e le maccheroniche evoluzioni dei bombardini, con contorno di grancassa e maciullamento evidente del divino corpo delle nostre vecchie musiche.