Wednesday, 7 March 2012

Leggenda di Muti

(Pubblicato in « Corrispondenza Repubblicana », 24 agosto 1944)

di Benito Mussolini

Se qualcuno ancora si illudeva sulla consistenza effettiva delle dichiarazioni programmatiche con cui i traditori del luglio avevano iniziato la loro attività di governo, l'uccisione di Ettore Muti segnò il punto di resipiscenza. Badoglio e compagni avevano giocato fino allora con l'equivoco, rivestendo di panni libertari lo stato d'assedio, mascherando con affermazioni di lealismo il desiderio segreto di tradire, gridando « onestà e purezza », mentre gettavano il fango sugli uomini del fascismo. Anche su Muti si cercò di gettare il fango; e tutti ricordano quel primo obbrobrioso comunicato in cui si accennava in modo vago, perché non era stato possibile trovare nessun dato concreto, a malversazioni ed a inchieste. A contatto con la tempra purissima dell'Eroe il tentativo non resse; gli stessi pennivendoli che sporcavano in quell'epoca le pagine dei giornali non ebbero il coraggio di insistere nella calunnia, e nel silenzio della stampa la verità parve già quella che doveva essere confermata più tardi dalle dichiarazioni di un testimonio oculare: Muti era stato ucciso esclusivamente perché egli era in quel momento, per il suo passato di combattente e per l'impeccabile figura morale, un « pericoloso » esponente del fascismo, un uomo che non si poteva eliminare con le subdole armi della parola e dell'insinuazione. Egli rappresentava, cioè, quello che il fascismo aveva espresso di più puro dal suo seno: la gloria militare, la franchezza civile, la purezza degli intendimenti e delle azioni, l'amore incondizionato alla Patria, il senso del sacrificio. Si poteva prevedere che a lui, come ad una meta fissa, avrebbero finito col rivolgersi gli occhi di coloro che dal travaglio del colpo di Stato stavano in qualche modo uscendo e che, smarriti, si guardavano intorno alla ricerca di un solido valore umano a cui aggrapparsi. Perciò Muti fu ucciso. Perché intorno a lui, alla sua aureola di soldato, alla sua incorruttibilità di uomo, alla sua fede di fascista, il fascismo non avesse a rinascere ed a trovare unità.

Si svelava così l'intendimento più profondo degli uomini dei quarantacinque giorni: distruggere il fascismo, costasse quello che poteva. A questo fine fu negato il rispetto al genio, arrestando Mussolini all'uscita da villa Savoia e offrendolo al nemico in ostaggio; fu distrutto il valore della personalità umana, dando la caccia ai fascisti rimasti fedeli; assassinato il più illustre fra i soldati d'Italia, rinnegando anche quel minimo di reverenza che è dovuto all'eroe; fu infine rinnegata anche la Patria, gettandola nell'abisso di un armistizio senza precedenti e di uno sfacelo senza confini.

L'assassinio di Muti prelude così l'assassinio dell'Italia ed era naturale che fosse in tal modo, perché Ettore Muti era fra i più puri e significativi figli d'Italia. Appunto il motivo per cui un gruppo di carabinieri trasse dalla sua casa il colonnello Muti e, inscenata una piccola, lurida commedia nel bosco, lo freddò alla schiena; appunto per questo motivo la figura di Ettore Muti e la sua morte acquistano valore simbolico. In lui i nemici vollero identificare l'autentico fascismo, quello operante, semplice, degli uomini d'azione, delle squadre della vigilia, delle colonne marcianti su Roma, dei legionari d'Africa e di Spagna, dei volontari di questa guerra. Il fascismo che, meglio e più facilmente, si identifica con l'Italia.

Già l'identificazione era stata compiuta dalla coscienza popolare, che, tra gli uomini che abilità o fortuna avevano posto attorno al Duce, aveva immediatamente designato in Ettore Muti il più vicino al popolo, il più semplice e retto, il più immediatamente comprensibile, il più fascinoso. E a lui erano andate le speranze e i voti dei fascisti tutti in ogni momento durante la nostra storia, quasi per accentuarne il valore simbolico. Perché egli era fin nelle più minute espressioni della sua vita proprio la personificazione di quel fascismo attivo che aveva portato alla rivoluzione e al trionfo. Cavalleresco, coraggioso, spregiudicato, profondamente buono, magari ingenuo, fermamente credente in alcuni valori ideali, non complicati da turbamenti morali o da deviazioni intellettualistiche. Soldato anzitutto, soldato d'Italia e soldato del Duce.

Come tale egli apparve, dopo l'arresto del Duce e il disorientamento prodotto nelle coscienze dal 25 luglio, l'unico uomo a cui, in tempo di guerra, un uomo e in particolare un soldato potesse rivolgersi con sicura fede. E in lui, proprio per la stessa causa, si volle colpire non soltanto il comandante di squadre d'azione o il segretario del Partito o il fedele a Mussolini, quanto anche il soldato coraggioso e indomabile, che in tutte le guerre, in cielo e in terra, aveva espresso il meglio dell'esercito italiano. Se già nelle cancellerie segrete del tradimento si preparavano le clausole dell'armistizio che avrebbero sancito la consegna al nemico delle flotte aerea e navale e il disarmo completo della truppa, era naturale che la figura di Muti, eroe senza macchia e senza paura, suonasse irrisione, fosse d'ostacolo, dovesse essere stroncata. Ma il tenente Taddei e l'innominato in tuta cachi che si fecero materiali esecutori dell'omicidio operarono invano, anzi operarono in nostro favore. Se una data si può porre alla rinascita spirituale del fascismo dopo la pugnalata alla schiena del luglio, essa va posta proprio al 24 agosto, alla morte di Muti. Come sempre il colmo dell'aberrazione coincide col principio del rinnovamento.

I disorientati ritrovarono la loro strada, i dubbiosi furono costretti a scegliere, gli onesti a meditare, i coraggiosi si prepararono ad agire. Con l'aggressione di Ettore Muti, tutti gli italiani si erano, tranne pochi degenerati, sentiti colpiti. I soldati perché egli era il migliore di loro, i fascisti perché era uno dei primi, tutti gli onesti perché era un onesto, tutti i puri perché era un puro. E nel marasma delle opinioni contrastanti e della inutile violenza verbale che imperversavano allora si cominciò di nuovo a sentire in molti il fremito di indignazione prodotto dall'assassinio, la voce del dovere e dell'onore che si faceva faticosamente strada. Nel nome di Muti morto, come un tempo in quello di Muti vivo, gli italiani migliori cominciavano a ritrovarsi. È quando il movimento di rinascita poté, nel settembre, uscire dalle chiuse delle adunanze segrete e degli appuntamenti clandestini per ripercorrere le piazze e riconquistare il suo posto al sole, il nome di Ettore Muti fu scritto su tutte le bandiere. Era il suo spirito che trionfava sulla morte, come sulla morte aveva trionfato il suo poderoso corpo di atleta in cento e cento pericoli. E il soldato più decorato d'Italia e l'infaticato sprezzatore dì rischi, colui che la morte in guerra non aveva voluto e che solo aveva potuto essere ucciso alle spalle da carnefici assoldati fu più vivo di prima.

Nel suo nome le prime squadre d'azione della rinascita iniziarono l'opera di ripulitura e di rinnovamento; del suo nome si fregiarono i gagliardetti delle legioni che all'interno combattono contro l'anti-Italia; nel suo spirito si è ripresa la lotta. E bisognerà inflessibilmente vigilare perché l'immacolata bandiera di Muti sia sempre impugnata da purissime mani.

I franchi tiratori toscani del movimento della riscossa nazionale che, nelle strade e nelle case della città del giglio o sui colli fiesolani, contrastano il passo con indomito coraggio agli invasori e ai rinnegati; le Brigate nere che liberano dalla terroristica minaccia dei banditi le provincie di confine; le nuove divisioni che in armi aspettano l'ora della mischia; i battaglioni delle camicie nere già provati da tanti combattimenti e più forti che mai; gli arditi del mare che portano puntate offensive contro i colossi avversari; gli aviatori, ardimentosi manipoli che ripercorrono nel segno del tricolore il cielo sgomberato dal tradimento, tutti coloro cioè che oggi sono in piedi in nome dell'onore e del dovere della Patria non sono che i figli spirituali di Ettore Muti.