Wednesday, 7 March 2012

8 settembre: morte della monarchia

(Pubblicato in « Corrispondenza Repubblicana », 15 giugno 1944)

di Benito Mussolini

Uno degli aspetti singolari della nostra guerra non è stato ancora posto in rilievo: il fatto cioè che la Repubblica Sociale Italiana tenga fede a un impegno solenne preso a nome del popolo dall'ex-re!

Rileggendo quello che fu detto e scritto in occasione della nostra entrata in guerra, ci siamo imbattuti nel testo del proclama che fu diramato l'11 giugno 1940 dall'allora nostro sovrano. Esso dice:
« Soldati di terra, di mare e dell'aria!
Capo supremo di tutte le Forze di terra, di mare e dell'ada, seguendo i miei sentimenti e le tradizioni della mia Casa, come venticinque anni or sono, ritorno fra voi.
Affido al capo del Governo, Duce del fascismo, primo maresciallo dell'Impero, il comando delle truppe operanti su tutte le fronti.
Il mio primo pensiero vi raggiunge mentre, con me, dividendo l'attaccamento profondo e la dedizione completa alla nostra Patria immortale, vi accingete ad affrontare, insieme con la Germania alleata, nuove difficili prove con fede incrollabile dì superarle.
Soldati di terra, di mare e dell'aria!
Unito a voi come non mai, sono sicuro che il vostro valore e il patriottismo del popolo italiano sapranno ancora una volta assicurare la vittoria alle nostre armi gloriose ».
Il postulato supremo da cui muove tutta l'azione della Repubblica Sociale Italiana è per l'appunto la continuazione della guerra contro il nemico, a fianco dell'alleato germanico. Giuridicamente la situazione è mutata solamente in questo: noi non riconosciamo più come capo supremo l'ex-re e consideriamo invece tuttora conferito dal popolo a Mussolini il comando a lui già affidato dall'allora sovrano in carica. Le dimissioni di Mussolini, che non furono mai date, sono storicamente e costituzionalmente nulle e cosi pure l'ordine del giorno del Gran Consiglio.

Cavillare non è nostro costume, specialmente nella situazione odierna, ma è bene sottolineare che, a parte ogni influsso di ordine militare, il re non poteva costituzionalmente agire come ha agito, tanto è vero che gli antifascisti hanno dovuto disfarsi di lui esautorando contemporaneamente il suo luogotenente Umberto e dimostrando, col rifiutarsi di prestar giuramento alla monarchia, che la monarchia stessa è ormai spoglia di ogni legalità e costituzionalità. Essa è in via di assoluta liquidazione, liquidazione che porterà anche per le terre invase a una situazione esplicitamente repubblicana, che oggi non si osa creare solo per il fatto che noi tale crisi istituzionale l'abbiamo radicalmente risolta. È lecito credere che, se nel nord non ci fosse una Repubblica, oggi esisterebbe a Roma non un Quirinale monarchico, dal cui balcone è pericoloso sporgersi, ma un palazzo Chigi repubblicano.

Vittorio Emanuele, quando l'11 giugno dirama il proclama per l'entrata in guerra contro gli anglofrancesi, è nel pieno possesso delle sue pur non eccelse facoltà mentali, ed esplica comunque i poteri accordatigli dalla Costituzione in nome de popolo. Quando, invece, fa catturare con un trucco criminale Mussolini, e pugnala il fascismo che lo aveva fatto divenire imperatore e incomincia a trattare col nemico, quando abbandona Roma, dopo aver firmato il disonorante e suicida armistizio, quando dichiara la guerra alla Germania, passando cosi letteralmente da un campo all'altro, egli non rappresenta più il volere nazionale e non ha più il diritto di parlare in nome del popolo. Il tradimento gli toglie i panni regali e lo inchioda nella sua individuale vergogna, come i traditori danteschi nel ghiaccio di Caina.

Per questo il re ha cessato di essere tale l'8 settembre, anche se i capi antifascisti se ne sono accorti nove mesi dopo; per questo il figlio è costretto a cedere la più sacra e solenne prerogativa sovrana: quella del giuramento alla persona del re. Verso la monarchia non si hanno più doveri; quindi, in sostanza, la monarchia non esiste più. L'Italia repubblicana, che agisce sul piano della realtà e della lealtà, vuol mantenere integri i patti liberamente sottoscritti, perché solo così si serve la causa del popolo italiano in ogni eventualità. Nulla può nascere dal tradimento, se non altri tradimenti. Chi pugnala nella schiena sarà pugnalato nella schiena. Gli angloamericani non hanno voluto concederci mai quanto ci spettava, non si sono rassegnati mai a riconoscere i diritti e le necessità del popolo italiano. Cambieranno atteggiamento proprio ora, dopo che per tre anni li abbiamo combattuti? Proprio ora, dopo averci massacrati e sfruttati? Ora, mentre il tradimento ci pone in una condizione di dolorosa inferiorità?

I nemici hanno la ferma intenzione di farci pagare « il biglietto di transito », come dice Churchill; e si guarderanno bene dall'applicarci la tariffa ridotta. Gli italiani si dividono, dunque, oggi, in due grandi categorie: quelli che mantengono la parola data a un alleato fedele, leale e potente; quelli che, ad un dato momento, proclamando di non farcela più (e non è vero, perché neanche un mese dopo dichiararono la guerra alla Germania), abbandonavano la lotta e tradivano l'alleato.

Certo è più facile, e può essere più fruttuoso, lottare per meschini odi personali e abbandonarsi a piccole e grandi vendette, anziché mettere i propri interessi e la propria vita al servizio della Patria. Ma noi continuiamo la guerra per salvare l'Italia; e se la strada è quella dei sacrifici e dei pericoli, essa è anche quella della vera solidarietà e dell'onore. Indipendentemente dal computo numerico delle nostre schiere, la nostra è veramente la lotta degli italiani tutti contro il naturale nemico della Patria.

Questa immane bufera, un giorno, per fortuna dei nostri figli, passerà. Soltanto allora lo storico veramente imparziale dirà il suo giudizio; ma gli italiani che continuano la lotta a fianco dell'alleato germanico, fedeli alla parola data quattro anni or sono, alla parola consacrata nel proclama dello stesso ex-sovrano, non temono il giudizio della storia. Noi non abbiamo tradito nessuno, né il popolo, né la fede, né noi stessi. La nostra parola d'onore potrà essere ancora data e creduta. Le medaglie al valore conquistate combattendo contro gli angloamericani potranno fregiare i nostri petti e nobilitare i nostri animi. Non ci troveremo nella mostruosa alternativa di strapparci dal petto i nastrini dei tre anni di guerra contro le plutocrazie e il bolscevismo o di allineare a essi altri nastrini, ottenuti combattendo per le plutocrazie e per il bolscevismo.

Raggiunta la vittoria, placatisi gli animi, i misfatti del Savoia, di Badoglio e di quanti altri li hanno assecondati nel loro infernale gioco con la pelle del popolo italiano appariranno in un tragico quadro di odio e di dolore, in tutta la loro spaventosa ampiezza. E tutti potranno comprendere che la leale prosecuzione della guerra contro gli angloamericani avrebbe inflitto all'Italia meno lutti, meno catastrofi e meno dolori, e soprattutto non ci avrebbe divisi come ora siamo. Riunire nuovamente l'Italia e gli italiani sarà durissima impresa; e per questo essa è la « nostra » impresa, la nostra missione, la missione di coloro che avranno sempre tenuta alta e spiegata la bandiera dell'onore italiano.