Wednesday, 7 March 2012

Ventennale sviluppo logico della dottrina fascista

(Pubblicato in « Corrispondenza Repubblicana », 24 febbraio 1944)

di Benito Mussolini

Il secondo degli otto punti che precedono il testo del decreto sulla socializzazione delle imprese approvato dal Consiglio dei ministri il 12 febbraio, dice che uno dei criteri fondamentali che hanno ispirato il decreto stesso è la rivendicazione della concezione mussoliniana di una più alta giustizia sociale, di una più equa distribuzione della ricchezza, della partecipazione del lavoro alla vita dello Stato. È necessario mettere l'accento su questo concetto: si tratta di rivendicare il pensiero mussoliniano, un pensiero scolpito nelle parole e concretato nelle opere di Mussolini per venti anni, e non già di orientarsi verso una nuova dottrina, rinnegando o per lo meno obliterando il passato. Si tratta di uno sviluppo, o piuttosto di un felice e necessario coronamento, non di una diversa e inedita impostazione dei problemi sociali.

Già il 20 marzo 1919, tre giorni prima della fondazione dei Fasci, Mussolini così parlava agli operai di Dalmine:
« Non siete voi i poveri, gli umili, i reietti secondo la vecchia retorica del socialismo letterario; voi siete i produttori ed è in questa vostra qualità che voi rivendicate il diritto di trattare da pari con gli industriali... Voi giungerete a funzioni essenziali nella vita moderna. Il divenire del proletariato è problema di capacità e di volontà.... È il lavoro che nelle trincee ha consacrato il suo diritto a non essere più fatica, disperazione, perché deve diventare orgoglio, creazione, conquista degli uomini liberi nella Patria libera e grande entro e oltre i confini ».
Il 9 ottobre 1919 aveva luogo la prima grande adunata fascista. Ecco quel che conteneva la relazione Fabbri sul programma del fascismo, letta in quella occasione:
« Problema sociale: a) sollecita promulgazione di una legge che sancisca per tutti i lavoratori la giornata legale di otto ore sull'effettivo lavoro; b) miglioramento di paga; c) partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell'industria; d) affidamento alle stesse organizzazioni proletarie della gestione d'industria e servizì pubblici; e) modificazione del disegno di legge d'assicurazione sull'invalidità e vecchiaia, fissando il limite di età a seconda dello sforzo che esige ciascuna specie di lavoro; f) obbligo ai proprietarì di coltivare le terre; le terre non coltivate dovranno essere date a cooperative di contadini; g) riforma della burocrazia ispirata al senso della responsabilità individuale ».
Il ministero delle Corporazioni veniva inaugurato il 31 luglio 1926. E Mussolini diceva con precisazione nettissima:
« La gente del lavoro fu fino a ieri misconosciuta e negletta dallo Stato vecchio regime. La gente del lavoro si accampò fuori dello Stato e contro lo Stato. Oggi tutti gli elementi della produzione, il capitale, la tecnica, il lavoro, entrano nello Stato e vi trovano gli organi corporativi per l'intesa e la collaborazione ».
Al congresso dei sindacati fascisti in Roma, tenutosi il 7 maggio 1928, il Duce faceva la seguente programmatica dichiarazione:
« Occorre ancora migliorare qualitativamente le nostre masse, far circolare cioè la linfa vitalissima della nostra dottrina nell'organismo sindacale italiano. Quando queste condizioni si siano realizzate, noi passeremo audacemente ma metodicamente alla terza e ultima fase: la fase corporativa dello Stato italiano. Il secolo attuale vedrà una nuova economia. Come il secolo scorso ha visto l'economia capitalistica, il secolo attuale vedrà l'economia corporativa... Bisogna mettere sullo stesso piano capitale e lavoro. Bisogna dare all'uno e all'altro uguali diritti e uguali doveri ».
E il 6 ottobre 1934 il Duce ribadiva il suo programma sociale con le seguenti parole, in cui per la prima volta veniva definito il concetto della « più alta giustizia sociale »:
«II fascismo stabilisce l'eguaglianza verace e profonda di tutti gli individui di fronte al lavoro e di fronte alla nazione.... Che cosa significa questa più alta giustizia sociale? Significa il lavoro garantito, il salario equo, la casa decorosa; significa la possibilità di evolversi e di migliorare incessantemente. Non basta. Significa che gli operai, i lavoratori devono entrare sempre più intimamente a conoscere il processo produttivo e a partecipare alla sua necessaria disciplina ».
Un logico sviluppo del concetto di giustizia sociale è la seguente affermazione fatta da Mussolini il 13 marzo 1936:
« Devono raccorciarsi e si raccorceranno, nel sistema fascista, le distanze fra le diverse categorie di produttori... ».
Il 23 marzo 1936, infine, Mussolini pronunciò un discorso alle Corporazioni parlando delle « industrie-chiave » che interessano direttamente e indirettamente la difesa e la vita della nazione. In tale occasione, egli si poneva questi interrogativi:
« ... L'intervento dello Stato in queste grandi unità industriali sarà diretto o indiretto? Assumerà la forma della gestione o del controllo? ».
E rispondeva:
« In tal uni rami potrà essere gestione diretta, in altri indiretta, in ·altri un efficente controllo. È perfettamente logico che anche nello Stato fascista questi gruppi di industrie cessino di avere anche de jure la fisionomia di imprese a carattere privato... Questa trasformazione costituzionale di un vasto importante settore della nostra economia si farà senza precipitazione, con calma, con decisione... In questa economia i lavoratori diventano con pari doveri collaboratori nell'impresa, allo stesso titolo dei fornitori di capitale o dei dirigenti tecnici ».
Sarebbe facile, come appare ovvio a chiunque conosca le manifestazioni del pensiero sociale mussoliniano, continuare; ma queste poche citazioni sono sufficienti per documentare la coerenza rivoluzionaria del fascismo, il quale non rinnega ora le proprie origini e i propri ventennali sviluppi, ma si rifà alla loro più genuina essenza travolgendo gli esterni ostacoli e le interne resistenze che si frapponevano alla piena realizzazione dei suoi altissimi fini sociali. È quindi assolutamente superfluo che gli italiani di labile memoria abbiano l'aria di cadere dalle nuvole in preda alla più autentica delle sorprese di fronte al fondamentale provvedimento della socializzazione. Si tratta, è vero, di una nuova pietra miliare, ma alle spalle, come patrimonio che non si rinnega, è la strada che abbiamo faticosamente percorsa; mentre ancora una volta, lo vogliano o no gli « attoniti » per professione, il pensiero rivoluzionario del Duce è all'avanguardia.