Sunday, 4 March 2012

Discorso di Roma, 10 ottobre 1928

Il giornalismo come missione

di Benito Mussolini

Camerati! Signori!

Questa importante riunione dei giornalisti del Regime avviene soltanto alla fine dell'anno VI. Voi vi rendete conto che non poteva avvenire prima, perché solo dal gennaio 1925, e più specialmente in questi ultimi due anni, è stato affrontato e risolto quasi completamente il problema della stampa fascista. In un regime totalitario, come dev'essere necessariamente un regime sorto da una rivoluzione trionfante, la stampa è un elemento di questo Regime, una forza al servizio di questo Regime; in un Regime unitario, la stampa non può essere estranea a questa unità. Ecco perché tutta la stampa italiana è fascista e deve sentirsi fiera di militare compatta sotto le insegne del Littorio.

Partendo da questo incontrovertibile dato di fatto si ha immediatamente una bussola di orientamento per quanto concerne l'attività pratica del giornalismo fascista. Ciò che è nocivo si evita e ciò che è utile al Regime si fa. Ne consegue che, sopra tutto e potrebbe dirsi esclusivamente in Italia, a differenza di altri Paesi, il giornalismo, più che professione o mestiere, diventa missione di una importanza grande e delicata, poiché nell'età contemporanea, dopo la scuola che istruisce le generazioni che montano, è il giornalismo che circola tra le masse e vi svolge la sua opera d'informazione e di formazione.

Non è quindi affatto assurdo che, trattandosi di continuare l'educazione formativa delle moltitudini i giornalisti debbano essere moralmente e tecnicamente preparati. È evidente che nelle scuole non si fa « il giornalista » come non si fa il « poeta ». Ciò nondimeno, nessuno vorrà negare l'utilità delle scuole stesse.

Questa prima adunata dei giornalisti del Regime, vuole essere premio e riconoscimento. Le vecchie accuse sulla soffocazione della libertà di stampa, da parte della tirannia fascista, non hanno più credito alcuno. La stampa più libera del mondo intero è la stampa italiana. Altrove i giornali sono agli ordini di gruppi plutocratici, di partiti, di individui; altrove sono ridotti al cómpito gramo della compravendita di notizie eccitanti, la cui lettura reiterata finisce per determinare nei pubblico una specie di stupefatta saturazione, con sintomi di atonia e di imbecillità; altrove i giornali sono ormai raggruppati nelle mani di pochissimi individui, che considerano il giornale come un'industria vera e propria, tale e quale come l'industria del ferro e del cuoio.

Il giornalismo italiano è libero perché serve soltanto una causa e un Regime; è libero perché, nell'ambito delle leggi del Regime, può esercitare, e le esercita, funzioni di controllo, di critica, di propulsione. Io contesto nella maniera più assoluta che la stampa italiana sia il regno della noia e dell'uniformità. Coloro che leggono i giornali stranieri di tutti i Paesi del mondo sanno quanto sia grigia, uniforme, stereotipata fin nei dettagli la loro stampa. A questo punto, io affermo che il giornalismo italiano fascista deve sempre più nettamente differenziarsi dal giornalismo degli altri Paesi, fino a costituire, non soltanto per la bandiera che difende, la risoluta, visibile e radicalissima antitesi.

Questa differenziazione non ne esclude una seconda, non meno importante. Permettetemi qui di impiegare un paragone musicale. Io considero il giornalismo italiano fascista come una orchestra. Il « la » è comune. E questo « la» non è dato dal Governo attraverso i suoi uffici stampa, sotto la specie dell'ispirazione e della suggestione davanti alle contingenze quotidiane; è un « la a che il giornalismo fascista dà a se stesso. Egli sa come deve servire il Regime. La parola d'ordine egli non l'attende giorno per giorno. Egli l'ha nella sua coscienza. Ma dato il « la », c'è la diversità che si evita la cacofonia e si fa prorompere invece la piena e divina armonia; oltre agli strumenti, c'è poi la diversità dei temperamenti e degli artisti; diversità necessaria, poiché si aggiunge, elemento imponderabile ma vitale, a rendere sempre più perfetta l'esecuzione. Ogni giornale deve diventare uno strumento definitivo, cioè individualizzato, cioè riconoscibile nella grande orchestra. I classici archi non escludono, nelle moderne orchestre, i « flauti » dalle forme inconsuete. Ci può essere, cioè, il giornale fascista dall'aria seria, con tinta magari di ufficiosità, e il giornale d'assalto, battagliante e temerario. Ci possono essere giornali che prediligono determinati problemi: quelli che hanno la statura per essere nazionali e altri, invece, che devono rassegnarsi a essere degli ottimi fogli regionali o provinciali.

È, per esempio, assurdo che un giornale di circolazione provinciale voglia imbibire i suoi lettori con pagine intere di politica estera mondiale. La differenziazione di cui parlavo è legata quindi a una vera e propria divisione del lavoro, affidata, più che a misure dall'alto, al buon senso dei giornali fascisti.

Ciò precisato, la stampa nazionale, regionale e provinciale serve il Regime illustrandone l'opera quotidiana, creando e mantenendo un ambiente di consenso intorno a quest'opera.

È grande ventura per voi di vivere in questo primo straordinario quarto di secolo: è grande ventura per voi di poter seguire la Rivoluzione fascista nelle sue progredienti tappe. Il destino è stato particolarmente benigno con voi, cui ha concesso di essere giornalisti durante una guerra e durante una rivoluzione, eventi entrambi rari e memorabili nella storia delle Nazioni.

Ora, tutti coloro che credono di servire il Fascismo ed il Regime lo servono effettivamente e utilmente? Non sempre. Non rendono un servizio al Regime coloro; i quali abbondano di aggettivi laudativi e cantano a rime obbligate, e quindi alla fine convenzionali, ogni atto e fatto, anche se di piccola portata, ogni uomo, anche se di modesta levatura. Bisogna deflazionare e saper tenere le distanze. Sei anni di fatti della Rivoluzione fascista sono più grandi di ogni parola, e soprattutto di molte parole. I sostantivi rendono superflui gli aggettivi.

Non rendono un servizio al Regime coloro, i quali dànno uno spazio eccessivo alla cronaca nera e la « sensibilizzano » ai fini dello smercio di copie, o coloro, i quali trascurano la formazione materiale del giornale, che deve essere attentamente vigilato nei titoli e nel testo, soprattutto nei titoli. Ho letto, ad esempio, riportata la notizia di un premio dato a uno scrittore che fa la spoletta fra il carcere e l'ospedale, con questo titolo: « Genio e follìa », come se il genio fosse irremissibilmente domiciliato nei manicomi; un infortunio sul lavoro diventa una terrificante catastrofe; si sente il bisogno di far sapere che « un giovane professore ha sparato sulla moglie », come se ciò interessasse particolarmente il genere umano, oltre i portinai e i più prossimi parenti; si ricucina per la milionesima volta il mistero di Rodolfo a Mayerling, e si ristampa sino alla noia la storia della Baker, o sedicente « venere nera ». Tutto ciò è diseducativo. Tutto ciò è giornalismo vecchio Regime. È necessario che il giornalismo nuovo Regime, cioè fascista, si disincagli da queste posizioni mentali e muova alla ricerca e all'illustrazione di tutti gli altri vari e grandi aspetti e problemi della vita degli individui e della vita di un popolo.

La cronaca nera deve essere lasciata ai commissari verbalizzanti delle Questure, salvo casi speciali nei quali l'interesse umano o sociale o politico sia prevalente.

Non servono il Regime coloro, i quali non tengono la misura della dignità di fronte agli stranieri, sia quando sono ospiti dell'Italia, sia quando esprimono giudizi sul Regime o su Mussolini. Ripeterò dunque che i dieci in condotta con lode o senza che mi vengono rilasciati talora da illustri personaggi, mi lasciano perfettamente indifferente. Bisogna esaltare i grandi uomini, quelli che rendono veri servizi all'umanità, non i vanitosi che vogliono vedersi sul giornale fotografati nell'atto in cui salutano romanamente il Fante Ignoto. Non servono il Regime coloro che mancano di discrezione, specie in materia di politica estera o di finanze, che sono inesatti nei riferimenti, che fanno del « barzinismo » in ritardo, che si autoincensano e che nella polemica scendono al personalismo diffamatorio e cannibalesco.

Non servono il Regime coloro, i quali si abbandonano al lusso del catonismo generico, del moralismo irresponsabile, che riguarda tutti e nessuno, mentre in siffatta materia, per vie pubbliche o coperte, bisogna precisare fatti e nomi, onde sia possibile provvedere in tempo. Non servono il Regime coloro, i quali non controllandosi negli articoli, nelle informazioni, nelle notizie, nei giudizi sugli uomini, forniscono alimento alla causa degli avversari.

L'elenco dei « casi » nei quali, volutamente o no, non si serve il Regime, potrebbe allungarsi, ma voi mi avete già inteso e avete anche inteso, per la necessaria antitesi, come si « serve » il Regime.

Qui voglio affermare che tolte le questioni strettamente politiche, o quelle che sono fondamentali nella Rivoluzione, per tutte le altre questioni la critica può limitatamente esercitarsi. Io stesso, prima della riforma monetaria, non ho vietato la polemica fra i rivalutisii e i svalutatori, non solo nelle cattedre, ma nelle riviste e nei quotidiani.

Nel campo dell'arte, della scienza, della filosofia, la tessera non può creare una situazione di privilegio o di immunità. Come deve essere permesso di dire che Mussolini, come suonatore di violino, è un dilettante molto modesto, così deve essere permesso di obbiettivamente giudicare l'arte, la prosa, la poesia, il teatro, senza che ci sia un « veto » per via di una tessera più o meno retrodatata. La disciplina di partito qui non gipca. La Rivoluzione qui non c'entra. Quando uno chiede di essere giudicato come poeta, drammaturgo, pittore, romanziere, non ha il diritto poi di richiamarsi alla tessera se il giudizio gli è sfavorevole.

Un Tizio può essere un valoroso fascista ed anche della prima ora, ma come poeta può essere un deficiente. Non si deve mettere il pubblico nell'alternativa di passare per antifascista fischiando, o di passare per stupido o vile plaudendo a tutti gli aborti letterari, a tutti i centoni poetici, a tutti i quadri degli imbianchini. La tessera non dà l'ingegno a chi non lo possiede.

Non vi ho detto tutto quanto potrei dire, ma ritengo di avervi detto alcune cose essenziali. La maggiore di tutte è questa: il vostro cómpito diventerà sempre più importante e ai fini interni e a quelli internazionali. Ai fini interni, perché, tra l'altro, tra pochi mesi il popolo italiano sarà chiamato ai comizi plebiscitari, attraverso i quali esso dovrà documentare, in faccia al mondo, il suo effettivo consenso al Regime. Bisogna. preparare questa grande manifestazione, e voi avete, coi vostri giornali, il mezzo di farlo degnamente.

Nel mondo internazionale noi non andiamo verso tempi facili. Più l'Italia aumenterà la sua statura politica, economica, morale, più l'Italia fascista « durerà », e maggiori saranno le inevitabili reazioni nel mondo antifascista, che sembra quasi offeso di dover constatare che ancora una volta è l'Italia che dà una parola d'ordine nuova nel campo politico e sociale. Occorre, per questo, che la stampa sia vigile, pronta, modernamente attrezzata; con uomini che sappiano polemizzare con gli avversari di oltre frontiera, con uomini, soprattutto, che siano mossi, non da obbietiivi materiali, ma da fini ideali.

Mi auguro che, quando vi convocherò nuovamente, io sia in grado di constatare che avete sempre più fermamente e fieramente servito la causa della Rivoluzione. Con questa speranza, accogliete il mio cordiale saluto, nel quale v'è una punta di ricordi e di nostalgie.