Thursday, 8 March 2012

L'insegnamento della storia

(Pubblicato in « Cultura Fascista », 1928)

di Scrittore fascista

Nel chiaro discorso col quale il nostro Direttore ha inaugurato domenica scorsa a Napoli il II Consiglio nazionale degli insegnanti fascisti, c'è un punto che merita di essere considerato a parte perchè si riferisce non solo alla scuola elementare ma anche alla scuola media e si presta a considerazioni di carattere generale.

Rilevava dunque il nostro Direttore che il recente congresso della Federazione Internazionale degli insegnanti che ha avuto luogo recentemente a Berlino ha votato un ordine del giorno nel quale si raccomanda di studiare « i mezzi di pubblicare opere scolastiche, specialmente libri di lettura, di storia, di geografia, d'istruzione civica, concepite con un spirito d'imparzialità internazionale », e di discutere nei congressi del 1929 il progetto della « scuola al servizio della riconciliazione dei popoli ». Si tratterebbe dunque, di costruire una pseudo-storiografia tendenziosa a fine pedagogico, nella quale sarebbero rappresentati in una rosea luce di candido ottimismo: progressi dell'umanità che passa pacificamente ti: conquista in conquista, che abbandona le caverne e le selve per ripararsi nelle capanne, e disfa le capanne per costruire case di legno o di pietra, e poi innalza i grattacieli d'acciaio e di cemento armato. E mentre un tempo i barbari romani rapirono le donne sabine, gli amabili flirts testimoniano oggi che i costumi son divenuti più miti, e che invece della violenza maschile le arti sottili della seduzione femminile hanno da sole la virtù di rapire più di un giovanotto, romano e non romano.

Questo è detto quasi per ischerzo, d'accordo. Ma c'è molta, moltissima gente che misura la civiltà da questi segni esteriori e sorride e sorriderebbe dei greci del V e IV secolo messi al confronto degli americani dei nostri giorni, per nulla disposta a curarsi se gli Ateniesi, poi, avessero fra di loro uomini che si chiamavano Eschilo, Sofocle e Platone. Si dirà che l'utilità e il piacere necessariamente occupano le moltitudini più della disinteressata contemplazione dello spirito; ma oggi che la grande industria e le masse popolari pesano ogni giorno più sulla vita contemporanea, e l'« americanismo » fa progressi rapidissimi e ha già conquistato o sta conquistando ai suoi deteriori ideali popoli e grandi città d'Europa, è necessario che quanti tengono fede alla nostra tradizione e agli ideali più alti dell'umanità reagiscano con tutte le forze contro il salire di questa barbarie della meccanica, dell'utilità, dell'avidità e del piacere.

Questa storia diseroicizzata, con la svalutazione del pensiero aristocratico, della lotta e del sacrificio — della « vita pericolosa », secondo la frase di Mussolini — è la storia economica, la cui odierna e molto appariscente manifestazione è nota sotto il nome di « americanismo ».

Ma oltre all'« americanismo », uno dei motivi che probabilmente hanno consigliato quel voto d'insegnanti di vari paesi di Europa è stato la reazione al cieco egoismo nazionale, ed è a questo riguardo assai significativo il fatto che i più vivi consensi a quella proposta siano venuti da parte degli insegnanti francesi, vale a dire da uomini di un popolo che assai ha sofferto e soffre di chauvinisme. Il quale, principalmente nelle forme assunte nella Germania guglielmina e in Francia, con la sua naturalistica concezione di popoli lupi a popoli, con la glorificazione della cupidigia di dominio e delle borie paesane, necessariamente spinge gli animi all'opposto ideale di una umanità pacifica e affratellata nel lavoro, al disgusto verso la violenza e la guerra che, prive di una luce spirituale, appaiono strumenti d'oppressione e di cieco prepotere.

La nostra posizione d'italiani e di fascisti dinanzi a queste tendenze della cultura e della politica contemporanee è, o deve essere, ben chiara.

Non crediamo nel pacifismo perchè se pure la pace, intesa come tranquillo ed operoso lavoro nella concordia degli animi, non può non essere un nostro ideale, sappiamo pure che questo ideale si serve non con professioni di pacifismo ma con una politica e un atteggiamento di dignità e di fierezza. Ogni uomo non violento desidera certamente non essere posto nella condizione di prendere a pugni alcuno; ma ogni uomo che venga offeso o minacciato, se ha senso d'onore, risponderà offendendo a sua volta. Quanto ai profeti disarmati, di essi già insegnava Niccolò Machiavelli a non fare nessun conto.

Dobbiamo combattere l'« americanismo » energicamente, poiché esso minaccia le basi stesse della nostra civiltà, mentre fa progressi rapidissimi in ogni parte del mondo. Noi italiani e, più largamente, noi europei d'occidente, potremo vivere e saremo all'avanguardia finché la nostra civiltà greco-romano-cristiano-rinascimento apparirà come la forma più alta di cultura a cui l'umanità possa guardare. Il giorno nel quale la quantità e il numero dovessero davvero vincere sulla qualità e sul pensiero, e il successo e il guadagno gettare nell'ombra gli ideali morali del sacrificio e del lavoro non economicamente utile, quel giorno una barbarie di nuovo genere, ma non eroica come quella di Vico e non, come quella, creatrice, abbasserebbe l'Italia e l'Europa a modeste provincie di una tirannia capitalistica.

Per motivi analoghi non possiamo condividere il falso egoismo nazionale, il quale, teso verso la conquista e il dominio materiale, è un aspetto dell'« americanismo », della celebrazione della potenza materiale, dei beni e delle ricchezze, della brama di godimento e di piacere, in diversità e in opposizione all'ideale etico di un popolo che, lavorando con serietà nella sfera del pensiero e dell'azione, provvede a crescere sopra se medesimo e così veramente, colla sua opera e la sua presenza stessa, rende un servigio all'umanità.

Umanitarismo ed atomismo nazionale sono, infatti, due punti di vista superficiali e astratti d'intendere la concreta relazione fra i popoli, la loro diversità e la loro unità. L'umanitarismo pretende di affermare l'unità cancellando le distinzioni, e cesi, disconoscendo la concretezza delle tradizioni storiche dei vari popoli e la loro diversa fisionomia e i diversi compiti loro assegnati, si trova davanti a una vacua generalità, continuamente smentita dal corso delle cose, dalle ribellioni a quel generico ideale, dal divampare delle lotte, delle rivalità e delle guerre nel seno di questa umanità nella quale la concordia non può essere che discorde, e la pace è insieme guerra, perchè così vuole la vita. All'opposto, l'egoismo delle nazioni non vede che la diversità, e la lotta dell'uno contro l'altro; e in questa concezione pluralistica o naturalistica è infatti tratto di fondare le individualità nazionali più sopra elementi etnici, di razza o di stirpe, che non sul fondamento di un'unità spirituale ed etica.

In questa maniera l'umanitarismo e l'egoismo nazionale non vedono la concreta umanità e la concreta nazione, perchè la concreta umanità non è al di là delle nazioni ma si realizza nell'intimo della storia nazionale stessa, fuori della quale non si saprebbe vedere in che cosa potesse consistere quella storia universale; e a sua volta la nazione non è fuori dell'umanità, ma è l'umanità intera, nel suo vario determinarsi e individuarsi in una molteplicità di tradizioni e di istituti.

Una storia del mondo fuori delle città greche e di Roma, dell'Impero romano-germanico, dei comuni medievali, degli Stati nazionali e degli imperi moderni è inconcepibile appunto perchè essa è nel sistema e nella reciproca relazione di questi organismi.

Ritornando ora al punto dal quale abbiamo preso le mosse, diremo che inopportuno, soprattutto perchè inutile, ci pare il voto del congresso berlinese degli insegnanti.

Se l'educazione dei giovani deve mirare a promuovere in loro la chiarezza del pensiero e la com prensione della vita, male essa adempirebbe al suo fine offrendo un'immagine volutamente falsa di questa vita. Un'educazione fondata consapevolmente sull'arbitrio e quindi sull'errore non può condurre che a perpetuare e ad accrescere il capriccio e la confusione. La via da seguire è diversa, ed è certo più diffìcile, eppure l'unica buona; ed è quella di vedere chiaramente entro le ambagi delle comuni tendenze. Senza orgoglio possiamo dire che noi italiani riteniamo superfluo occuparci di tali problemi, perchè noi, che pure fummo nel secolo scorso alla testa del movimento delle nazionalità, imparammo già da Mazzini, da Garibaldi, da Cavour, da Spaventa che il carattere della nazionalità è un carattere spirituale, che un popolo degno di questo nome deve essere sempre pronto a difendere la sua indipendenza e libertà e le condizioni della sua vita con tutte le armi, fino all'ultimo, ma riguardare insieme agli altri popoli come a collaboratori della comune opera storica.