(Pubblicato in « Corrispondenza Repubblicana », 13 novembre 1943)
di Benito Mussolini
Il carattere squisitamente sociale dell'azione politica del fascismo trova immediata conferma nelle notizie, per forza di cose ancora sporadiche ma non per questo meno indicative, che provengono da diverse regioni dell'Italia settentrionale.
I giornali hanno, ad esempio, pubblicato le due seguenti notizie. A Ravenna, dove già settemila ettari di terreno sono stati affidati a conduzione diretta di braccianti agricoli, la Federazione fascista repubblicana ha fatto prendere possesso di una azienda del conte Balbi, di circa tremila ettari, in gran parte ancora non bonificati, a lavoratori in essa occupati. A Brescia, il commissario federale ha promosso lo scioglimento del Consiglio di amministrazione della Società anonima legnami, dei fratelli Pasotti, per preparare la trasformazione dell'azienda in cooperativa fra lavoratori in essa occupati.
Tali notizie si commentano da se stesse. Occorre tuttavia affermare che non si tratta certo di improvvisate, isolate iniziative, ma di una prima espressione del programma del fascismo repubblicano nel settore sociale della nazione.
Dopo la redenzione dell'Agro pontino con la consegna delle terre ai lavoratori, dopo l'assalto al latifondo siciliano con tutti i vasti problemi di rinnovazione sociale connessi, solo i ciechi e le persone in mala fede potevano pensare che il fascismo, dopo venti anni di poderosa legislazione sociale, avesse concluso o meglio troncato la sua rivoluzione.
Rivoluzione non è riformismo; essa va, infatti, oltre la riforma della legislazione e deve ad un certo momento rivedere in pieno tutto il sistema.
Il fascismo non ha rinnegato, né rinnega, il principio dell'iniziativa individuale, ma questa non dev'essere iugulatrice per i lavoratori, come si verificava nei due casi indicati. Il fascismo, a Ravenna e a Brescia, ha dato vita a due comunità di lavoratori, dal dirigente agli operai, che non resteranno certo sole nel genere. L'esempio avrà una completa ed organica estensione nelle nuove leggi e non è che un precursore delle riforme sociali che attuerà il fascismo repubblicano.
Appare chiaro il movente del tradimento dei Savoia, che rappresentano la dinastia la più ricca fra le molte che regnarono e le poche che ancora regnano o aspirano a regnare. Fattore determinante di tale tradimento è che essa non ha esitato ad ignorare i sacrifici di tutto un popolo per sfuggire alla equa, umana ripartizione della ricchezza che avrebbe premiato i sacrifici del popolo stesso, e riprova come in tutta la tradizione nazionale capitalismo e monarchia abbiano giocato sempre lo stesso gioco. Dai crolli bancari che si iniziarono col fallimento della Banca romana, e che gettarono nella miseria migliaia di lavoratori e di piccoli proprietari, all'odierno disfacimento della ricchezza nazionale, il capitalismo monarchico del lontano Rattazzi e del moderno Acquarone agirono sempre. all'ombra del ministero della real Casa.
Ma oggi non più. Il fascismo, liberato dai molti orpelli che ne avevano appesantito la marcia, e dai troppi compromessi obbligati dalle contingenze, ritorna alle sue origini rivoluzionarie in tutti i settori, ma principalmente in quello sociale, che è basilare nella vita individuale e delle collettività.
La riforma sociale in atto, che troverà compiuto esempio nella nuova legge, sarà la più alta realizzazione del fascismo, squisitamente umana ed assolutamente italiana, riallacciandosi cioè alle secolari tradizioni del nostro umanesimo e del mazzinianesimo nella sua essenza spirituale, risolvendo, in modo definitivo, le necessità e le aspirazioni delle classi lavoratrici. Né socialismo, né comunismo, nel loro significato tradizionale; più profondamente concreto del primo, liù altamente umano del secondo, il fascismo vuoi dare all'Italia e a mondo una compiuta soluzione moderna del problema sociale.
Solo cosi i sacrifici sanguinosi di tutto il popolo, l'olocausto dei nostri martiri e dei nostri eroi non saranno stati vani.
Il fascismo ritorna alle sue origini e ai postulati di allora, oggi in condizione p1ù tragica.
La palpitante realtà di Ravenna e di Brescia disvela chiaramente con quale decisione il fascismo repubblicano, gettata la zavorra, voglia realizzare, per l'immediato domani di questo tormentato periodo della vita del Paese, l'imperativo mussoliniano, affermato venticinque anni addietro, di andare incontro al lavoro che torna dalla trincea.
L'avvocato Bruno Spampanato ha tenuto stasera alla radio una conversazione sul tema Il Mezzogiorno e la guerra. L'oratore ha ampiamente trattato la questione del Mezzogiorno, additando agli italiani le prove ardue e dolorose affrontate dalle popolazioni meridionali anche in questa guerra, prove sopportate con una stoica fierezza, che stupisce il nemico e profondamente commuove i fratelli di tutta Italia. Egli ha affermato che gli stessi giornali nemici dicono come reagiscono i meridionali all'invasione. Quelle dimostrazioni di giubilo, quelle musiche, quelle bandiere che gli anglosassoni si attendevano di trovare nel Mezzogiorno non ci sono state a tutt'oggi e non ci saranno mai. Mentre l'A.M.G.O.T. si impossessa delle industrie, delle raffinerie, dei beni demaniali, delle imprese, delle aziende, fino a far dire ad un giornale sovietico che si tratta di un indegno sfruttamento, mentre i tesori dell'arte prendono la via dell'America e dell'Inghilterra, le popolazioni della Sicilia, della Calabria, delle Puglie e della Campania soffrono il durissimo giogo degli spietati invasori.
Il Mezzogiorno non ha tradito la causa italiana, anche se non ha la possibilità di riscattare con le armi l'onore vilipeso della Patria. Bisogna conoscere il Mezzogiorno, ha detto Bruno Spampanato. Questa è anche la guerra del Mezzogiorno. Nel loro tradizionale istinto storico, nel loro chiarissimo eleme.ntare senso logico, i meridionali hanno compreso quanto decisiva fosse la guerra soprattutto per loro, quanto ineluttabile, quanto improrogabile essa fosse. L'avvocato Spampanato ha concluso affermando che il Mezzogiorno non perde la sicurezza del domani. Questa certezza è più forte degli avvenimenti.