Wednesday, 7 March 2012

Consuntivo 1943

(Pubblicato in « Corrispondenza Repubblicana », 27 dicembre 1943)

di Benito Mussolini

L'anno solare 1943 sta, finalmente, per finire. Dire « finalmente » non è un gioco di parole, specialmente per noi italiani. È con vero sollievo che lo vediamo finire.

Questi giorni sono dedicati a stabilire il consuntivo dell'anno che se ne va. Consuntivo militare, ben inteso, poiché, di fronte alla gigantesca partita che insanguina il mondo, tutto il resto è secondario e in essa assorbito.

Noi siamo obiettivi, poiché il solo mezzo per dominare la realtà è quello di riconoscerla nei suoi termini concreti, e non abbiamo quindi difficoltà ad ammettere che il bilancio militare del 1943 si chiude all'attivo per gli alleati e al passivo per noi.

Effettivamente, dal 23 ottobre 1942, l'iniziativa è passata nelle mani del nemico, il quale, limitandoci al solo settore terrestre, ci ha respinto da Stalingrado al Nipro, da El Alamein a Ortona, per migliaia di chilometri.

Coloro che ci leggono sono pregati di non giungere da queste franche constatazioni a precipitose conclusioni, ma li invitiamo piuttosto a seguirei nel nostro ragionamento.

Anzitutto è lecito chiederci: potranno gli alleati, anche nel 1944, conservare quello che, in date circostanze, è innegabile vantaggio, cioè l'iniziativa? È ormai chiaro che gli alleati dovranno tentare la creazione di un secondo autentico fronte, in Francia, ma quattro anni di tempo e centinaia di migliaia di lavoratori hanno tramutato il vallo atlantico in una barriera che, essendo difesa da truppe agguerrite e munitissime, non potrà essere superata, nemmeno col sacrificio di ecatombi di uomini. Sbarcare sulle coste occidentali della Francia è oggi un'impresa sovrumana. Tuttavia deve essere tentata. Il suo prevedibile fallimento determinerà la svolta della situazione.

In secondo luogo, un esame obiettivo degli eventi ci porta a questa netta conclusione: la Germania non può essere battuta. Sul terreno puramente militare, no.

Dalla Norvegia all'Egeo, dall'Ucraina al golfo di Biscaglia i suoi eserciti hanno una sempre intatta capacità di combattimento e di manovra; e, salvo le inevitabili, sensibili perdite, l'organizzazione militare tedesca non accusa minimamente i segni dell'usura.

Sta di fatto che le grandi offensive russe hanno riconquistato territori già perduti, ma non hanno raggiunto lo scopo che ogni strategia si prefigge, cioè la totale distruzione delle forze nemiche.

Il numero dei prigionieri tedeschi catturati dai russi si può definire senz'altro irrilevante, data la mole delle forze in campo.

Che lo sforzo offensivo russo sia costato ai sovieti perdite immense, i bolscevichi stessi lo ammettono e ne fari no, anzi, un argomento di pressione o di ricatto verso gli alleati, tardigradi ed esitanti nella creazione del secondo fronte.

Ancora una domanda: può l'azione di altri fattori di carattere interno determinare, come già avvenne nell'autunno del 1918, un cedimento dell'apparato militare del Reich? No.

Non il fattore economico alimentare. Da questo punto di vista la situazione non può nemmeno essere paragonata con quella della prima guerra mondiale. Allora le sofferenze della popolazione furono veramente, a un certo punto, intollerabili, anche per un popolo come quello tedesco. Allora la Germania senti il blocco. Oggi è più sensibile in Gran Bretagna.

Non il fattore politico. Il complesso degli istituti politici nei quali si enuclea il nazionalsocialismo è perfettamente arbitro della situazione interna. Il disfattismo in Germania è inesistente o si limita a vociferazioni isolate, senza risultato. Gli elementi che agirono nel 1918, ebraismo, massoneria, socialismo, democrazia, furono eliminati in tempo utile.

Non il fattore morale. Il popolo tedesco, dal Führer all'ultimo soldato, contadino, operaio, sa che si tratta di vita o di morte. I wilsoniani del 1918 si profusero in menzognere promesse e potevano esercitare, ed esercitarono, una certa influenza su taluni ambienti tedeschi; oggi da Londra, da Mosca, da Washington si minaccia la distruzione pura e semplice non solo della Germania come Stato, ma della Germania come popolo e come razza. Distruzione fisica, non morale. Israele vuole la sua integrale, spietata vendetta.

Questi programmi nemici, ufficialmente dichiarati, irrigidiscono la già forte tempra del popolo tedesco e ogni pensiero di capitolazione è quindi escluso a priori.

Se i bombardamenti terroristici tendono a demolire il morale del popolo tedesco, essi non raggiungeranno mai questo scopo. Testimoni oculari che hanno visto i berlinesi durante e dopo i bombardamenti massicci degli ultimi giorni sono unanimi nel dichiarare che l'atteggiamento della popolazione, la sua disciplina, il suo stoico coraggio, sono degni dell'universale ammirazione. Le facce dei berlinesi avevano all'indomani una sola espressione: quella dell'odio, della tenacia unita alla certezza çli una compensatrice, nonché moltiplicata rappresaglia, e alla fede cieca, comune del resto all'intero popolo tedesco, nel Führer e nella fine vittoriosa.

Crediamo di aver espresso, sia pure in maniera sintetica, i fondati motivi che giustificano la nostra asserzione che la Germania non può essere battuta.

E poiché allo stato delle cose una pace negoziata è impossibile, non rimane che la prima ipotesi, e cioè che la Germania, non potendo essere battuta, finirà col battere i suoi e nostri nemici.

Non è quindi troppo azzardato prevedere che il consuntivo del 1944 sarà ben diverso da quello del 1943.

In questo consuntivo dovrà figurare, e figurerà, accanto alle voci Germania e Giappone, la voce Italia. Altrimenti il nostro eclisse da parziale diventerà totale, con incalcolabili conseguenze per le attuali e le future generazioni.