di Benito Mussolini
Il giornalista americano David Lawrence ha scritto sul New York Sun una violenta requisitoria contro Roosevelt e Churchill per la politica della resa incondizionata proclamata a Casablanca. Dice il Lawrence:
« La responsabilità del prolungamento della guerra in Europa deve ricadere nettamente sul primo ministro Churchill e sul Presidente Roosevelt. Tutti gli avvertimenti sono stati continuamente dati, in questi ultimi due anni, sul fatto che il programma della guerra psicologica era mal condotto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti; e adesso il mondo assiste alle conseguenze di quel terribile errore di valutazione. Se non ci fosse altra via per ottenere una pace durevole in Europa, sarebbe comprensibile che si volesse adoperare anche quel mezzo per servire la causa alleata; ma questa fase della politica Roosevelt-Churchill non è necessaria per vincere la guerra o la pace ».Dopo altre considerazioni l'articolista conclude:
« Noi dovremmo proclamare un programma costruttivo e prospettare una possibilità economica per il popolo tedesco ».La quale citazione dello scrittore americano non è da noi fatta per frusti scopi di propaganda e per attribuire al Lawrence una intenzione che non è la sua. Egli critica Roosevelt e Churchill unicamente perché essi si sono dimostrati grossolanamente maldestri nel chiedere alla Germania la resa incondizionata invece di scalzare con diabolica abilità la posizione politica di Hitler e del nazionalsocialismo, dando ad intendere al popolo tedesco che la sua libertà e la sua prosperità dipenderebbero dalla vittoria degli alleati, mentre la vittoria delle armi germaniche sarebbe in realtà la disfatta del popolo tedesco. Questo infatti è l'accorgimento propagandistico messo in opera con tanto successo contro il popolo italiano. Ma il Lawrence dimentica che non era possibile usarlo contro il popolo tedesco, il quale non avrebbe abboccato per la seconda volta allo stesso amo. Esso sa bene, per triste esperienza, di ritrovarsi appunto nelle strette delle presenti calamità per aver creduto e ceduto all'altro ciarlatano che stava allora sulla poltrona di Giorgio Washington. Diciamo il quacchero Woodrow Wilson. Dunque, il Lawrence spaccia come novità assoluta un espediente ormai relegato da venticinque anni tra i ciarpami e i relitti della prima guerra mondiale.
Certo, a Casablanca, se Roosevelt e Churchill avessero voluto fare qualcosa per salvare l'Europa e la civiltà, escogitando un'equa forma di conciliazione, avrebbero potuto farlo. In caso di insuccesso ci avrebbero guadagnato almeno moralmente. Non sono così doviziosi di rettitudine umana e politica da buttar via ogni occasione che possa presentarsi loro di darsi un contegno morale. Lawrence ritiene che la incauta decisione di Casablanca abbia un evidente carattere di criminalità, essendo dovuto a tale decisione, secondo l'opinione del giornalista americano, il prolungamento di due e forse di tre anni della guerra. L'affermazione ha un qualche fondamento di verosimiglianza. Ma il Lawrence, muovendo una simile accusa a Roosevelt e a Churchill, è come se rimproverasse ad un bandito, reo di aver trucidato una famiglia a scopo di rapina, d'aver lasciato l'uscio aperto nell'andarsene.
Tuttavia è molto significativo che su giornali americani si ardisca usare un simile linguaggio contro il Presidente che sta per scadere, ma è stato sempre scadente e scadente rimarrà anche se i suoi concittadini lo rieleggeranno per la quarta volta. È il primo passo verso l'immancabile nemesi. Verrà tempo che qualcuno negli Stati Uniti e in Gran Bretagna avrà il coraggio di chiamare pubblicamente sul banco degli accusati Roosevelt e Churchill, non più per aver prolungato la guerra, ma per averla voluta e preparata.
I documenti rinvenuti negli archivi di alcuni Paesi occupati dalle forze germaniche e resi a suo tempo di pubblica ragione, sono li a dimostrare che Roosevelt ha incominciato almeno dal 1937 la sua metodica opera di preparazione della guerra, galvanizzando all'aggressione la rubizza vecchiaia del conservatorismo inglese, scalzando le irrequietezze senili della Francia, sobillando le impazienze e le megalomanie dei piccoli Stati europei. Dal canto suo Churchill, a parte la sua velenosa azione politica contro ogni possibilità di distensione e di accordo continentale, fino dal 1925, in una non dimenticata visione apocalittica della futura guerra mondiale, vaticinava una lotta di sterminio condotta soprattutto contro le popolazioni civili. Pregustava già, prima d'essere chiamato all'alto posto di responsabilità adesso occupato, il tipo di guerra che egli avrebbe preferito e che con innegabile coerenza ha puntualmente attuato.
I criminali di guerra numero uno (Roosevelt) e numero due (Churchill) non tralasciano mai di ricordare al mondo che essi sono gli alfieri della giustizia internazionale, una specie di arcangelo Gabriele bifronte incaricato da Domineddio di fare scendere la sua spada tremenda sulla testa di quelli che essi definiscono i massimi responsabili di questa guerra. Gente di scarsa fantasia gli anglosassoni: si ripetono con una cadenza insopportabilmente tediosa. Essi se ne scusano allegando che il vero concetto dì giustizia è sempre quello: poiché discende direttamente dalla suprema saggezza di Dio, che è unica, immutabile, eterna; ed essi ne sono i depositari. Tale concetto di giustizia accorda unicamente agli anglosassoni il diritto alla vita, alla potenza e alla ricchezza; gli altri popoli (cosi avrebbe disposto la Provvidenza) sarebbero condannati a servire. Se non servono e si ribellano è come se rifiutassero di obbedire e si ribellassero alla stessa volontà divina; e perciò debbono essere puniti senza riguardi o pietà. Per codesto delitto Napoleone fu relegato a Sant'Elena e Guglielmo II al domicilio coatto in un castello olandese.
Non è lecito al capo di un popolo che non sia inglese o americano di difendere il suo popolo, di lottare per assicurargli spazio, lavoro e prosperità. Di tale delitto costui dovrebbe rispondere non soltanto al tribunale della storia, del quale, con fòndato motivo, gli anglosassoni non si fidano, ma davanti ad un tiìbunale dì uomini, da essi stessi costituito, che « giudichi e mandi » senza appello i colpevoli di aver difeso la loro patria e i loro popoli contro l'invadenza e le rapine anglosassoni. Autentico delinquente chi ha voluto questa guerra e l'ha scatenata per il trionfo della loggia massonica e della banca ebraica, ossia Franklin Delano Roosevelt; e altro non meno autentico delinquente chi ha scientemente e scientificamente impresso a questa guerra un bestiale carattere di strage indiscriminata e di barbara rovina di tutti i valori spiritali della civiltà, cioè Winston Churchill; ma nessuno, nel campo dell'Asse, ha mai detto o pensato finora che dovessero essere chiamati un giorno alla sbarra e rispondere della loro attività criminale. Questa inesplicabile trascuratezza equivale al riconoscimento che essi sono nel pieno e legittimo diritto di fare quello che hanno fatto e fanno, e che « le botte non si dànno a patti », come diceva quell'uomo manesco che fu Benvenuto Cellini.
Noi abbiamo, purtroppo, della giustizia un'opinione diversa, ma è pericoloso insistervi. Potremmo ritrovarci in una scomoda posizione di inferiorità fisica. Accettiamo una volta tanto anche noi, nei rapporti internazionali, la concezione giuridica anglosassone. Paghiamo con la stessa moneta i nostri nemici. Anche per noi ci devono essere i criminali di guerra; anche per noi i maggiori responsabili dell'immane catastrofe che insanguina il mondo da oltre cinque anni dovranno rispondere dei loro atti tenebrosi o sanguinari davanti ad un tribunale di uomini. Siamo d'accordo con Londra e Washington: niente rinvio dinanzi al tribunale della storia. Siamo certi che il suo giudizio peserà inesorabile su Roosevelt e su Churchill; ma per le sofferenze, miserie e tribolazioni che essi ci hanno inflitto vogliamo vederli con i nostri propri occhi sul banco degli accusati, nella gabbia degli imputati, e essere noi, proprio noi, a pronunciare la sentenza di condanna. Non è escluso che la nostra inguaribile generosità si lasci andare all'ultimo momento ad accordare loro la seminfermità di mente; e se la caveranno, per un certo numero d'anni, con l'internamento in un manicomio criminale.